Economia del dono
L'economia del dono è una forma economica basata sul valore d’uso degli oggetti e delle azioni.
Per valore d'uso, classicamente si intende la capacità di un bene o di un servizio di soddisfare un dato fabbisogno, o tout-court il suo valore di utilità.
L’economia del dono si contrappone all’economia tradizionalmente intesa, definita economia di mercato o economia mercantile, la quale si basa invece sul valore di scambio o valore commerciale.
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Il modello
Spesso parlando di dono si hanno in mente epoche remote o popoli arcaici dove la monetizzazione ancora non era giunta. In realtà, come ci propone Marcel Mauss nel suo "Saggio sul dono", il dono sopravvive tranquillamente anche nella nostra economia e se solo si vuole vederlo non è affatto difficile riconoscerlo.
Una buona sintesi del carattere del dono può essere quella espressa da Jacques T. Godbout: "definiamo dono ogni prestazione di beni e servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone".
Guardando ad una delle cerimonie più caratteristiche dell'economia del dono, il potlatch dei nativi americani, durante la quale vengono scambiati o distrutti (nel senso di sottratti al circuito economico) beni di prestigio, al fine di rafforzare le relazioni gerarchiche tra gruppi e persone, può sembrare che si tratti di economie di nicchia o della vacua ripetizione di riti superati dal tempo.
Eppure l'economia del dono esiste ancora nella nostra civiltà del consumo e si esplica con gli stessi identici obiettivi: rafforzare e ricreare i legami sociali.
Come altro classificare infatti le banche del tempo (esempio tuttavia già inserito in un discorso economico, in quanto il tempo in realtà viene scambiato), il volontariato, i gruppi di autoaiuto, l'offerta spontanea di un caffè tra amici... senza pensare al software libero, di cui parleremo più estesamente.
L'attualità del dono
Come ben argomentato da Godbout nel suo "lo spirito del dono" l'economia del dono continua ad esistere parallela alla cosidetta economia di mercato che pare permeare le nostre vite.
Riprendendo il pensiero di Mauss, che a conclusione dei suoi studi giungeva all'estensione del concetto di dono a tutte le società arcaiche, Godbout arriva ad affermare l'attualità dell'economia del dono che, passando attraverso vari stadi, è in realtà talmente radicata nell'animo umano da non essere quasi più evidenziabile se non prestandoci attenzione.
Afferma che anzi oggi nulla può funzionare e crescere se non nutrito dal dono, ad iniziare dalla stessa vita umana, il cui inizio è proprio un atto di dono all'interno di un nucleo famigliare (legittimo o illegittimo che sia). Probabilmente anche la stessa amministrazione pubblica o le aziende non potrebbero restare sul mercato se il loro "motore umano", i salariati, non dessero sul lavoro più del corrispettivo del proprio salario.
In estrema sintesi, per Godbout l'economia del dono non solo esiste ancora, ma sarebbe anche il motore su cui può crescere l'altra economia (stato e mercato) che ne ha bisogno, in quanto il dono, inteso come sistema, non è altro che il propulsore del sistema sociale: ne permette l'esistenza e la riproduzione.
Ed il sistema dei rapporti sociali non può essere ricondotto ai soli interessi economici e di potere.
La tradizione di pensiero che vede esistere solo la dicotomia stato-mercato come unici sistemi di azione sociale, è in realtà profondamente limitante: nessuno vive solo di/nel mercato o di/nello stato.
In realtà stato e mercato possono rappresentare i luoghi in cui si estrinseca la socialità secondaria e ricordare quindi che prima ancora di assolvere alle funzioni economiche, politiche o amministrative l'uomo deve essere costituito come persona sociale e questo avviene nella sfera della socialità primaria: nella famiglia, nella scuola, nei rapporti di vicinato, nelle amicizie... dove si stringono quei rapporti interpersonali che ci danno un'identità e ci fanno persona.
Che il dono non sia la terza gamba di un discorso puramente economico tra "mercato e stato", ma la base della costruzione di un sistema sociale, è dimostrabile guardando ai paesi in difficoltà del sud e dell'est del mondo, dove nè mercato nè stato riescono a reggere ed è proprio la rete dei rapporti interpersonali (quella mantenuta dal dono) a permettere la sopravvivenza.
