Pollock Jackson
Pittore statunitense, Jackson Pollock fu tra i maggiori interpreti dell'espressionismo astratto.
Biografia
1912 Jackson Pollock nasce il 28 gennaio, a Cody, nel Wyoming. La sua è una famiglia contadina, di origine scozzese-irlandese, ed è l’ultimo di cinque figli. Suo padre Leroy, detto Roy, non aveva un impiego fisso e si spostava continuamente da una località all'altra, dalla California all'Arizona. Jackson crebbe quindi sotto la guida della madre, Stella May McClure, che ebbe sempre un atteggiamento protettivo e autoritario nei confronti dei figli, in particolare Jackson, che era il più piccolo.
1925 Viene iscritto alla Scuola Superiore di Arti Manuali di Los Angeles, ma dopo quattro anni viene allontanato per indisciplina.
1930 Si stabilisce con i fratelli maggiori a New York, in Greenwich Village; qui si iscrive all'Art Students’ League, dove subisce l'influenza del pittore Thomas Hart Benton.Il rapporto con Benton gli crea gravi conseguenze, Benton infatti beveva a dismisura e Pollock presto lo imitò con entusiasmo, iniziando la rapida discesa verso l'alcolismo.
Si interessa all'arte messicana moderna.
1930 - 1935 compie numerosi viaggi nel West ed entra in contatto con gli indiani Navaho.
1940 va a vivere da solo e inizia a collaborare con il Federal Arts Project, un ente governativo che si propone di dare lavoro agli artisti in un momento di grave depressione economica.
1942 Dopo aver partecipato alla mostra dei Surrealisti, conosce Peggy Guggenheim, che gli commissiona una pittura murale per la sua abitazione newyorkese e gli organizza una personale nella sua galleria (1943). Questo evento segna la fine dei suoi problemi economici e il primo importante riconoscimento del suo lavoro.
Poetica:
La formazione di Pollock ebbe inizio negli anni ’30 quando frequentò la scuola di Art Students League a New York sotto la guida di Benton. Qui ebbe modo di studiare l'arte rinascimentale e specialmente manierista, con un occhio di riguardo a Michelangelo, Tintoretto e El Greco. Rispetto ad una visione di pittura statica, realista e precisa, Pollock contrappone già nei primi disegni un’idea di energia che si avverte dalle sue figure ispirate ai corpi di Michelangelo che però egli re-interpreta e trasforma in turbini muscolosi e torsioni corporee.
Sul finire degli anni ’30 si assiste ad un’evoluzione del suo percorso artistico. I suoi quadri iniziano a rappresentare teste stravolte, agglomerati scomposti di natura e brandelli di corpi o presenze totemiche; come si può osservare in Figura stenografica (1942), la scrittura rapida surrealista si associa ad un impianto dell’immagine di derivazione cubista e ad un uso del colore che ricorda il Picasso maturo. Queste matrici si affiancano consapevolmente ad altri due aspetti collegati. Innanzitutto l’adesione alla psicanalisi di Karl Gustav Jung (Pollock fu in analisi junghiana dal '39 al '43, nel tentativo di liberarsi da alcolismo e depressione). Secondo Jung l’umanità condivide, nel suo inconscio collettivo, degli archetipi, ovvero delle forme primarie che hanno uno stesso significato per tutti.Il secondo elemento centrale nella produzione di Pollock è rappresentato dall’arte degli indiani d’America, in particolare dalle pitture di sabbia colorata (sand paintings) dei Navajo, in cui potevano essere ritrovati i segni incontaminati dell’inconscio primigenio. Mutua da questa particolare espressione artistica soprattutto elementi coloristici e iconografici, come il totem - pur avendo chiara fin dall'inizio la particolare valenza di un'opera fatta con la sabbia, labile, e in cui, quindi, importa il gesto più che il risultato finale. Pollock fu inoltre affascinato dalle produzioni dei grandi muralisti messicani, frequentò infatti l'atelier che David Alfaro Siqueiros aveva aperto a New York nel '36, un ambiente dove era particolarmente viva la sperimentazione su materiali e tecniche non convenzionali.
Pollock raggiunse l’acme della sua produzione nel 1947, quando inizio ad ingigantire i pennelli e a staccarli dalla tela. La tecnica è quella del dripping (sgocciolamento) : dal pennello o direttamente dai barattoli pieni di colore l’artista lasciava scendere gocce che avvolgeva in grovigli. La superficie da dipingere, tela o cartone, spesso di enormi dimensioni, veniva disposta a terra e lavorata su tutti e quattro i lati.Nel background di Pollock, così come di molti altri suoi contemporanei, era sicuramente presente l' Ulisse di Joyce, il cui "flusso di coscienza" letterario può benissimo essere associato al flusso della vernice nel dripping. Viene superato il confine - o meglio la frontiera - della mediazione intellettuale dell'arte, che diventa pura gioia del fare, interazione diretta con la materia. Il segno proveniva dall’azione di tutto il corpo dell’artista: il colore scendeva libero e governato non dalla gestualità della mano, ma del braccio. Da questa tecnica deriva la definizione di action painting (pittura d’azione).
Solitamente si segna come vero e proprio inizio dell'Action Painting la mostra che Jackson Pollock tenne alla "Art of this century" nel 1943. Anche se non aveva ancora raggiunto la maturità artistica delle opere per cui è famoso, non sfuggì agli occhi della critica più attenta il potenziale innovativo della sua pittura: si trattava, in definitiva, della prima vera espressione artistica originale americana, una sorta di punto di non ritorno.
Così trattato, lo spazio non presentava né centro né periferia e l’immagine, una distesa piatta di filamenti, suggeriva una sua possibile continuazione oltre i bordi. Con questo si intende l’espressione all-over ( a tutto campo). Il dipinto nasceva come dichiarazione di uno stato d’animo, di una visione della propria interiorità, ma anche del mondo esterno come ambito d’azione per pulsioni e forze violente. Non fu Pollock a scoprire queste tecniche, già ampiamente sondate dai Surrealisti, ma fu lui a sfruttarne le massime potenzialità. In particolare va sottolineata l’importanza data all’improvvisazione su un canovaccio iniziale, assimilabile al metodo con cui si stava sviluppando la vena bee-bop nella musica jazz. La tela non era più uno spazio da progettare, ma un’arena in cui combattere in trance, lasciando agire l’inconscio.