A disappearance of community
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Contents
Autore:
Avital Ronnel
Avital Ronnel e’ docente presso l’università della California, Berkeley e l’autore di “Il libro della telefonia”: Tecnologia, Schizofrenia, Parola elettrica (Nebraska , 1991 ).
In questa eloquente riflessione sui media e sul virtuale, Ronell discute sulla tendenza delle persone a distaccarsi dalla vita pubblica e dall’interesse politico.
Tratto da:
Trend David (2001), Reading Digital Culture, Wiley-Blackwell, ISBN 0631223029, 9780631223023.
Avita Ronnel,”La scomparsa delle comunita’”, collezione di Mary Anne Moser e Douglas Macleod,Immersi nella tecnologia:Arti ed Ambienti Virtuali (Cambrige,MA : edizioni MIT ,1996), pp.119 –27 . Ristampato con il permesso delle edizioni MIT.
Titolo Originale:
A disappearance of community
Traduzione di:
Venturini Chiara
Anno:
1996
Titolo del brano tradotto in italiano:
La scomparsa della comunità
Questo capitolo riguarda la realtà virtuale, i media, e la guerra del Golfo. Io non posso approfondire i materiali, o ancora gli immateriali ( la VR apre la questione dell’immaterialità ). Tuttavia questa pubblicazione riguarda la maestria ed io mi considero un infomaniaco.La VR e’ filosoficamente complessa ,sebbene essa sia un sistema-dipendente dai modelli classici di rappresentazione, di immaginazione del soggetto sovrano, e della negazione dell’ altro (la negazione dell’altro e’ quello che Hegel chiamava il nemico). Così essa dipende da un numero di desideri metafisici,ma in fondo cosa non lo e’? Possiamo comunque provare ad affrontarlo : c’ e’ sempre stato un desiderio di trascendere il corpo, e io ho spesso detto che avrei donato il mio corpo alla fantascienza. Ma la donazione di un corpo in vita è parte di un tendere metafisico verso un altro luogo indeterminato. La VR sta disturbando i principali codici di questo desiderio storico per la trascendenza e l’esteriorità’, e merita di essere percepita in tutte le sue manifestazioni. Questo perchè la VR riguarda anche l’essere nel mondo ed il liberare la posizione dell’ essere negli spazi immateriali, cercando di riconfigurare le possibilità di condividere il mondo. Secondo Jaron Lanier , Howard Rheingold, e altri, la VR pratica una politica del limite e richiede un’etica della tecnologia. Allo stesso tempo,tuttavia ,la VR sta entrando dentro la Mattel Corporation ,l’esercito
e la NASA ma e’ anche un campo di prova a tutto tondo per l’architettura e le scienze mediche .
“Così , dove eravamo?” si chiede lo studioso. Un rigoroso studio della VR non poteva essere affrontato per intero in questo capitolo, ma proverò a sollevare alcune domande per indicare la direzione delle mie riflessioni su questo difficile argomento. Realtà virtuale, realtà artificiale, dataspace , o cyberspazio sono espressioni di un desiderio il cui principale sintomo può essere descritto come l’ assenza di comunità. Il discorso di Lanier e’ molto legato alla possibilità di istituire una comunità estatica che abbia voglia di rifiutare di essere governata da un obiettivo o da una guida totalitaria verso un’ unificazione e un progetto. E’ come se Lanier fosse tentato a riprendere la comunità di ego frantumati di Bataille. .Il soggetto metafisico è portato al punto di rottura e reimmesso sulla strada di una disidentificazione frenetica. Il soggetto non trova più i suoi punti fermi nell’identificazione con un’ immagine sostanziale. Lanier , che tra tutti i mezzi di comunicazione preferisce la radio ( la VR e’ detta essere più come un telefono o una radio ,ben distinta dall’apparato televisivo), fa notare come il design della VR aiuti un meccanismo di costruzione dell’ ego. Dobbiamo esaminare con inequivocabile chiarezza il confine tra questi due concetti. Nelle città virtuali, c’e’ sempre il rischio di sfocare la distinzione tra la simulazione ed il mondo dell’ azione reale . Io non sono convinto, sebbene altri lo siano, che ciò comporti un nuovo rischio reale. Più seriamente , probabilmente , c’e’ ancora una tendenza a risistemare la protesi tecnologica su un soggetto metafisico- il principale soggetto della storia ,copilota del destino. In altre parole, la protesi tecnologica vorrebbe essere semplicemente un amplificatore e un intensificatore preso da un