New Media Art and the Gallery in the Digital Age
Headline text
Autore: Charlie Gere
Tratto da: http://www.tate.org.uk/research/tateresearch/tatepapers/04autumn/gere.htm
Titolo Originale: New Media Art and the Gallery in the Digital Age
Traduzione di: Fernando Dimichele
Anno: 2004
L'Arte di Nuovi Media e la Galleria nell’Era Digitale
La cultura digitale che stiamo oggi vivendo sarebbe stata dura da immaginare venti anni fa, quando Internet era raramente utilizzato al di fuori dei dipartimenti di ricerca, il CD era una novità, i telefoni cellulari lussi poco maneggevoli, ed il World Wide Web ancora non esisteva.
Le trasformazioni sociali e culturali permesse da queste tecnologie sono immense. Durante gli ultimi venti anni, questi sviluppi tecnologici hanno cominciato a toccare quasi ogni funzione delle nostre vite. Al giorno d'oggi la maggior parte dei mass media, televisione, musica e film, sono prodotti ed anche distribuiti digitalmente; questi mezzi stanno cominciando a convergere con le forme digitali, quali Internet, il World Wide Web e video giochi, producendo un ‘mediascape’ digitale mai visto
prima.
Sul lavoro siamo circondati dalla tecnologia, negli uffici, nei supermercati e nelle fabbriche, quasi ogni funzione, progettazione, produzione distribuzione è verificata o controllare digitalmente. Le gallerie ed i musei non fanno eccezione. Si potrebbe pensare che i musei e le gallerie siano profondamente influenzati e che le crescenti possibilità dei sistemi della comunicazione presentino sfide particolari per la galleria d’arte come istituzione. Ad un certo livello queste sfide sono pratiche: come approfittare dei nuovi mezzi di diffusione e di comunicazione che queste tecnologie permettono; come competere come mezzo culturale; come è stato possibile agganciarsi alle nuove pratiche artistiche, rese disponibili da tali tecnologie che presentano le loro proprie sfide particolari in termini di acquisizione, ed interpretazione.
Discutibilmente, ad un altro livello le sfide sono molto più profonde: interessano lo status delle istituzioni, quali le gallerie d’ arte, in un mondo in cui tali tecnologie mettono radicalmente in discussione il modo in cui il museo opera. Ciò è particolarmente vero per le tecnologie in ‘tempo reale’, che permettono di elaborare e presentare i dati in pratica immediatamente. La computazione in tempo reale sostiene l'apparato intero della comunicazione e dell'elaborazione dei dati attraverso i quali prende forma la nostra techno-cultura contemporanea. Senza essa non avremmo E-mail, elaborazione di testi, Internet o World Wide Web, nessuna produzione industriale assistita dall'elaboratore e nessuno degli ‘smart system’ di cui siamo circondati. Il ‘tempo reale’ inoltre corrisponde alla tendenza più generale verso l’istantaneità nella cultura contemporanea, coinvolgendo ed aumentando la richiesta di ‘feed-back’ immediato, un risultato che le tecnologie stesse stanno cominciando ad evolvere sempre più velocemente. La crescente complessità e la velocità della tecnologia contemporanea sono la causa sia di euforia che di ansia.
Ciò si riflette nel lavoro recente di un certo numero di commentatori influenti. Richard Beardsworth dichiara che una delle preoccupazioni principali di analisi filosofica e culturale negli ultimi anni è stata la necessità di riflettere sulla riduzione di tempo e di spazio determinati dai i processi contemporanei della tecnicizzazione, e della digitalizzazione. In un saggio pubblicato, ironicamente forse, il teorico letterario il J. Hillis Mugnaio descrive alcuni dei sintomi del nostro stato tecnologico attuale:
Poichè questo spostamento culturale epocale dall'età del libro all'età di hypertesto è stato accelerato, siamo stati trascinati sempre più velocemente in uno spazio vitale minaccioso. Questo nuovo spazio elettronico, lo spazio della televisione, del cinema, del telefono, dei video, del fax, dell’ E-mail, dell’hypertesto e di Internet, ha profondamente alterato le economie stesse, della casa, del posto di lavoro, dell'università e delle politiche dello Stato Nazione. Questi erano ordinati tradizionalmente intorno ai contorni costanti di una dicotomia interno- esterno, dove questi confini erano il muro fra la privacy domestica e tutta la parte esterna del mondo, o i confini tra lo Stato Nazione ed i relativi vicini. Le nuove tecnologie invadono lo stato e la nazione. Confondono questa divisione interno/esterno. Da una parte nessuno è così solo come quando guarda la televisione, parla al telefono, sta seduto davanti allo schermo di un computer leggendo e-mail o navigando su internet. D'altra parte, lo spazio privato è stato invaso e permeato da una vasta folla simultanea, ampia di immagini verbali, sonore e visive, spettrali che esistono nel simulacro del cyberspazio. Queste immagini attraversano i confini nazionali ed etnici. Vengono da ogni parte del mondo con una immediatezza che li rende ugualmente distanti e vicini. Il villaggio globale non è fuori, ma dentro, altrimenti la distinzione tra interno ed esterno perderebbe il suo significato. Le nuove tecnologie portano l’altro nella privacy domestica.
