The re-dematerialisation of the object and the Artist in Biopowe
LA RI-SMATERIALIZZAZIONE DELL’OGGETTO E L’ARTISTA NEL BIO-POWER Traduzione di Emwan kulpherk
Una delle prime analisi dettagliate sulla net-art
La Graw poi si scontra con la sua forzata ammissione circa la crescente condizione d’avanguardia della net-art ( profondamente rifiutata e quindi totalmente incomprensibile all'ordine del giorno che regola le istituzioni di arte) osservando che gli artisti di rete stanno facendo rivivere concetti chiave degli anni 70 e 80.
Nonostante la superficialità storica nel datare alcune di queste strategie agli anni ’70 anziché agli anni ’60, le sue considerazioni mettono a nudo qualcosa di cruciale – il fatto che , malgrado le dichiarazioni di alcuni artisti di rete secondo i quali nell’accedere a questo nuovo mezzo di comunicazione, stavano anche entrando in una nuova fase storicamente libera, extra-istituzionale di arte nella quale, tra le altre cose, la mercificazione veniva sconfitta dalla smaterializzazion e lo storicismo dalla comunicazione, molte delle premesse della net-art la condannarono invece ad una serie di ripetizioni storiche. Nelle sue conclusioni comunque, la Graw, indebolisce la persuasività del suo compito di ripetitività storica, denunciando il suo stesso interesse nel preservare una definizione parimenti revivalista dell’arte.
In cambio solo dei più scarsi progressi, ciò che si perde è la qualità più preziosa dell’arte: la sua autonomia e le libertà che questa offre.
In questo capitolo cercherò di dimostrare come semmai è vero il contrario. Per quanto fortemente gli artisti di rete si siano sforzati di liberare l’arte e le strutture di sostegno della sua legittimazione, mediazione , esibizione,interpretazione e storicizzazione dal loro valore di merce, proprio preservando la nozione di arte, gli artisti di rete hanno condannato loro stessi allo stesso destino toccato alle avanguardie del 20esimo secolo- la definitiva assimilazione dei suoi atti nel meccanismo del mercato dell’arte. Questa è l’ormai troppo nota storia di come il vero sforzo di evitare queste relazioni, il coraggioso salto verso un campo autonomo di pratica, finisca per fornire al mercato il suo nuovo spazio di espansione.
Sebbene sia una considerevole somma di denaro per un’opera d’arte, questo pagamento (ormai non rimane alcun dubbio) mette a tacere qualsiasi affermazione secondo cui la net-art possa essere sfuggita con successo alla mercificazione, attraverso la smaterializzazione, la riproducibilità digitale e la sua esistenza all’interno di un mezzo di comunicazione di molti e per molti.
Comunque la familiarità di questo risultato non implica che gli artisti della rete qui presi in considerazione debbano essere accusati di spostare semplicemente i principi dell’arte canonica già esistenti in un altro campo, solamente per essere più appetibili da un mercato dell’arte sempre vorace. Ciò che le interpretazioni come quella della Graw dimenticano è che l’esportazione delle strategie concettuali e post-moderne come la smaterializzazione, l’appropriazione e la contraffazione nella rete, non comporta semplicemente un cambiamento del mezzo e del contesto di produzione/osservazione. Al contrario, questa nuova configurazione, porta a risultati molto diversi che mostrano le contraddizioni della supposta autonomia dell’arte e dell’ancor più ineluttabile condizione di merce, così come partecipando ad un nuovo ordine di produzione tecno-sociale e di relazioni che sfidano e minacciano di mettere in crisi le stesse basi di una tale contraddizione. Qui mi riferisco all’impatto della rete in tutti i campi della vita sociale, culturale, economica e politica, che sta alterando il terreno sul quale risiede l’arte.
Questo capitolo non considererà solamente i modi attraverso i quali la net-art ha cercato e fallito nell’eludere il mercato dell’arte, ma anche se le strategie di plagio, identità molteplici, pirateria e ipertesto producano un eccesso irrecuperabile.
REMATERIALIZZAZIONE – UN SEMPLICE RITORNO IN USO
In modo interessante, tuttavia, questa piccola libertà salvata nell’efficienza dell’espansione capitalistica post-bellica, sembra quasi innegabile per la Lippard alla luce dei fallimenti dell’arte smaterializzata.
Questa liberazione dai dettami dell’estetica annunciò anche il termine dell’isolamento dell’arte dalle altre discipline che così chiaramente la formavano.
