Cooperazione Educativa
==Argomento:== Dalla cooperazione educativa dell’attivismo pedagogico alla cooperazione educativa tramite il supporto del computer
Descrizione:
Le scuole nuove o attive, che hanno assunto anche la denominazione di attivismo, rappresentano il metodo pedagogico per eccellenza incentrato sulla cooperazione educativa. Grazie a queste basi siamo potuti arrivare al Computer Support for Cooperative Learning (CSCL), ovvero al supporto del computer come strumento educativo e di cooperazione. La parola <<cooperazione>> deriva dal latino cum e operari ed ha il significato di <<associazione di più individui che operano e lavorano insieme per uno scopo comune>> .
In ambito educativo il principio di cooperazione, ha assunto il senso di collaborazione costante tra maestro ed allievi, indicando anche una collaborazione degli allievi tra loro in un mutuo spirito di comprensione e simpatia.
Tale principio verrà usato in ambito educativo solo nel secondo decennio del ventesimo secolo, quando Profit, un semplice insegnante, istituisce in Francia le prime Cooperative scolastiche; le origini di queste cooperative a sfondo antigerarchico e antitradizionalista con scopi egualitari, si ritrovano però in Gran Bretagna alla fine del 1700.
'''Joseph Lancaster''' a Londra e Andrew Bell a Madras, creeranno rispettivamente luoghi importanti per la storia della pedagogia e della didattica: il primo darà vita alle scuole popolari dell’età dell’industrializzazione, il secondo invece, ad una scuola per figli maschi di militari europei.
La scuola di Andrew Bell si basava sulla pratica del mutuo insegnamento: gli alunni più piccoli apprendevano l’alfabeto dagli alunni più grandi già in grado di leggere qualche parola e questi ultimi venivano a loro volta istruiti dai compagni più esperti; ogni fila di banchi presente nell’aula corrispondeva ad un grado di apprendimento e l’ordine all’interno di essa veniva controllato dai monitori, ovvero da alunni-maestri responsabili ognuno di una trentina di bambini, in modo tale che un solo insegnante potesse riuscire a seguire fino ad un massimo di cinquecento ragazzi.
La nascita vera e propria del movimento delle scuole nuove si ha alla fine del 1800, periodo in cui si affermano le varie identità nazionali e viene totalmente abbandonata l’educazione rivolta all’elitè presente durante la Restaurazione dei regimi monarchici europei.
Il positivismo diventa la corrente filosofica per eccellenza, perché sarà alla base della scienza e della ragione umana e porterà a notevoli progressi scientifici e tecnologici come quelli creati da Darwin in fisiologia e più tardi da Freud con l’invenzione della psicoanalisi e da Piaget con gli stadi di sviluppo mentale del bambino.
Queste scoperte contribuiranno sempre più all’affermazione di un atteggiamento diverso riguardo ai concetti di <<uomo>> e di <<educazione>>.
Nello stesso periodo in quasi tutta Europa e negli Stati Uniti si sviluppano le istituzioni scolastiche e questa svolta tenderà a far diminuire l’analfabetismo, a ridurre la manodopera nel settore primario ed aumentare il lavoro nel settore secondario e terziario.
Il nuovo metodo delle scuole attive in Europa non si baserà più sulla centralità dell’insegnante o del programma da svolgere, ma sulla struttura mentale e sulla personalità dell’alunno, il quale diverrà protagonista del processo di apprendimento ed acquisirà coscienza dell’educazione come strumento di emancipazione.
I nuovi educatori porranno al centro del loro interesse l’individuo integrato nella collettività e il concetto di collaborazione, ciò evidenzierà l’importanza del rapporto con gli altri attraverso il quale sarà possibile prendere coscienza del proprio sé individuale soltanto rispettando il sé collettivo.
Gli insegnanti avranno il compito fondamentale di promuovere e sviluppare l’attività spontanea del bambino in modo tale che, partendo dalle <<passioni dominanti>> il bambino possa avere la possibilità di tirar fuori gli interessi meno pronunciati.