C’è una spaventosa minaccia alla tradizionale idea del sé come unico e proprio modo di vivere legato ad un particolare luogo culturalmente delimitato inserito in una singola identità nazionale fermamente protetta da tutto ciò che è ‘altro’. Stanno minacciando anche il nostro assunto secondo il quale l’azione politica è basata su un territorio, uno stato nazione con i suoi confini delimitati, la sua etnia ed unità culturale.
Il filosofo francese Bernard Stiegler parla di tecnicizzazione `di tutti i dominii', dato che questa si realizza su vasta scala. Questo porta ad una serie di innumerevoli problemi: L'instaurazione di un generalizzato stato di emergenza causato non solo dalle macchine, ma dalle reti di scambio dei dati: la crescente scarsità dei messaggi, l’analfabetismo, l’isolamento, la distanza tra le persone, l’accento sulla identità, la distruzione dei confini territoriali, la disoccupazione – i robot non libereranno l’uomo dal lavoro, ma gli consegneranno povertà o stress -minacce che circondano le scelte e le anticipazioni dovute al fatto di delegare alle macchine il processo decisionale, che se da un lato risulta necessario in quanto l’umanità non è abbastanza veloce per controllare i processi di cambiamento delle informazioni, dall’altra parte spaventano, in quanto il processo decisionale è diviso con le macchine create per la distruzione (per esempio nel caso delle reti per la gestione dei missili).
Questo include la straordinaria influenza sul comportamento esercitata dai media, i quali controllano la produzione di notizie, trasmesse senza alcun ritardo ad una vasta massa di popolazione con diversa origine culturale, da professionisti la cui attività è razionalizzata seguendo esclusivamente il principio dell’orientamento verso il mercato.
Stiegler suggerisce che: in questa epoca di tecniche contemporanee si potrebbe pensare che il potere tecnologico possa spazzare via l’umanità. Il lavoro, la famiglia e la tradizionale forma di comunità potrebbero essere spazzate via dalla deterritorializzazione (cioè dalla distruzione) dei gruppi etnici e della natura delle politiche (non solo attraverso la delega dei processi decisionali, ma anche dalla mercatizzazione della democrazia), così come l’economia ( attraverso la telematizzazione delle attività finanziarie che al giorno d’oggi dominano completamente); allo stesso modo il concetto di spazio e tempo risulta alterato (non solo lo spazio ed il tempo inter-individuali) attraverso la globalizzazione delle interazioni, il ‘tempo reale’ e la diretta, ma anche il tempo del ‘proprio se’, perdono significato lasciando spazio alla ‘tele-presenza’.
Friedrich Kittler suggerisce che la digitalizzazione e la circolazione delle informazioni permesse tramite l'installazione delle reti a fibra ottica, sia guidata dai programmi del Pentagono per costruire una rete di comunicazioni che non si interromperebbe dall'impulso elettromagnetico che accompagna un'esplosione nucleare. Ciò, a sua volta, starebbe alterando fondamentalmente le nostre esperienze dei mezzi di comunicazione:
Prima della fine, qualcosa sta terminando. La digitalizzazione generale dei canali e delle informazioni cancella le differenze fra i diversi mezzi. Il suono e l'immagine, la voce ed il testo, sono ridotti agli effetti di superficie, conosciuti ai consumatori come interfaccia. Il fascino prodotto da questi media sopravvivrà come sottoprodotto dei programmi strategici. All'interno dei calcolatori tutto si trasforma in un numero: quantità senza immagine, suono, o voce. Ed una volta che le reti di fibra ottica possono trasformare i flussi di dati in una serie standardizzata di numeri, qualsiasi media può essere tradotto in qualsiasi altro. Con i numeri, tutto funziona. Modulazione, trasformazione, sincronizzazione: immagazzinaggio, trasposizione; esplorazione, ricerca, indagine, un media totale legato ad una base digitale cancellerà il concetto stesso di media. Invece di legare, le persone alle tecnologie, la conoscenza assoluta funzionerà come un ciclo.
Kittler concede almeno che ci siano ancora i media; c’è ancora l’intrattenimento. Bernard Siegart è in qualche modo ancora più apocalittico nel senso che lo sviluppo delle reti in ‘tempo reale’ condurrebbero alla fine dell’arte complessivamente: l’impossibilità di elaborazione tecnologica dei dati in tempo reale è la possibilità dell’arte. Fintanto che l’elaborazione dei dati in tempo reale non era stata possibile, i dati sono stati sempre memorizzati in qualche modo, sulla pelle, sulla cera, sull’argilla, sulla pietra, sul papiro, sulla tela, sulla carta, sul legno, o nella corteccia cerebrale per essere trasmessi, o altrimenti elaborati. È in questo modo che le informazioni sono diventate qualcosa di palpabile per l’essere umano, che ha aperto le porte all’arte. Per contro non ha senso parlare della possibilità di elaborazione in tempo reale nella misura in cui implica l’essere umano come soggetto. Dopo tutto, l'elaborazione in tempo reale è l'opposto esatto di essere disponibile. Non è disponibile al feedback dei sensi, ma lo è ai segnali dei processori poiché l'elaborazione in tempo reale è definita precisamente come l'evasione dei sensi.