Come altro spiegare altrimenti, nell'era di internet, quello che spinge migliaia di persone a lavorare, anche cooperativamente, sul software e sulle reti rendendo disponibile il frutto del proprio lavoro in forma completamente libera (nel senso di accessibilità del codice) e gratuita (in senso economico)?
Il dono nell'era di internet
Nel versante della tecnologia delle reti e del software troviamo uno degli esempi più limpidi di economia del dono, oltre che di cultura e di educazione alla collaborazione. La stessa rete internet si basa su protocolli liberi (da brevetti) sviluppati perloppiù da ricercatori con fondi statali (quindi di tutti). Anzi, lo stesso procedimento di "scrittura" e certificazione delle regole prima di definirle quali protocolli TCP/IP (il cuore pulsante di internet) è avvenuto grazie al sistema delle RFC (Request For Comments).
Con tale sistema, nella logica della pura collaborazione, i protocolli informatici della rete vengono sottoposti pubblicamente alla richiesta di commento ed eventualmente migliorati grazie al supporto di tutti i ricercatori.
La stessa struttura degli RFC prevede una sequenza di passi condivisi prima che la proposta possa venire definitivamente accolta quale standard:
- Proposed Standard: protocolli destinati a diventare standard in seguito a processo e sperimentazione ulteriori
- Draft Standard: implementazione base per lo sviluppo dello standard finale, in questa fase sono richiesti soprattutto test e commenti
- Internet Standard: RFC che ha acquisito la necessaria maturità tecnica.
Anche i documenti ritenuti non adatti a maturare quali standard vengono comunque archiviati (ed in genere divengono standard de facto):
- Experimental: documento relativo a qualcosa ancora in fase di ricerca; viene pubblicata a titolo informativo senza che ci sia la pretesa di farlo diventare standard a breve.
- Informational: documento di tipo informativo su un determinato argomento; può non disporre di un particolare consenso nella comunità Internet e non rappresenta una raccomandazione di sorta
- Historic: standard che sono ormai completamente rimpiazzati da nuove specifiche oppure sono caduti in disuso;
- Best Common Practice (BCP): documenti che suggeriscono alcuni modi di comportamento/configurazione che non sono standard ma consigliati. Deve esistere consenso anche in questo caso, ma il processo di approvazione è più veloce.
Questa economia del dono, su cui si innesta l'educazione alla collaborazione sviluppatasi all'epoca della nascita della tecnologia di internet, ha permeato la cultura informatica degli albori (centri di ricerca, università, college, cultura hackers) prima della nascita del circuito economico del software proprietario e resta particolarmente viva anche oggi nel circuito del software libero.
Angelo Raffaele Meo (docente di sistemi di elaborazione dell'informazione e reti di calcolatori al Politecnico di Torino) e Mariella Berra (docente di sociologia delle reti All'Università di Torino) rifacendosi proprio al lavoro di Mauss sul dono, definiscono questo sistema di produzione del software come "informatica solidale".
Questa è forse una definizione riduttiva, dietro la quale però articolano un intero capitolo dell'ultimo loro testo (libertà di software, hardware e conoscenza): "dono e cooperazione: un nuovo modello di produzione e sviluppo".
Nel sesto capitolo il prof. Meo, rilanciando l'attualità del pensiero di M. Mauss, ritiene fondamentale per la cultura del free software e della ricerca scientifica un concetto: quello della condivisione.
E' proprio in questi due campi infatti che si evidenzia più facilmente che la scoperta, la novità, il miglioramento in realtà poggiano sul lavoro pregresso e continuo di tanti.
In special modo nel campo del software, dove reinventare tutto da zero sarebbe impensabile (ed economicamente insostenibile, anche per le grandi industrie del sw), la libera condivisione del lavoro del singoli, il dono del codice, permette a tutti di progredire e di migliorare l'efficacia del prodotto.
Senza l'etica del dono probabilmente non esisterebbe la cultura del software libero e l'hacktivism, che deriva direttamente dalla cultura di libertà di quegli anni.
Inoltre, analizzando le modalità di sviluppo del software libero (vedi il discorso de "la cattedrale e il bazaar" di Raymond) all'interno di una comunità di programmatori-utenti evoluti ci si rende conto che in questo caso le innovazioni vengono sviluppate in un processo di tipo bottom-up. Le necessità di una nuova funzione, di un nuovo prodotto vengono direttamente dalla comunità di utenti in base alle loro esigenze primarie, non vengono progettate a tavolino da un gruppo di progetto di una grande software house ed imposte alla platea di utenti che le subiscono nella migliore delle ipotesi, le ignorano nella maggior parte dei casi.