Nelle <<scuole nuove>> verrà insegnata la socializzazione tramite la pratica del mutuo insegnamento, della vita comunitaria e democratica e dell’autogoverno.
Una scuola attiva europea molto significativa è la scuola per fanciulli Rue De l’Ermitage, fondata dal medico belga O. Decroly e definita da lui stesso “scuola per la vita attraverso la vita”.
Secondo Decroly la vita è mezzo e fine della scuola, quindi il metodo ed il programma educativi si devono adeguare alle necessità della vita e basarsi sulla psicologia infantile, perché tutti i bambini possiedono degli interessi spontanei, delle propensioni a conoscere e a svolgere determinate esperienze e un programma educativo che non tiene conto di tutto questo, può rivelarsi inutile e controproducente nei confronti dell’allievo.
Nelle esperienze didattiche francesi invece, Roger Cousinet ha cercato di realizzare una scuola che abbia come modello i metodi di uno stato: nel 1920 inizia un esperimento educativo che nomina repubblica dei ragazzi e che fonda sul metodo di lavoro libero per gruppi, un modello di associazione che i ragazzi seguono spontaneamente nei loro giochi.
Cousinet adegua il modello educativo della scuola alle esigenze di socializzazione degli allievi, i quali vengono divisi in gruppi di cinque o sei membri, ciascuno dei quali ha all’interno dell’aula un proprio angolo di lavoro in cui sono radunati tutti gli strumenti necessari, quali lavagna, scaffali, libri, schedari, collezioni e così via.
Il maestro suggerisce ai ragazzi gli argomenti, fornisce loro il materiali di documentazione, illustra le regole di lavoro, ma i ragazzi sono liberi di scegliere come condurre il loro lavoro.
Cousinet voleva dimostrare che per mezzo del lavoro di gruppo gli scolari hanno la possibilità di acquisire una coscienza sociale, all’interno della quale l’attività didattica è il risultato di una integrazione degli sforzi di ciascun allievo con gli sforzi del gruppo-classe.
Nella prima metà del novecento il pensiero pedagogico francese si arricchisce ulteriormente grazie al contributo di un maestro del sud della Francia, Celestine Freinet , il quale si discosta dalle scuole nuove dando origine ad una pedagogia popolare laica, impegnata a riscattare socialmente la classe operaia.
Secondo Freinet ciascun individuo possiede per natura una tecnica peculiare per adattarsi all’ambiente che lo circonda e col passare del tempo l’individuo perfeziona la tecnica grazie all’esperienza a tentoni.
Freinet afferma che tutti gli essere umani passano dai primi tentativi meccanici, tipici dell’età infantile, a quelli intelligenti; durante questa fase l’individuo non può essere lasciato solo, ha bisogno dell’aiuto di un educatore non autoritario capace di rendere l’apprendimento rapido e completo per mezzo dell’esperienza.
La scuola quindi deve andare di pari passo con la vita, deve sviluppare nell’allievo le capacità di inserirsi in un ambiente socio-politico che richiede ai propri cittadini consapevolezza di diritti e doveri.
Lo studioso svolge le prime esperienze di innovazione educativa accompagnando i ragazzi in campagna e nei laboratori artigiani, in modo che l’esperienza concreta diventi spunto per lezioni di storia, geografia e calcolo e faccia così aumentare negli allievi, la motivazione e l’interesse ad apprendere.
Freinet trasformò la scuola in una piccola comunità, all’interno della quale erano presenti: una costante cooperazione tra insegnanti e tra alunni ed insegnanti; laboratori sia per lavori manuali che per attività intellettuali in cui le attività vengono supportate da alcune tecniche come il testo libero, la tipografia, la corrispondenza interscolastica, il calcolo vivente e lo schedario autocorrettivo.