Mentre, Andreas Huyssen suggerisce che la risposta alla crescente ubiquità del sistema del tempo reale è l’aumento dell’interesse verso la memoria. Scrivendo sulla costruzione delle memorie sull’olocausto osserva che: Sia la memoria personale che sociale sono oggi soggette ad una nuova struttura di temporalità generata, da una parte dalla velocità della vita quotidiana, e dalla accelerazione delle immagini e delle informazioni dei media dall’altra. In entrambe i casi il meccanismo della percezione psicologica è alterato. Più informazioni accumuliamo più il passato è inserito nell’orbita del presente, pronto per essere chiamato sullo schermo. Un senso di continuità storica, o in questo caso discontinuità, i quali dipendono in ogni caso da un primo ed un dopo, danno vita alla simultaneità di ogni tempo e spazio subito accessibile nel presente. In un altro passaggio Huyssen propone che:
La nostra ossessione verso la memoria funziona come reazione contro il crescente processo tecnico che sta trasformando il nostro modo di vivere in un sistema abbastanza distaccato. La memoria rappresenta un tentativo di rallentare il processo di informazione per resistere alla dissoluzione del tempo nella sincronicità dell’archivio per riprendersi il modello di contemplazione al di fuori del modello della simulazione e delle reti cablate ad alta velocità per aggrapparsi a qualche spazio in un mondo frastagliato e spesso minaccioso di eterogeneità, non sincronia, ed abbondanza di informazioni.
Huyssen ci suggerisce un idea circa il ruolo del museo o della galleria d’arte nella nostra condizione tecnologica attuale. Un posto di resistenza, e contemplazione degli effetti dei processi tecnici. Invece musei e gallerie hanno a che fare con oggetti la cui materialità ci può apparire resistente alle trasformazioni generate dai media elettronici e digitali. Visitando una galleria come il Tate modern questa arte è ancora legata ad oggetti prodotti, cose, dipinti, sculture e così via.
Ma lo stato di museo o galleria in relazione al sempre più veloce processo tecnologico che sta trasformando il nostro vivere è più complesso. Come un archivio, una forma di memoria artificiale ed esterna, il museo o la galleria non possono starne al di fuori, separati e resistenti all’apparato tecnico che struttura la nostra memoria. A metà degli anni ottanta Jacques Deridda pone l’attenzione su:
l’immensa questione della memoria artificiale e delle modalità moderne di archiviazione con cui ci confrontiamo oggi, in accordo con il ritmo e con le dimensioni che non hanno paragone con quelle del passato; la totalità della nostra relazione con il mondo (al fianco o al di la della sua antropologica determinazione): habitat, tutti i linguaggi, la scrittura, la cultura, l’arte ( al dila delle gallerie d’arte, videoteche, biblioteche digitali) la letteratura ( al di la delle biblioteche) tutta l’informazione o informatizzazione ( al di là dei dati a disposizione) dentro la trasformazione che riguarda tutte le relazioni con il futuro.
Deridda espone questo tema nel suo libro ‘Febbre dell’Archivio’, dove suggerisce che:
l’archivio non è soltanto il luogo dove immagazzinare e conservare i contenuti del passato che esisterebbero comunque, anche senza l’archivio. No la struttura tecnica dell’archivio determina anche la struttura dei contenuti archiviabili, anche nel suo prendere corpo e nella sua relazione con il futuro.
E continua:
non dobbiamo chiudere i nostri occhi di fronte alla illimitata potenzialità dell’archiviazione tecnologica. È necessario ricordare che l’archivio di cui stiamo parlando non determina solamente il momento della registrazione, ma piuttosto l’istituzione degli eventi archiviabili. La tecnica dell’archiviazione ha fatto si che tutto ciò che è stata istituito nel passato sia una anticipazione del futuro.
Riguarda non solo la nostra comprensione del passato, ma anche la nostra relazione con il futuro, attraverso la scelta delle eredità che sono disponibili a noi ed alle generazioni future. E non è una questione di gusto, o di fashion o di finanza e così via. È fondamentalmente legato alla struttura della galleria come istituzione in termini di compresnsione del suo ruolo e dei suoi compiti ed anche il suo metodo di realizzazione operativo. Il più rapido paragone tra la storia dell’arte post-bellica e la struttura del Tate, dimostra che, per quanto cerchi di rappresentare, meglio che può, l’arte del periodo, ci sono molte altre esperienze con le quali ha fallito il confronto, tra cui: l’arte cibernetica, l’arte robotica, l’arte cinetica, l’arte telematica, la computer art, e la net.art.
Non è una coincidenza che tutte queste ed altre che non ho menzionato siano esperienze che emergono in relazione, o come risposta, alla crescente importanza ed ubiquità dell’informazione e delle tecnologie della comunicazione, quali la telefonia, la televisione, i computer, le reti di computer eccetera. Non è, naturalmente, che il Tate segua una deliberata politica di esclusione, ma è, piuttosto, una istituzione fondata all’interno di diverse condizioni, di produzione artistica e di ricezione del tardo novecento; semplicemente non è propriamente attrezzato per mostrare ‘tele-opere’ , o almeno non lo è al momento.