soggetto centrato la cui frammentazione e’, come tutti dicono, una simulazione- questo e’ , un trucco per smentire la frammentazione , disinteresse o ,su un altro registro, castrazione . Questo aspetto della ritrattazione in parte spiega perché Lanier ,da parte sua ,avrebbe preferito vedere la VR chiamata ,come afferma, “ realtà intenzionale “. Ora questo espone un’intera problematica della consapevolezza intenzionale che andrò subito ad indicare. La consapevolezza intenzionale e’ un costrutto filosofico che emerge ci accorgiamo di non essere padroni delle nostre azioni. E’ qui che il progetto di Lanier prende presa, nelle stanze di controllo di sua maestà l’ego. In più argomentando che la VR e’ “buona per l’ego” lui lancia un assalto contro la passività del soggetto contemporaneo ; questo assalto alla passività – un po’ comprensibile in prima istanza- e’ fatta tuttavia nel nome un po’ dubbio dell’ azione e del controllo. Il soggetto prenderà il controllo. L’argomento contro la passività , che posso solo accennare velocemente, e’ , ritengo, un argomento falso ed altamente problematico sebbene io sia comunque d’accordo con la necessità di attivare la creatività radicale. Ma il contrasto di passivi ed attivi proferisce un’equazione illusoria. Guardatevi intorno. Non siamo,come cultura, troppo attivi,troppo pieni di azione, anche se l’azione divide se stessa nelle rappresentazioni dello spettatore traumatizzato e del guerriero maniaco ? Ogni invenzione non messa in discussione fatta nel nome dell’azione dovrebbe attirare i nostri sospetti più profondi. Una vera etica della comunità , sia che sia collocata nel cyberspazio o tra amanti, lettori, artisti, attivisti, e così via, deve dare spazio ad una passività oltre la passività-uno spazio per il riposo e la riflessione, uno spazio che permetta agli altri di andarci. Esporsi agli altri, o alla morte degli altri, non ha niente a che vedere con l’azione di questa. Farò una breve considerazione su questo. E’ per colpa di un articolato desiderio per l’azione che il cyberspazio e’ anche ad ovest dell’ovest, cioè, una frontiera per i cowboy memorex . Uno degli errori che Lanier fa e’ dire che “ in definitiva ,ogni cosa e’ fatta da persone e la tecnologia e’ solo un piccolo gioco che facciamo”. La guerra ci ha mostrato che la gente non fa giochetti. Ed anche che la tecnologia non si trova al di fuori di noi, ma , come la cibernetica e l’intelligenza artificiale ci hanno mostrato, le ibridazioni uomo-macchina implicano una ridefinizione dell’essere umano , seguendo una traiettoria complessiva dei nuovi allineamenti dell’ io e del tecnocorpo . Ora, il corpo, da Marvin Minsky in poi , e’ stato devalorizzato nel “fottuto miscuglio di materia organica”. Non sono essenzialmente femminista, ma penso che questa affermazione non potrebbe mai essere fatta da una donna, la quale paga il pegno mensile al corpo nella forma di periodici bagni di sangue e SMP . Questo e’ un po’ affrettato da dire, forse, ma e’ importante riconoscere che il corpo di una donna ha una relazione fondamentale con la morte, la disperazione, la finitezza- e la vita. Mentre il corpo della donna produce l’eterno ritorno del “rfottuto miscuglio di materia organica”, il soldato cyborg collocato nei sistemi di comando e di controllo, si esercita sui campi della negazione . La realtà intenzionale elimina il corpo come organico, finito, danneggiabile, sviscerabile, castrabile, come entità schiacciabile,chiudendo in questo modo gli orifizi ed accumulando perdite di escrementi. Non siamo poi così lontani dal CSO di Deleuze e Guattari : il corpo senza organi. La chiusura degli orifizi ed il controllo degli escrementi aiuta a spiegare perché la Guerra del Golfo sia stata condotta sotto il segno ossessivo della pulizia: sul versante americano grazie all’uso del linguaggio, questa e’ stata una guerra pulita, un lavoro di pulizia compiuto in accordo alle valutazioni morali,politiche e militari da essa rappresentate. E’ stata così pulita, infatti, che ci sono stati schermi bianchi ad assicurare il protocollo della appropriatezza-la copertura della copertura- ma e’ stata anche così pulita dal nostro lato delle linea nella sabbia che i corpi americani, se dovevano essere perduti, lo hanno fatto nell’ascensione del fuoco amico. Il