L’esperienza di Freinet attira l’attenzione di numerosi pedagogisti ed educatori in tutta Europa, in particolare in Italia e in Francia, negli anni cinquanta, la tecnica della tipografia rappresenta il punto di svolta per dar vita, all’interno della scuola pubblica, ad un’educazione innovativa basata sulla cooperazione tra insegnanti ed alunni.
In Italia nasce il MCE (Movimento di Cooperazione Educativa) e in Francia l’ICEM (Institut Coopèratif de l’Έcole Moderne).
Per sviluppare ulteriormente la socializzazione, le scuole dell’attivismo tedesco, crearono un ambiente scolastico all’interno del quale bambini di età e sesso differenti potessero lavorare insieme e dove gli alunni più progrediti o più anziani avessero la possibilità di aiutare gli altri, così che lo sforzo di ciascun individuo andasse a beneficio della vita comunitaria.
L’attivismo americano, di cui il padre è John Dewey, vede la costruzione del pensiero dell’individuo ricoperta dall’esperienza e tale esperienza determina una serie di interazioni tra il soggetto e l’ambiente socio-culturale che lo circonda.
Il ruolo primario della conoscenza è <<elaborare soluzioni appropriate ai problemi posti dall’esperienza>> , dunque per ciascun individuo <<il vero è il verificato>>.
I punti principali della scuola attiva di Dewey sono due: 1) la libertà della persona, che non consiste nel libero arbitrio, ma nella possibilità di organizzare le proprie azioni in modo tale da poter trasformare la realtà a seconda delle proprie esigenze; 2) la scuola come forma di vita di comunità, in grado di rivestire il ruolo di comunità in miniatura e quindi a stretto contatto con l’ambiente circostante.
In Italia, nei primi anni del ‘900, l’attivismo pedagogico è sperimentato nelle Case dei bambini di Maria Montessori e nella scuola materna di Rosa e Carolina Agazzi.
La prima casa dei bambini di Maria Montessori è del 1907, viene fondata a Roma e destinati ai bambini del quartiere San Lorenzo; è una scuola speciale, una vera e propria casa dei bambini e non costruita per i bambini.
L'intero arredamento della casa è progettato e proporzionato alle possibilità del bambino, il quale interagisce attivamente con il materiale proposto, mostrandosi concentrato creativo e volenteroso.
Qui trova un ambiente per potersi esprimere in maniera originale e allo stesso tempo per poter apprendere gli aspetti fondamentali della vita comunitaria grazie anche alla partecipazione attiva di genitori ed insegnanti.
Il pensiero pedagogico montessoriano parte dallo studio dei bambini con problemi psichici e successivamente si espande allo studio dell'educazione per tutti i bambini.
La sua ideologia identifica il bambino come essere completo, capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali (come l'amore), che l'adulto ha ormai compresso dentro di sé rendendole inattive.
Il principio fondamentale del pensiero montessoriano è la libertà dell’allievo, perché soltanto la libertà è in grado di favorire la creatività del bambino già presente nella sua natura.
Dalla libertà infine, deve emergere la disciplina, perché un individuo disciplinato è capace di regolarsi da solo quando sarà necessario seguire le regole della vita.
La scuola materna delle sorelle Agazzi viene progettata in modo tale che rispecchi l’ambiente abituale del bambino: una piccola casa all’interno della quale il piccolo ha la possibilità di svolgere attività domestiche come a casa propria.
Il materiale didattico di questa particolare scuola materna ha un giardino con animali e piante, attraverso cui il bambino può prendersi cura degli animali e lavorare la terra; un museo delle cianfrusaglie, in cui vengono raccolti materiali ritrovati dai bambini e successivamente utilizzati come materiale didattico; i contrassegni, ovvero immagini di oggetti di uso comune che contrassegnano le proprietà dei beni individuali dei bambini e che hanno lo scopo di educarli al linguaggio e all’uso dei simboli.