Tale lavoro ha una storia che risale a prima della seconda guerra mondiale. La guerra ha portato a numerosi ed importanti sviluppi tecnologici, inclusi radar e supporti digitali. Nei decenni che seguirono la guerra questa tendenza fu seguita dalle correnti artistiche, facilitate o ispirate, spesso, dalla emigrazione degli artisti legati al Kineticismo ed al Bauhaus negli stati uniti. Negli anni 50 e nei primi anni sessanta John Cage concentrò il suo lavoro sul concetto di interazione e multimedialità e sulle possibilità dell’elettronica, come nel suo famoso ‘silent piece’ 4’33. Il suo lavoro era fonte di ispirazione non solo per altri compositori che lavoravano sull’elettronica, ma anche per altri artisti interessati ai processi di interazione e performance, come Alan Kaprow ed altri legati alla corrente ‘Fluxus’.
Negli Stati Uniti gli anni 50, hanno visto anche i primi lavori di arte elettronica, prodotti, insieme ad altri, da Ben Laposky e John Whitney Sr, così come i primi elementi di musica sintetizzata al computer, da Max Mathewa alBell Labs. Mentre in Europa, compositori come Pierre Boulez, Edgar Varese e Karlheinz Stockhausen, si stavano confrontando con l’elettronica, artisti come Jean Tinguely, Pol Bury Nicolas Schoeffer, Takis, Otto Piene, Julio le Parc, Tsai Wen- Ying e Len Lye (conosciuto anche come regista) e gruppi come Le Mouvement, The New Tendency, ZERO e Le Groupe de Recherche d’Art Visuelle, cominciarono ad esplorare le possibilità del Kineticismo e la cibernetica nell’arte. Questo lavoro era accompagnato ed incoraggiato dalle idee di teorici come Abraham Moles in Francia e Max Bense in Germania, che scrivevano a proposito della teoria dell’informazione e della cibernetica applicate alle arti. Bense riuscì a mettere in pratica le sue idee con la fondazione della Stuttgart University Art Gallery. Durante i due decenni da direttore della Galleria si tennero molte delle prime esibizioni di computer art.
In Inghilterra dove una generale attitudine antitecnologica aveva prevalso sin dal diciannovesimo secolo, vi erano delle eccezioni, quali il movimento Vorticist nei primi anni del ventesimo secolo. Ma il maggiore contributo a questo tipo di corrente ed idee artistiche in questo paese fu dato dal molto influente, anche se di breve durata Indipendent group (IG – Gruppo Indipendente), che raccoglieva una serie di giovani artisti, designer, teorici ed architetti legati all’Istituto di Arte Contemporanea (ICA). Attraverso dibattiti e mostre realizzate all’ICA ed altrove, furono presentate e discusse teorie sulla tecnologia, sui media comunicazione e la cibernetica. La più famosa mostra per cui è ricordato il ‘gruppo indipendente’ fu ‘Questo è domani’, tenutasi alla ‘Whitechapel Art Gallery’ nel 1956 che analizzava molte di queste idee con fervore.
In particolare il bisogno di difesa nucleare ed in generale le risorse destinate all’esercito, favorirono lo sviluppo del computer come mezzo visuale interattivo, piuttosto che semplicemente un dispositivo numerico. Questo ha prodotto, insieme ad altri fattori, un crescente interesse circa le possibilità di utilizzare queste tecnologie come strumento per l’arte. Nel 1965 e nel 1966 le prime mostre di ‘computer art’ furono tenute alla Stuttgart University Art Gallery ed alla Howard Wise Art Gallery di New York. Alla fine degli anni 60 le crescenti e più sofisticate possibilità delle tecnologie video ed audio, insieme con le idee di teorici come Buckminster Fuller e Marshall McLuhan, diedero ancora maggiore impeto allo sviluppo di esperienze che riguardavano sia le tecnologie stesse, sia le riflessioni ad esse collegate. È possibile cogliere la necessità di un utopico ‘sistema estetico’, nel quale la combinazione di nuove tecnologie e le idee circa i sistemi e la loro interazione, potessero produrre un mondo migliore. Artisti, compositori, registi, scienziati, architetti e designer, tutti credevano nella possibilità per le tecnologie di creare lavoro.