punto e’ che l’altro lato non ci arriva mai,cosa che in breve definirò la dimensione immunopatologica di questa guerra. Per la durata della guerra, il contatto con gli Altri negati e’ stato nano minimalista ed il linguaggio del contatto e’ stato sospeso. Così , anche le inevitabili contaminazioni implicate dal contatto sono state evitate. Niente contatto significa, tra le altre cose che sono state percepite, nessuna eruzione parassitica o casuale sulla linea di tiro principale, ma anche nessuna ambivalenza o complessità riguardo a questa guerra, i suoi scopi o lo scopo dell’uomo ( Il nuovo ordine riguarda gli scopi dell’uomo, e noi sappiamo a cosa tendono). La dissociazione delle parti comunicanti – niente collegamento – riflette gli effetti della de-realizzazione che la guerra produce su di noi. Allora perché siamo qui? Prima di dire di più, voglio dire che do per scontato che siamo ancora in Nord America, il che vuol dire che do per scontate le vostre opinioni, valutazioni ed i sentimenti che sono stati formati rispetto alla Guerra del Golfo. Se a questo punto dico che siamo ancora in Nord America, questo è in parte perché la Guerra del Golfo ha destabilizzato la nostra comprensione dei luoghi, ed ha istituito una logica del teleluogo: una logica di spazi allineati in accordo alle mappature tecnologiche, dove il più nuovo è il più vicino e viceversa, e dove i sistemi di confini e linee di demarcazione debbono essere interamente ripensati. Se siamo ancora in Nord America, che non è solo un posto ma anche un tempo di riflessione – un sito dove vengono esposte le tensioni geopolitiche e cronopolitiche – questo significa anche che siamo particolarmente sensibilizzati alle economie di giustizia che la guerra ha reso trasparenti. In questa area di discussione che condividiamo, sono venute alla luce certe economie, ma è una luce di apparente contradizione . Devo mostrare un esempio cruciale. Noi costituiamo una comunità di lettori ed oratori che hanno enunciato più volte che i costi della guerra hanno prosciugato i fondi delle ricerche sull’AIDS, o almeno abbiamo notato che i nostri amici con l’AIDS non ricevono il supporto di cui hanno urgente necessità. Ci siamo meravigliati come comunità e come singoli riguardo alla ridistribuzione dei fondi per le necessità sanitarie in favore delle richieste dei militari. Sembra che esista una contraddizione tra le necessità interne ed esterne degli Stati Uniti. Comunque, questa non è una contraddizione, ne un punto cieco, e neppure un mal posizionamento dovuto ad un particolare esperimento psicologico. La mancanza del supporto contro l’AIDS e gli investimenti sulla guerra sono parte della stessa esperienza del desiderio nazionale verso lo scopo che la guerra sia guidata da una retorica di rinnovamento e di rigenerazione, in altre parole, la guerra è stata condotta interamente con il registro retorico di una salute fascista. Nel suo saggio intitolato “La Nostra Storia”, il filosofo Francese Jean-Luc Nancy ha sostenuto che un’ “ideologia debba essere chiamata “fascista” nel senso generale per cui i temi di rigenerazione spirituale e nazionale, del recupero vigoroso della salute tramite la fermezza e la disciplina, corrisponde al fascismo o alla visione fascista delle cose”. Questo significa in sostanza che nel nome di una sanità simbolica, un’unità del mondo che vede la sua immagine nella completezza e nel progetto di un rinnovamento, abbiamo portato guerra verso ciò che è stato ripetutamente rappresentato come degenerato, malato, qualcosa che porta in se la minaccia del contagio. A questo proposito, l’America sta esportando il suo nuovo progetto trascendentalizzato di uccidere ciò che non è sano, il contaminato. Il nemico viene immaginato come un essere disordinato, inefficiente, tatticamente analfabeta, disfunzionale; ed in un certo qual modo le soluzioni progettate, cibernetiche, promettono di sconfiggere questa instabilità. Questo progetto di igiene ha qualcosa a che fare con lo stabilire un nuovo ordine mondiale che consiste in niente di meno che nella purificazione di un territorio immaginario – e reale –garantendo che diverrà appropriato, che esporrà valori di appropriatezza e proprietà.In questa logica abita l’invisibilità del nemico ,che e’ essenzialmente virale.