L’insegnamento agazziano si basa su una programmazione scolastica che riguarda il fare e il conoscere attraverso l’introduzione di attività di vita pratica, di lingua parlata, di lavoro manuale e di norme che regolano l’educazione della voce per mezzo di esercizi ritmici.
Nel primo ventennio del ‘900 il principale sostenitore delle scuole nuove in Italia è Giuseppe Lombardo Radice, il quale ritiene opportuno che maestro e alunno vivano insieme il processo educativo.
L’educazione, secondo il pedagogista, è possibile soltanto se i ragazzi frequentano scuole statali fondate sul rispetto della libertà individuale e sulla collaborazione tra allievi; il compito principale dell’insegnante consiste nel fornire all’alunno un ideale di vita e valori fondamentali quali il riconoscimento che ogni individuo fa parte dell’umanità, cioè di una comunità di esseri umani distinti, ma uniti tra loro dallo spirito universale concretizzato nello Stato.
Tenendo presente che ogni allievo è inserito in una situazione socio-economico-ambientale che lo rende diverso dagli altri, Lombardo Radice rifiuta un’educazione realizzata con metodi standardizzati e delinea una figura di maestro in grado di adottare diversi accorgimenti e di assumere mezzi di volta in volta adeguati per aiutare ogni ragazzo a crescere secondo la propria personalità.
Basandosi sugli stessi presupposti Ernesto Codignola nel 1945 fonda a Firenze Scuola-Città Pestalozzi, la prima scuola statale a tempo pieno che accoglie ragazzi del quartiere popolare di S. Croce. Il nome steso <<Scuola-Città>> sottolinea lo stretto legame tra scuola e società, affinché le forze innovatrici della società agiscano sulla scuola per promuoverne il rinnovamento, mentre le forze educative animate dallo spirito di trasformazione e di progresso formino nei ragazzi un atteggiamento di indipendenza e di autonomia.
La <<Scuola-Città>> simula proprio l’organizzazione della società degli adulti ed ha al suo interno la mutua, il consorzio agrario, la cooperativa, il giornale, la biblioteca, la giunta e la corte d’onore.
Formare una coscienza etica e civile in coloro che appartengono alle classi più povere risulta essere il principale compito dell’educatore anche secondo don Lorenzo Milani, che nel 1954 dà vita nella sua parrocchia di Barbiana ad una scuola popolare serale.
Nella scuola di Barbiana vengono insegnati e sperimentati gli istituti democratici per formare nelle giovani generazioni il senso della legalità ed una coscienza politica, ovvero la consapevolezza che la civiltà umana può progredire solo grazie a leggi migliori ed alla partecipazione dei singoli individui alla vita della comunità.
Don Milani si occupa dell’istruzione di giovani operai e contadini perché ritiene che a loro manchi completamente una coscienza del passato, del presente e del futuro; a tal proposito l’interesse maggiore è rivolto allo studio della lingua italiana, attraverso la lettura ed il commento delle grandi opere del passato e dei giornali per portare i giovani a leggere con spirito critico il produttivismo ed il consumismo che dominano la società.
Anche don Milani si avvale del mutuo insegnamento, accompagnato dalla tecnica della scrittura collettiva, attraverso cui la consapevolezza individuale e la riflessione di gruppo coesistono e si completano a vicenda.
La pratica collaborativa è stata per lungo tempo utilizzata in ambito didattico senza l’utilizzo delle telecomunicazioni e delle tecnologie informatiche, ma dal 1980 in poi, nella riflessione pedagogica si afferma il cognitivismo sociale che, facendo riferimento a Vygostskij, Piaget e Bruner , mette in evidenza l’importanza del linguaggio come strumento di formazione dell’intelligenza e rivaluta l’ambiente sociale, l’interazione tra esseri umani ed il rapporto tra individuo e contesto culturale.
In questo contesto si è delineata una nuova generazione di sostenitori della cooperazione educativa che utilizzano le nuove tecnologie come strumenti per un apprendimento attivo, interattivo, significativo e condiviso.