Tra i più importanti artisti e gruppi ricordiamo: Roy Ascott, David Medalla, e Gordon Pask inGran Bretagna, le cui idee derivano dalla; Lilian Schwartz, Edward Zajac, Charles Csuri, Ken Knowlton e Leon Harmon, e Michael Noll, pionieri della computer grafica negli Stati Uniti; mentre Manfred Mohr ed altri con Max Bense facevano le stesse esperienze in Germania, i registi Stan Vanderbeek, e Len Lye, membri del movimento Fluxus, Wolf Vostell e Nam June Paik, furono i primi ad usare la televisione nei loro lavori. Paik le cui opere prevedevano l’utilizzo di altri mezzi, quali il registratore, fu uno dei primi artisti a trarre vantaggio dalle video-camere portatili per produrre i primi lavori di video arte, esperienze portate avanti da altri giovani artisti del tempo, quali Les Levine e Bruce Nauman. Nello stesso periodo altre tecnologie, come l’elettronica il laser ed i sistemi di luce, venivano sperimentati da artisti , quali Vladimir Bonacic, Otto Piene e Dan Flavin. Uno dei più importanti sviluppi del periodo fu quello degli ambienti multimediali su larga scala. Su questa linea si inseriscono i lavori di Robert Rauschenberg, Robert Whitman, John Cage, LaMonte e Zazeela Young ed il loro ‘Theater of Eternal Music’, (teatro della musica eterna) Mark Boyle, ed i gruppi USCO e Pulsa. Questo tipo di esperienze si intersecano con lo sviluppo della musica rock psichedelica ed underground. Molti di questi furono più tardi considerati parte della ‘Conceptual Art’. Molti dei più importanti lavori furono sviluppati sotto l’egida dell’EAT (esperimenti nelle arti e tecnologie) un gruppo fondato da Billy Kluever e Robert Rauschenberg e dedicato alla collaborazione tra artisti ed ingegneri. Nel 1966 l’EAT tenne il suo famoso show ‘9 sere’ alla’Armony, New York. Una serie di spettacoli coinvolsero sia artisti che ingegneri. Negli anni che seguirono numerose esibizioni detero spazio alle nuove tecnologie, tra cui The Machine as Seen at the End of the Mechanical Age al MOMA, New York, nel 1968, che fu accompagnato da uno show commissionato dall’EAT Some More Beginnings al Brooklyn Museum. Negli stessi anni la leggendaria esibizione di cibernetica Serendipity, curata da Jasia Reichardt, fu tenuto all’ICA di Londra. Un anno dopo ci fu Art by Telephone a Chicago and Event One a Londra (quest’ultima organizzata dalla Computer Art Society, l’equivalente britannica dell’EAT. Negli anni 70 il critico e teorico Jack Burnham organizzò Software: ‘tecnologia dell’informazione, il suo significato per l’arte’ al Jewish Museum, New York. Come Cybernetic Serendipity questo show metteva insieme i lavori di scienziati teorici del computer ed artisti con poca attenzione alle delimitazioni disciplinari. Nel 1971 il risultato del lavoro di Maurice Tuchman al programma Arte e tecnologia fu presentato al Los Angeles County Museum
Jack Burnham e Jasia Reichardt erano anche produttori di lavori critici su arte, scienza e tecnologia. Burnham pubblicò la sua opera omnia ‘Al dilà della scultura moderna’ nel 1968. Nello stesso periodo Reichardt pubblicò numerosi lavori., tra cui ‘Studio internazionale’ che accompagnò la sua mostra, mentre Gene Youngblood pubblicò ‘cinema espanso’ una straordinaria visione di video sperimentali e multimedialità.
L’importanza di questi studi fu dimostrata da due libri, di Thames e Hudson, sul tema dell’arte e tecnologia ‘Scienza nell’arte e tecnologia oggi’, di Jonhatan Bentall del 1972 e ‘arte ed il futuro’ di Douglas Dvisin nel 1973, lo stesso anno in cui Stewart Kranz produsse il suo monumentale lavoro ‘scienza e tecnologia nell’arte: un tour attraverso il regno della scienza/ arte’. È difficile cogliere l’energia utopica che avvolgeva le pubblicazioni e queste mostre. L’apogeo di questo progetto utopico rappresentava l’inizio della sua fine e la sua sostituzione con l’idealismo e tecnofuturismo con l’ironia e la critica dell’arte concettuale. È difficile distinguere tra arte concettuale e sistemi d’arte. Invece per molto tempo questi due concetti sono stati considerati interscambiabili. Ma negli anni 70 questa differenza cominciava ad essere chiara. Nel 1970, lo stesso anno della manifestazione di Burnham, Kynastone McShine curò un allestimento al MOMA, con un nome che entrò fermamente nell’area del ‘system art’: information potrebbe sembrare molto orientato verso il sistema, e sebbene vi abbiano partecipato gli stessi espositori di ‘software’, questa mostra non prevedeva la presenza di ingegneri e tecnici. Inoltre l’atteggiamento generale tenuto dagli artisti verso la tecnologia fu distaccato e critico. Forse l’ultimo salto del sistema arte fu nel 1971 quando Robert Morris, oggi considerato un paradigmatico artista concettuale, ha tenuto una mostra al Tate. Sebbene non abbia coinvolto direttamente la tecnologia, la mostra era interamente concentrata sui concetti di interazione, processo e feedback, dove i visitatori erano spinti ad interagire con il display (una mostra lontana dall’arido intellettualismo che si pensa debba caratterizzare l’arte concettuale è dura da immaginare). La mostra fu chiusa dopo 5 giorni e riaperta solo in una forma molto meno interattiva. Gli anni 70 rappresentano l’apparente scomparsa del sistema arte superato da altri approcci. Il suo fallimento, se può essere descritto, può essere imputato ad una serie di fattori; la qualità del lavoro stesso, il fallimento della mostra di rappresentare ciò che ci si attendeva, il rifiuto di parte degli artisti di collaborare con l’industria per realizzare progetti e mostre, il sospetto della pretesa tecnocratica del sistema arte e della cibernetica con le sue radici nel complesso meccanismo ‘esercito-industria-università’; l’uso delle tecnologie sottendeva una strumentale e scientista visione del mondo, in particolare il suo utilizzo durante la guerra del Vietnam, ed infine, la difficoltà di collezionare e conservare questo tipo di lavori.
L’inasprirsi della ‘counter culture’ negli anni 70 e la crisi economica dello stesso periodo non incoraggiarono nessun tipo di utopismo tecnologico.