Fu forse con gli esperimenti degli anni ’60 e ’70 nella smaterializzazione che il mercato (dell’arte) rivelò la piena estensione della sua capacità di convertire il privo di valore in prezioso basandosi sulla minima intercessione dell’artista.
Questo eccezionale potere degli artisti di trasfigurare il banale, anche contro la loro personale volontà ( l’inspiegabile valore del taccuino dell’artista), in quello che il mercato capitalizza e il profano venera, viene direttamente attaccato in questo periodo.
Facendo riferimento ad un ordine di artisti più vecchio, l’invettiva del ’68 di Buren può, con un giudizio a posteriori, anche essere perfettamente applicata all’arte concettuale:
“quando credi nell’arte, alcune cose sono viste in relazione ad essa – altrimenti non esistono, il che a me sembra assurdo-. L’arte è, come si dice, una verità che dal simboleggiamento, sviluppo e organizzazione, mostra che il mondo esteriore esiste ed è bello e non sarebbe così se non ci fosse l’arte.
Sebbene forse ovvio, è importante enfatizzare che l’intenzione degli artisti concettuali era di attaccare e demolire il possesso dell’arte di questi poteri trasformativi e le iniquità implicite in questo possesso, e non di delegittimarli come tali.
Prima di guardare più da vicino come le questioni del possesso e del copyright siano state risolte da questi artisti e come tutto ciò di contro si sia riversato sul grosso interrogativo della funzione dell’arte, è opportuno fare alcune ulteriori osservazioni sulla devoluzione dell’azione creativa nell’arte.
Shulgin dichiara che sia passato che futuro esistono solamente nella forma delle rappresentazioni fine a se stesse usate per ottenere potere sul presente che è di conseguenza eclissato assieme alla volatilità del suo immanente potenziale.
In modo interessante, data la stessa conseguente assimilazione istituzionale della net-art e la celebrazione dei suoi produttori individuali, Shulgin avverte che i più grandi problemi della net-art “sono profondamente radicati in una determinazione sociale delle nozioni di arte e di artista.
Per quanto chiaramente possiamo vedere le origini della moderna informatizzazione dell’economia nell’arte concettuale, identificare le straordinarie differenze tra questi due momenti storici risulta comunque più utile che individuarne i nessi.
Il proletariato, non più inteso come categoria egemonica di lavoratori, ma come chiunque sia impiegato dalle faticose relazioni del capitalismo, è ora occupato con la produzione della vita stessa.
E’ anche importante notare che, sebbene Negri e Hardt vedano ICT come centrale in questo processo, non ritengono che il bio-power operi esclusivamente all’interno dell’orizzonte del linguaggio e della comunicazione.
Loro sottolineano che una delle gravi mancanze dei recenti contributi degli autori italiani Marxisti a questa questione sia la tendenza a considerare le nuove pratiche del lavoro nella società bio-politica solamente nei loro aspetti intellettuali e incorporei.
La produttività dei corpi e il valore del contatto comunque, sono assolutamente centrali in questo contesto.
Vorrei suggerire che la net-art e in particolare le sue prime manifestazioni richiedono il genere di comprensione sfumata e dolce-amara per il loro contesto immateriale e comunicativo che anche Negri e Hardt condividono nella loro analisi sul biopotere. In contrasto con gli artisti concettuali, come potremo vedere dai lavori commentati sotto, gli artisti di Rete intendono l’immaterialità come parte di una riorganizzazione limite delle relazioni sociali ed economiche nelle quali la comunicazione di massa fornisce la redentiva possibilità del devolvere la creatività e con essa la dissoluzione propria dell’artista. Qui è cruciale l’idea secondo la quale l’esistenza dell’arte nella rete e al di fuori dei confini della galleria – un luogo indistricabilmente legato alla condizione distinta e speciale dell’arte- incastri nuovamente l’arte nel campo sociale. Come sostiene Howar Slater in relazione alla pratica politica dell’arte concettuale del 1960-70, il lavoro dell’artista nel campo sociale nei casi migliori può conservare una catalisi che provoca la catarsi del desiderio già circolante nel campo sociale. Egli contrappone questo, benché occasionale, risultato, agli sforzi dei giovani artisti britannici di rendere catartico il desiderio sociale con un’ avvicinamento alla cultura popolare, sforzi che sono crollati a causa della loro incapacità di superare gli isolati confini del mondo dell’arte e di rischiare un imprevedibile scontro nei più profondi campi sociali. Qui considereremo a che punto la vastità della pratica artistica nella rete riproduce o si libera dai limiti di un tale confinamento.