A partire dagli anni novanta, con l’avvento delle reti telematiche cambia completamente l’attenzione verso la comunicazione e quindi tende a mutare anche l’interazione umana supportata dalle tecnologie.
Nello stesso periodo vengono documentate, in varie parti del mondo, esperienze didattiche che si avvalgono delle tecnologie per lo sviluppo in ambito educativo e scolastico, tra queste c’è il workshop di Timothy Koschmann che si basa sull’utilizzo dell’acronimo CSCL (Computer Support for Collaborative Learning, ovvero tecnologie per l’apprendimento collaborativo).
Questo acronimo sta ad indicare quelle esperienze in cui è fondamentale l’utilizzo della telematica a supporto delle pratiche di apprendimento collaborativo e cooperativo, le quali si basano su groupware: un software utilizzato da gruppi anziché da singoli individui che ha lo scopo di favorire il lavoro di equipe o forme di creazione collaborativa di conoscenza.
Le prime esperienze in questo campo si sviluppano nel Nord America, con studenti che utilizzano computer Apple connessi a reti locali: gli strumenti utilizzati sono in grado di favorire e supportare dinamiche di interazione e lavoro di gruppo.
Secondo lo studioso Antony Kaye è possibile individuare quattro categorie di tecnologie capaci di supportare attività collaborative e di facilitare l’apprendimento: la prima sono i sistemi di comunicazione sincroni e asincroni , la seconda sono i sistemi per la condivisione di risorse (condivisione dello schermo, di programmi software o di file), la terza sono i sistemi di supporto ai processi di gruppo (calendari condivisi, sistemi per la gestione dei progetti, strumenti di votazione, ecc.) ed infine la quarta categoria, introdotta negli ultimi anni, che si basa sulla “simulazione immersiva” (Mud, Moo, Muse, ecc.) dei giochi di ruolo e che spesso viene impiegata anche nella didattica on-line e nelle esperienze di apprendimento in rete.
Nell’ambito delle CSCL, trovano una loro specificità ambienti software peculiari, che consentono di integrare in maniera evidente le teorie pedagogiche sovrastanti con adeguate metodologie didattiche.
Tra le ricerche che più di altre hanno fatto scuola nel campo delle CSCL è necessario citare, anche come caso rappresentativo per questo tipo di applicazioni, lo CSILE Project (Computer Supported Intentional Learning Environment) ideato più di un decennio fa da Marlene Scardamalia e Carl Bereiter presso il “Centre for Applied Cognitive Science” dell’Univesità di Toronto.
Questo progetto fa riferimento alla convergenza dei modelli didattici di impronta costruttivista con un particolare utilizzo delle nuove tecnologie e costituisce un punto nodale per favorire e sostenere negli studenti la motivazione e la capacità di lavorare riflettendo attorno ai compiti.
La tipologia di intervento didattico prevede uno specifico ricorso alle attività di problem solving progressivo, mirate ad aumentare il livello di indagine e di approfondimento dei problemi attraverso il coinvolgimento attivo degli studenti; per consentire questo il software di CSILE fornisce una particolare implementazione di un database le cui informazioni possono essere inserite dai singoli studenti e quindi commentate e revisionate dal gruppo nel corso del lavoro seguendo il modello di riferimento di una redazione che scrive articoli per riviste scientifiche.
In questo processo ciascuno è al tempo stesso ricercatore, insegnante ed allievo, mentre il docente della classe, abbandonando il ruolo di depositario del sapere, diventa il semplificatore dei processi e il garante dell’organizzazione dei percorsi di ricerca e dell’esattezza delle analisi.
Il software CSILE contiene dati che di per sé non sono niente, senza una fitta ragnatela di connessioni logiche e comunicative in grado di trasformare i dati stessi in conoscenza significativa per un gruppo e i processi di sviluppo di questa conoscenza significativa sono resi evidenti dal software, consentendo agli studenti di poterli riconoscere: per questo le ramificazioni delle interazioni comunicative vengono visualizzate graficamente.