Tra gli anni 70 ed 80 la video-arte fu gradualmente sottomessa alla tendenza artistica mondiale; i nuovi media, elettronica, computer e cibernetica furono largamente ignorati. Questo tipo di arte continuò ad essere praticata e concettualizzata, ma fu relegata in particolari manifestazioni specialistiche quali Siggraph, la conferenza annuale organizzata dalla Association of Computer Machinery, specializzata nella grafica. Molti di coloro che si ritenevano degli artisti che lavoravano con le tecnologie, finirono impiegati nell’industria.
Ad un altro livello il ‘systems art’ può essere considerato un successo se non pensato come arte. Le crisi economiche hanno condotto ad una ristrutturazione dell’ economia capitalista e della finanza globale, che è stata aiutata dalla crescente ubiquità delle reti di computer. Ciò a sua volta ha dato il via a quella che è conosciuta come l'economia post-industriale, nella quale l’informazione diviene il modello dominante di produzione (almeno nei paesi sviluppati), così come anticipato da Alvin Toffler e Daniel Bell. Il tecno-utopismo degli anni 60 riemerge nel decennio successivo in relazione allo sviluppo del personal computer e di internet, attraverso le tecnologie sperimentate durante la guerra fredda dal complesso meccanismo ‘militare-industriale accademico’. La fine degli anni 70 ha visto non solo questi sviluppi, ma anche l’inizio degli effetti speciali per il computer, video giochi, e l’inizio di sistemi facili da utilizzare, così come la fiction cyberpunk, la techno music e la grafica.Alla fine di questa decade due studiosi francesi Simon Nora e Alain Minc, scrissero un report per il Presidente Giscar d’Estaing nel quale annunciavano la società computerizzata e l’avvento della telematica, legando al tempo stesso il computer alle telecomunicazioni. Tra i lavori sviluppati in questo periodo ricordiamo quelli di Douglas Davis, Harold Cohen and ‘Aaron’, Stelarc, Jeffrey Shaw, Legible City, Lilian Schwartz, Paul Brown, Robert Adrian X. È in questo periodo che si comincia a parlare di poststrutturalismo e postmodernismo, in parte come risposta critica alla ubiquità ed al potere delle tecnologie dell’informazione e le reti di comunicazione. Gli scritti di Derrida, Baudrillard, Jameson, Deleuze e Guattari e Lyotard, nonostante le differenze nei loro approcci implicano sempre una critica al sistema ed alle teorie della comunicazione. Si aprì, quindi, uno spazio all’approccio critico, che riportò l’attenzione di nuovo sul ‘systems art’. nel 1979 il primo ars electronica festival fu tenuto a Linz in Austria. Nel 1985 il filosofo Jean- François Lyotard curò una mostra al Beaubourg, Les Immatériaux, che si proponeva di mostrare gli effetti culturali delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Fu circa nello stesso periodo che il Tate organizzò il suo primo show di computer art, la mostra del 1983 con i lavori di Harold Cohen ‘Aaron’, un programma di intelligenza artificiale. Ma fu tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 che il sistema cominciò veramente a riemergere. Questo periodo vede la nascita del World Wide Web. Nel 1988 a Liverpool fu fondata Moviola, un’agenzia per la Promozione, distribuzione e presentazione di arte mediatica ed elettronica, sotto l’egida di Videopositive, il festival annuale per questo tipo di arte(Moviola in seguitò diventò la Fondazione per L’arte e la tecnologia creativa FACT). Nello stesso anno si tenne il primo simposio internazionale su l’arte elettronica (ISEA). Un anno dopo fu fondato a Karlsruhe, in Germania il Centro per l’arte e tecnologia dei media (ZKM) Nel 1990 una simile istituzione è stata inaugurata in Giappone il NTT a Tokyio, mentre il San Francisco Museum of Moderm Art tenne la sua prima manifestazione sull’arte dei nuovi media. Negli anni 90 la Walzer Art Gallery di Minneapolis mise in mostra lavori digitali e sui nuovi media. Nello stesso periodo alla National Gallery di Londra si sperimentava il primo utilizzo di computer per esposizione pubblica. Nel 1993 il Guggenheim di New York tenne una mostra di realtà virtuale: An EmergingMmedium, seguita tre anni dopo da Mediascape. Nel 1994 il primo Lovebyte festival di arte elettronica si è tenuto a Sheffield e nel 1997 la Barbican Art Gallery allestì la mostra Serious Games: Art,Technology and Interaction (Giochi seri: arte tenologia ed interazione) curata da Beryl Graham. A Hull fu istituito il Time based Art Center con lo scopo di concentrare l’attenzione sui nuovi media applicati all’arte. L’anno scorso il FACT ha inaugurato un centro per l’arte ed i nuovi media a Liverpool, il Baltic, a Gateshead si è impegnato ad aumentare la partecipazione a questo tipo di iniziative. È da notare che a Londra l’unica istituzione che allestisce esposizioni su queste tematiche è il Museo di Scienze.