Il nostro corpo di guerra non si è solo messo alla prova, ma è uscito dalla prova relativamente intatto, pulito, in salute. Questo conta anche per le altre contraddizioni apparenti – il nostro insensibile tasso di uccisioni, i loro massacri, i nostri interventi chirurgici, i loro corpi, i nostri colpi ad alta tecnologia, il loro sangue. Questa è stata una traslazione, su una scala storica mondiale, del test dell’AIDS in cui siamo risultati negativi, perché è stata una guerra salutare, comandata da telelogiche di ciò che può provvidenzialmente essere chiamato “realtà virtuale” – che è per lo più un anagramma di realtà virali. Alcuni di voi potrebbero sapere che virtuale viene dal Latino virtus, forza, mascolinità. Intanto, tornando al Golfo, gli Americani hanno istituito un laboratorio autoimmune. Spero di far ben capire che sto analizzando comunque gli effetti della guerra basandomi sulle basi stesse della guerra, il che equivale a dire che prendo molto sul serio il teatro delle operazioni, le metafore chirurgiche ed altre metafore sulla salute. Sto anche prendendo seriamente il fatto che la famiglia di Bush ha il suo luogo privato per le operazioni alla tiroide, che, come se questa malattia si fosse esternalizzata, è chiamato in termini medici una tempesta tiroidea. Il comandante in capo di una tempesta, il poi-presidente è dominato internamente da un’altra tempesta. Questo fatto di per se ci fa capire quanto sia difficile collocare l’origine di una tempesta – dentro il corpo presidenziale desertizzato, nella resurrezione della terminologia Nazista (Storm troopers), o nelle proiezioni nel deserto.
Ad un livello meno conscio di trasmissione corporea, il deserto è stato configurato come il corpo di una donna. Questo mi porta alla prossima domanda. Perché abbiamo tempestato la figura del corpo di una donna, perché siamo entrati nella sua eredità misteriosa? Dato il vincolo dello spazio, posso solo indicare dove potremmo recarci per poter esplorare i contorni immaginari del corpo femminile che le nostre Forze hanno tempestato (certo sapete che prima di essere mandati, i nostri piloti di caccia sono stati foraggiati a dosi di pornografia. Questo, insieme alle droghe, li avrebbe aiutati a scagliarsi sul corpo femminilizzato dell’Iraq mentre nello stesso tempo si sarebbero sentiti protettori del Kuwait dallo stupro). Se questo fosse un seminario, vorrei chedervi di voltare la vostra attenzione sul saggio “Aggressività e Paranoia in Psicoanalisi” di Jacques Lacan , che e’ in Ecrits. Qui troverete Lacan interpretare l’eccellente lavoro di Melanie Klein sulle coordinate dell’aggressività primordiale. Attraverso Melanie Klein conosciamo la funzione della chiusura formata dall’ imago del corpo materno nell’immaginario primordiale; attraverso di lei abbiamo la cartografia dell’impero interno della madre, gli atlanti storici delle divisioni intestinali in cui le imagos (“reale o virtuale” dice Lacan) dei padri e dei fratelli, in cui l’ aggressione vorace del soggetto stesso mette in discussione la propria delirante (distruttiva) dominazione sulle sue sacre regioni. Ciò che devo sottolineare riguardo alle particolarità della guerra nel Golfo, che può essere o non essere generalizzato alle altre guerre, è che la figura della madre è stata sempre prominente, su entrambi i lati (“La madre di tutte le battaglie” e così via), e che si è sempre compreso l’essere in un posto con una qualche connotazione di originarietà – il sito della aggressione primordiale, l’origine sacra di tutte le culture. Poiché siamo in zona di incontri primordiali, si può leggere anche come un posto di resa dei conti apocalittico, dell’ Armageddon. Questa è la fine che è anche designata come inizio: il nuovo ordine mondiale. Come la guerra originale, comprende tutte le guerre della storia moderna: le guerre mondiali, il Vietnam, eccetera. Poiché la guerra assume il suo stato di origine, l’iniziatrice del nuovo ordine mondiale, ed è stata condotta nei lombi e nella culla della nostra civiltà, non è del tutto sbagliato leggere con Lacan questa guerra in rapporto alla mappatura paranoica del corpo della madre da parte del soggetto. Un barlume di prova a