CSILE si è negli anni evoluto e con l’avvento di internet è stato reso disponibile per il Web con una versione chiamata WebCSILE, oggi conosciuta con il nome Knowledge Forum (KF).
KF, giunto alla versione 4.5, è attualmente un prodotto client-server commercializzato dalla società californiana Learning in Motion.
In ambito europeo vengono utilizzati altri strumenti che enfatizzano le così dette “metodologie conversazionali”, tra cui il progetto Innovative Technologies for Collaborative Learning (ITCOLE), finanziato dalla Commissione Europea per le IST (Tecnologie per la Società dell’informazione) e basato sul sostegno delle pratiche didattiche all’interno della scuola.
Da questo progetto nascono un Portale Internet, Euro-CSCL e due prodotti software che si prefiggono di supportare la costruzione del sapere attraverso la collaborazione di classi scolastiche: Synergeia e File3.
Synergeia offre uno spazio di lavoro condiviso orientato al web, all’interno del quale è possibile avviare attività di apprendimento collaborativo in grado di prevedere la possibilità di: condividere documenti ed idee; registrare i confronti tra i partecipanti; sviluppare e presentare artefatti di conoscenza.
Gli insegnanti hanno la possibilità di strutturare, avviare e guidare i lavori all’interno di Synergeia, facilitando così la costruzione del sapere all’interno delle loro classi.
File3, Future Learning Environment, è stato sviluppato dall’Università di Arte e di Design di Helsinki ed è un sistema di apprendimento anch’esso basato sul web, open source e disponibile in varie lingue fra cui l’italiano.
E’ stato progettato per aiutare gruppi di studenti nell’attivazione dei processi di apprendimento mediante la costruzione della conoscenza e attraverso la ricerca; gli studenti hanno anche la possibilità di costruire artefatti multimediali composti da suoni, immagini e testo, in maniera del tutto collaborativa.
Gli strumenti CSIL risultano particolarmente congeniali all’interno dei modelli didattici in grado di valorizzare il lavoro di gruppo e la creazione cooperativa di conoscenza attraverso la discussione.
Lo sviluppo di comunità di apprendimento risulta efficace soltanto se l’impostazione dei lavori si svolge ispirandosi ai modelli di problemi reali e, più in generale, a tutti quei modelli di stampo costruttivista che richiedono situazioni di attivazione degli individui in contesti per loro significativi.
Il lungo percorso didattico che parte dal 1700 e arriva fino ai giorni nostri, mette in evidenza come le nuove tecnologie e in particolar modo il computer, non abbia stravolto i metodi educativi rivolti all’apprendimento, bensì li abbia sviluppati, traendo ispirazione anche dalle pratiche delle scuole nuove.
Questo sviluppo ha permesso la nascita delle tecnologie dell’educazione, prima in area anglosassone e poi nel resto del mondo durante la seconda metà del novecento, come studio di principi, metodi e mezzi per progettare, implementare, gestire e valutare il processo di apprendimento.
All’interno delle varie articolazioni le tecnologie dell’educazione hanno mostrato di convergere verso due poli principali, quello della comunicazione (con spostamento di accento sui media, sulle varie tipologie di media e sugli usi dei media) e quello della razionalizzazione dell’istruzione (con spostamento di accento sui criteri progettuali ed organizzativi), che ha trovato il riferimento di maggior rilievo storico nell’istruzione programmata.
I nuovi media interattivi (personal media, sociomedia, telemedia) hanno portato al bisogno di ripensare gli ambienti e la progettazione educativa in forma nuova, stabilendo rapporti più stretti con il cognitivismo e questa fusione ha portato a sua volta alla tecnologia cognitiva, la quale si basa sull’interazione e sull’integrazione uomo macchina.