Forse il più importante evento in termini di esperienza di arte digitale del tempo è lo sviluppo del primo browser a portata di tutti nel 1994. il World Wide Web è stato sviluppato come risultato di una idea pionieristica di Tim Berners-lee, uno scienziato Britannico del Centro Europeo di Ricerca Nucleare (CERN) in Svizzera. Berners-Lee era interessato all’utilizzo di internet per accedere ai documenti digitali. A questo scopo sviluppò una versione del ‘Standard Generalised Markup Language (SGML)’ che chiamò Hypertext Markup Language HTML. Questo ha permesso di realizzare testi ed in seguito immagini disponibili per i visitatori che utilizzavano l’appropriato software, e di creare collegamenti tra un documento ed un altro. L’emergere del Web ha coinciso con il collasso dell’Unione Sovietica, e con un ritrovato senso di libertà e di scambi transfrontalieri. Quando i rimi broweser facili da utilizzare furono sviluppati all’inizio degli anni 90, come Mosaic e Netscape, le possibilità del web furono sfruttate da numerosi artisti che alla metà degli anni 90 cominciarono a produrre sotto il segno della ‘net.art’. Questo significa che almeno una parte del lavoro veniva sviluppata sul web e per il web e poteva essere vista soltanto on-line. Il termine ‘net.art’ fu probabilmente coniato da Vuk Cosic nei primi anni 90, con riferimento ad esperienze artistiche che coinvolgevano il World Wide Web, dopo che ha ricevuto un email composta dal codice ASCII nel quale gli unici elementi leggibili erano ‘Net’ e ‘Art’ separate da un punto. Da quel momento si è registrato uno straordinario incremento di lavori che si possono ricondurre alla net.art, da Vuk Cosic, Olia Lialina, Alexei Shulgin, Rachel Baker, Heath Bunting, Paul Sermon, 0100101110101101.org, Natalie Bookchin, Lisa Levbratt, Paul Sermon, Radioqualia, ®Tark, Matt Fuller, Thomson e Craighead,e molti altri. Nello stesso periodo il dibattito sulle tecnologie e l’arte hanno proliferato attraverso email list, quali Rhizome, Nettime e CRUMB (la lista della Sunderland University curata da Beryl Graham e Sarah Cook’s), così come pubblicazioni del tipo di Mute. Così come per il periodo tra gli anni 60 e 70, ci sono state numerose pubblicazioni importanti sull’argomento tra cui quelle di Lev Manovich, Christiane Paul, Oliver Grau, Stephen Wilson, Edward Shanken, e Michael Rush, ricercatore al Dipartimento di Storia dell’arte. Anche l’università cominciava ad aprire le porte verso queste realtà, come dimostra la decisione dell’ Arts and Humanities Research Board dell’Università di Londra di concedere al Birkbeck College, un assegno di ricerca per lo studio della computer art Britannica. L’interesse per la materia è in continuo aumento, sia a livello di esperienze pratiche, che di ricerca accademica. Questo tipo di lavoro riflette il fatto che le nostre vite sono legate a quello che Donna Haraway chiama il ‘circuito integrato’ di capitale hig-tech. Non è una esagerazione dire che le nostre vite sono interamente governate da sistemi e processi tecnologicamente avanzati, dall’ubiquità e dalle sempre più invisibili reti di computer, dai telefoni cellulari, dalla manipolazione genetica, dall’intelligenza artificaiale, dalla vita artificaiale. Queste tecnologie sono intimamente legate al concetto di globalizzazione, sicurezza, terrorismo, pornografia e così via. I lavori degli anni 60 e 70 sembrano adesso estremamente interessanti e lungimiranti sulle possibilità delle nuove tecnologie e sulle loro possibili implicazioni. Nonostante tutto, questo tipo di lavoro è ancora sottorappresentato al Tate. Naturalmente sono benvenuti i possibili sviluppi compresa la commissione per la net.art e la manifestazione Art and Money Online ed il crescente interesse verso film, video e fotografia. Ma nonostante gli sforzi per comprendere le varie forme di esperienze mediatiche, ancora non si riescono a comprendere o agganciarsi con il genere di lavoro accennato precedentemente. In particolare le opere interattive che coinvolgono reti e processi di feedback non sono generalmente curate. I lavori sui nuovi media che vengono esposti al Tate sono interamente statici, non comprendono nessun tipo di interattività. Questo riguarda anche la commissione per la net.art. Questa non è una sorta di accusa ad un’istituzione particolare. Ci sono molte buone ragioni perché il Tate si tiri fuori dal tipo di lavoro finora descritto. Ci sono molte difficoltà nell’allestimento e nella cura di queste esposizioni; ci sono altre forme di esperienza artistica che richiamano l’attenzione del Tate; e la loro importanza storica e contemporanea non è spesso compresa. Il Tate è stato esemplare nell’organizzare diverse manifestazioni il cui allestimento è stato spesso discusso, tra cui Matrix: Intersections of Art and Technology una serie di dibattiti tenuti da esperti molto conosciuti sui nuovi media, nell’autunno del 2003.
Ci sono anche molte ragioni per cui il Tate dovrebbe pensare a come confrontarsi con questo tipo di lavori. Questa istituzione ha una lunga ed importante storia che si interseca con altre forme di esperienze artistiche.
L'interesse rinnovato aumenterà ed approfondirà la nostra comprensione degli sviluppi artistici nell'era del dopoguerra. Mi spingerò fino a dire che nessun tentativo di capire l'arte di quel periodo non può essere intrapreso senza considerare tale lavoro. Inoltre, tale esperienza, sia nella sua storia che nelle recenti manifestazioni è di grande importanza per quanto riguarda la sua capacità di confrontarsi e di riflettere sulle attuali condizioni tecnologiche. Questa è una delle ragioni per cui un grande numero di artisti sta lavorando su queste tematiche. Ed è per questo che ogni tentativo di allestire collezioni e mostre significa diventare molto popolari, specialmente per i giovani. Le nuove tecnologie riguardano tutti, indipendentemente dalla loro età, dal loro lavoro, dalla loro casa. Per molti giovani sotto i 30 anni in Gran Bretagna, un mondo senza videogiochi, effetti speciali, internet, telefoni cellulari e così via, sarebbe inimmaginabile.