E questo processo dal basso implica anche una migliore ottimizzazione delle risorse disponibili che non si perdono dietro a funzioni od effetti inutili.
Per essere convinti di ciò basta semplicemente guardare da dove arrivano le ultime novità nel settore del software: dalla comunità di rete, dal mondo dei cosidetti hackers, mentre i grandi produttori sono sempre ad inseguire le novità pensate altrove, difficilmente le propongono.
L'effetto positivo di questa interazione (programmatore progettista - utente/utilizzatore avanzato) tra produzione ed uso ottiene due effetti:
- di non allontanare la società dalla tecnologia, in quanto questa viene sviluppata tenendo conto di reali esigenze sociali
- di mitigare il carattere autonomo ed ingovernabile della tecnologia adattandola alle esigenze del sociale.
Inoltre una tecnologia scelta e costruita socialmente ha nel tempo maggiori possibilità di diffusione ed accettazione sociale rispetto ad una tecnologia diffusa centralmente e destinata ad utenti passivi.
Ma allora perchè, ci chiediamo, una così scarsa diffusione del free-sw nell'utilizzo quotidiano fuori dalle elite specialistiche?
Se pensiamo alla diffusione dei tre principali sistemi operativi (Windows, MacOs e Gnu-Linux nelle sue varie declinazioni) con il primo che egemonizza, il secondo che gode dei favori di una nicchia di elite ed il terzo che, pur crescendo in diffusione, resta confinato prevalentemente nelle università (che ne apprezzano proprio la trasparenza del codice aperto), nelle aziende per questione di costi (ed in funzione prevalentemente di server) ed in una nicchia di utenti-avanzati ci chiediamo dov'è che il nostro discorso si interrompe?
Le risposte non sono facili, ma coinvolgono sicuramente l'impianto industriale dei grandi produttori di software che possono vantare la possibilità di preinstallare il sistema operativo sulle nuove macchine, la pigrizia dell'utente medio (che desidera una macchina appunto preinstallata) nel cambiare il software abituale, la pubblicità esplicita e quella implicita (più incisiva) fatta nei luoghi pubblici quali scuole ed uffici od enti pubblici: usare qui software proprietari è il modo migliore per facilitarne ed incentivarne l'uso anche nel privato.
Spesso è proprio la mancanza di conoscenza il primo problema del software libero: non avere gli strumenti della conoscenza limita la nostra libertà di scelta.
Ed in ambito di economia del dono sono proprio le due istituzioni dove si dovrebbe trasmettere cultura (scuola ed università) a dover fare la propria parte; non tutti siamo nati fini programmatori o sistemisti, ma molti di noi possono offrire, donare appunto, le proprie competenze nel settore informatico ricambiando il dono ricevuto dalla comunità del free-software semplicemente offrendo corsi di divulgazione all'utilizzo dello stesso.
Concludendo, l'attualità dell'economia del dono evidenziata nel modello dell'informatica solidale, vista come risorsa creativa e sistema altro di produzione, può dare la possibilità di sviluppare società basate sulla solidarietà, sulla collaborazione e sulla partecipazione: crescere insieme e non uno contro tutti. Può rappresentare quindi un modello di riequilibrio sociale che si affianca ed interagisce con stato e mercato in un sistema di economia pluralista, anche nell'ottica di una maggiore sostenibilita' dello sviluppo umano.
Bibliografia essenziale
- Marcel Mauss, "Saggio sul dono" - Einaudi
- Jacques T. Godbout, "Lo spirito del dono" - Bollati Boringhieri
- M.Berra, A.R.Meo, "Libertà di software, hardware e conoscenza - informatica solidale 2" - Bollati Boringhieri
- M.Berra, A.R.Meo,, "Informatica solidale" - Bollati Boringhieri
- Eric S. Raymond, "La cattedrale ed il bazaar" - Apogeo
- Giuseppe Granieri, La società digitale" - Laterza
Webliografia
Saggio sul dono
Lo spirito del dono
Guida alla banca del tempo
Il dono in una società di mercato
RFC
Informatica solidale
Economia, crescita, felicità