Tale integrazione mette in evidenza l’importanza di una ridefinizione degli ambienti formativi, quindi la necessità di affrontare le problematiche di una nuova progettazione e di una nuova realizzazione di essi.
I nuovi ambienti formativi dovranno cambiare, sul piano tecnologico: occorreranno mezzi che consentano di strutturare-ristrutturare le conoscenze in forma più agile rispetto a quelli tradizionali e che offrano nuove forme di comunicazione, dialogo ed accesso a risorse distribuite a distanza; sul piano teorico: occorrerà una maggiore attenzione verso la dimensione metacognitiva, cioè uno spostamento di riflessione sui criteri e sulle strategie che si perseguono rispetto alla quantità di contenuti da padroneggiare; sul piano sociale ed istituzionale: occorrerà una maggiore attenzione da parte di istituzioni ed agenzie formative verso la fattibilità di soluzioni formative diverse da quelle tradizionali (scuola, classe) e verso nuove integrazioni tra modelli formali-informali, scuola-territorio, come ad esempio le recenti esperienze statunitensi ad orientamento costruttivista che vengono indicate con espressioni quali <<comunità di apprendimento>> o <<comunità di conoscenza>>.
All’interno delle comunità di apprendimento si ritrovano elementi già noti durante la tradizione educativa di stampo attivistico, quali il lavoro di gruppo e la metodologia della ricerca, entrambi supportati da un più analitico corredo tecnologico.
Le tecnologie informatiche legate all’educazione diventano indispensabili strumenti di regolazione, ampliamento e monitoraggio dei flussi comunicativi e dell’attività progettuale cui tutti i partecipanti, dislocati anche in più scuole, devono partecipare.
Grazie all’utilizzo di tali tecnologie gli studenti hanno la possibilità di conoscere il lavoro degli altri e di poter intervenire su di esso.
Esperienze di questo genere hanno portato alla designazione di tecnologia degli ambienti formativi, un’area che ha come oggetto lo studio dei criteri e dei metodi che si basano sull’individuare, allestire e modificare i diversi dispositivi (impalcature simboliche e fisiche)capaci di favorire gli scambi comunicativi per lo sviluppo di eventi formativi.
La tecnologia degli ambienti formativi, favorisce notevolmente la formazione degli studenti di oggi, ma i dispositivi utilizzati devono sviluppare particolari forme di scambio e dialogo tra individui, altrimenti la formazione stessa risulterebbe un evento del tutto accidentale ed incontrollabile, così come in passato, l’utilizzo dei materiali didattici delle scuole nuove sarebbe risultato inutile senza lo scambio del mutuo insegnamento tra allievi.
Bibliografia:
Brown J.S.- Duguid P., Apprendimento nelle organizzazioni e “comunità di pratiche”, in Pontecorvo C. ET AL., op. cit., 1995
Dewey J., Democrazia ed educazione, Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1949
Dewey J., Scuola e società, Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1949
Ferrière A., La scuola attiva, Edizioni Bemporad, Firenze 1929
Kaye A., Apprendimento collaborativo basato sul computer, in “TD”, n. 4, 1994
Koschmann T. D., Toward a Theory of Computer Support for Collaborative Learning, in “The Journal of Learning Sciences”, Special issue: Computer Support for Collaborative Learning, vol. 3, n. 3, 1993-94
Laeng M. (a cura di), Enciclopedia Pedagogica, Edizioni La Scuola, Brescia 1989
Pravettoni G., Web psychology, Edizioni Guerini e Associati, Milano 2002
Prellezo J.M., Lanfranchi R., Educazione e Pedagogia nei solchi della storia, Società editrice internazionale, Torino 1997
Prevot G., Pedagogia della cooperazione scolastica, Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1963
Webliografia:
http://codignola.scandiccicultura.org/ernesto.htm
http://www.quaker.org/melodia/qua/sociale.html
http://www.univirtual.it/corsi/fino2001_I/gecchele/m04/04_06.htm