La possibilità di essere ovunque attraverso le tecnologie avanzate è il sintomo di crescenti problematiche quali la globalizzazione la manipolazione genetica, il bioterrorismo, che riguardano tutte le persone giovani o meno giovani che siano. Uno dei risvolti ironici della net. Art è che nonostante sia responsabile di questo sviluppo, ripete le gesta delle prime avanguardie. Così come evidenzio nel mio libro La cultura digitale:
Praticamente ogni strategia delle avangardie del dopoguerra ha trovato nuova espressione nella net.art, compresi Lettriste-style hypergraphology, che riguarda la rappresentazione dei codici e dei segni, giochi algoritmici, guasti tecnologici organizzati, come precedentemente sperimentato nella video arte, la cibernetica virtuale e la robotica.
Ma questa ripetizione, lontano da essere un motivo per condannare l'arte della rete, è precisamente ciò che gli ha dato forza, così come era stato per le neo-avanguardie degli anni 60, che ricalcavano le così dette avanguardie degli anni 20 e 30. Nel suo libro Il ritorno del reale, Hal Foster, descrive queste ultime come il nachtraglichkeit, il termine Freudiano per effetto ritardato, per cui una esperienza assume una dimensione traumatica soltanto attraverso la ripetizione e la ritardata consapevolezza di un significato sessuale. Come evidenzia Foster: un evento è registrato soltanto attraverso un altro evento ad esso collegato; noi siamo considerati ciò che siamo soltanto a posteriori. Le nuove e le storiche avanguardie sono considerate nella stessa maniera, come un continuo processo di protezione, una complessa via di anticipazioni future e ricostruzioni passate, in una azione che va al di la degli schemi del prima e del dopo, causa ed effetto, origine e ripetizione. E continua: su questa analogia il lavoro delle avanguardie non è mai storicamente determinato, o pieno di significato nel suo momento iniziale. Non è possibile perché è traumatico, un buco nell’ordine simbolico del tempo, al quale non siamo preparati. Nonostante i continui rifiuti e fallimenti le avanguardie continuano a ritornare, ma come evidenzia Foster ‘ritornano dal futuro’
Le avanguardie sono l’archivio del futuro. Lo stesso può essere detto anche per la net.art. Commentando la formazione dell’esponente della net.art Vuk Cosic, come una archeologo, e la sua presunta similitudine tra la net.art e l’archeologia Julian Stallabrass suggerisce che: la net.art, è vista come una archeologia del futuro, disegnata sul passato (specialmente il modellismo) e come produzione di una complessa interazione di un potenziale passato non realizzato ed un utopico futuro in una sintesi che è vicina all’ideale di Walter Benjamin. Archeologia è legata ovviamente all’archivio’, ed entrambi riguardano la conservazione di materiali rimasti nel passato. La net.art delinea le condizioni dell’archiviazione nelle nostre attuali condizioni delle telecomunicazioni.
Derida ci ricorda che la domanda dell’archivio è: una domanda del futuro, la promessa del futuro stesso, la domanda di una risposta, di una promessa ed una responsabilità per il domani. L’archivio: se vogliamo conoscere che cosa significa sapremo soltanto arrivare in tempo. Forse.
Notes
1. Richard Beardsworth, ‘Thinking Technicity’, in Martin McQuillan (ed.), Deconstruction: A Reader, Edinburgh 2000, p.235.
2. J. Hillis Miller, ‘stay! Speak. Speak. I Charge Thee to Speak’, Culture Machine [On-Line], 2000 URL
[[Media:Media:http://culturemachine.tees.ac.uk/Cmach/Backissues/j002/Articles/art_miller.htm]]3. Bernard Stiegler, Technics and Time 1: The Fault of Epimetheus, Stanford 1994, p.86. 4. Ibid., p.88.
5. Friedrich Kittler, Gramophone, Film, Typewriter, Stanford 1999, pp.1-2.
6. Bernard Siegert, Relays: Literature as an Epoch of the Postal System, Stanford 1999, p.12.
7. Andreas Huyssen, Twilight Memories: Marking Time in a Culture of Amnesia, London 1994, p.253.
8. Ibid., p.7.
9. Jacques Derrida, Memoires: For Paul de Man, New York 1989, p.107.
10. Jacques Derrida, Archive Fever: A Freudian Impression, Chicago 1995, pp.16-17.
11. Ibid, p.18.
12. Charlie Gere, Digital Culture, London 2002, p.111.
13. Hal Foster, The Return of the Real: The Avant-Garde at the End of the Century, Cambridge, Massachusetts 1996, p.29.
14. Ibid., p.29.
15. Ibid., p.29.
16. Julian Stallabrass, Internet Art The Online Clash of Culture and Commerce, London 2002, p 49.
17. Jacques Derrida, Archive Fever: A Freudian Impression, Chicago 1995, p.36.