supporto di questa visione può essere ritrovato nel focus compulsivo delle madri che vanno in guerra. Questo insistere nel nominare il sintomo – il corpo della madre – è fatto in modo da minimizzarlo. La Madre può essere andata in guerra, ma non era il sito dell’aggressione; la madre era finalmente sulla mappa, ma non era la mappa stessa o un sito conflittuale creato dall’immaginazione. Questo ci porta a chiederci, più genericamente: Cos’è il campo di battaglia? Cosa sono i confini ed i luoghi simbolici? Quand’è che prende forma il campo di battaglia? E come ci pone? Cosa si pensa del mito del fronte interno? E così via. In ogni caso, in questo testo difficile ma cruciale Lacan stabilisce un collegamento tra lo spazio e l’aggressività, come dire che il dominio dello spazio è correlato alla paura narcisistica del danno al proprio corpo. L’aggressività, come una delle coordinate intenzionali dell’ego umano, specialmente in relazione alle categorie dello spazio (questo include spazi reali o virtuali), ci permette di comprendere il suo ruolo nelle nevrosi moderne. La preminenza dell’aggressività nella nostra civiltà, aggiunge Lacan, dovrebbe essere sufficientemente dimostrata già dal fatto che viene confusa la morale “normale” con la virtù della forza. La glorificazione della forza come valore sociale è un segno della devastazione sociale iniziata su scala planetaria e giustificata dall’immagine del laissez-faire dei predatori più forti. Questo condizione dovrebbe far scattare i nostri allarmi mentali. Adesso, le connessioni tra la realtà virtuale e la guerra non mi sono ancora del tutto evidenti. La promessa della VR è immensa, a volte liberatoria, e molto prudente nella sua articolata negoziazione con la metafisica, la tecnologia, ed il gioco. Ero perplesso inizialmente, poiché la VR è qualcosa di così nuovo che ha appena cominciato a mostrare la sua esistenza; la guerra, dall’altro lato, sembra come qualcosa che vada rottamato, ed infatti lo è, sebbene succeda che tenda a reclamare meriti per le innovazioni high tech. Questa guerra ha compreso molte guerre ed è stata giocata in un campo di battaglia spettrale. WWI (le maschere antigas), WWII (la resurrezione calcolata di Hitler), la sindrome del Vietnam. Queste guerre fantasma hanno partecipato in quella del Golfo, anche includendo le guerre che non abbiamo con i Russi o, per quel che importa, con i Marziani. Possiamo vivere senza un nemico? Ma infatti se c’è qualcosa di nuovo in questa guerra in un periodo in cui e’ chiaro a tutto che il periodo delle guerre si sta chiudendo (molti di noi pensano che le condizioni per le vere guerre siano svanite, e che i giochi di guerra siano un residuato dei tempi delle battaglie), se ancora sentiamo di essere in un’era di chiusura delle guerre, dobbiamo riconoscere che la chiusura non è una fine. La chiusura non chiude solo un dominio o un’epoca: tracciando il limite delle possibilità, la chiusura raggiunge l’altro lato del suo limite, esponendo la propria esteriorità. Ne “La Nostra Storia”, Nancy ha mostrato che non c’è una semplice contrapposizione esteriore tra la chiusura e l’apertura, ed è per questo forse che è comparsa la VR nel quadro generale. Una domanda che pone la VR, nel suo periodo di fulgore, è dove collocare la comunità. Poiché stiamo svanendo. Nell’assenza della polis, qualcosa come la VR ci obbliga a porci questioni etiche su contatto, memoria, il soggetto prostatico, e ci insegna a dislocare il giusto spazio. Non c’è un giusto spazio: questo include ghetti e quartieri malfamati, e tutti i sistemi corrispondenti di spazi assegnati. La politica degli spazi di ognuno oggi deve essere ripensata, per quanto possa esser stata illuminata ieri. La questione è difficile, poiché sorpassa la logica da videogame del bene verso il male, di vincitori e perdenti, di presenza ed assenza: può esserci una comunità priva di interessi che nonostante tutto si raduna, una comunità senza scopi, ma estatica, una comunità di ego individuali, dove le torri di controlla cadono giù, e dove l’altro è anticipato genuinamente? Perciò intendo Altre tecnologie.[[categoria:]] [[categoria:]] [[categoria:]] [[categoria:]] [[categoria:]]