Teoria dei Sistemi Complessi Articolari Chiusi(SCAC)

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Giulio Flaminio Brunelli 1936-2004

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Sistema Complesso Articolare Chiuso

La teoria dei Sistemi Complessi Articolari Chiusi(SCAC)è stata elaborata a partire dagli anni sessanta da Brunelli Giulio Flaminio e nasce allo scopo di spiegare le caratteristiche fondamentali di un sistema biologico, prima fra tutte la persistenza. SCAC è l'acronimo di Sistema Complesso Articolare Chiuso. Molto sommariamente, lo SCAC elementare è una struttura complessa, oscillante, in modo stazionario, intorno a un equilibrio, che ne determina la forma e la identifica. Una struttura composta da 5 termini, strettamente integrati da una serie di legami, in grado di annullare, entro limiti precisi, qualsiasi perturbazione sia di origine interna, sia di origine esterna. È questa capacità che permette allo SCAC di conservare la propria struttura fondamentale, ossia la propria identità. La teoria dei SCAC è molto complessa, fa uso di un linguaggio tecnico discretamente sofisticato e non può essere qui riassunta in poche righe.

Feedback elementare1.png


Formalmente lo SCAC è un sistema dinamico di 5 termini che soddisfano una relazione seriale circolare molto complessa, detta K-relazione, formalmente analizzabile in due componenti cicliche opposte, (k+ e k-), sfasate di 2π/5, ciascuna formalmente scomponibile a sua volta in 5 componenti (P(k+), Q(k-)), tali che una sia l'opposta dell'altra (per es., se P è la relazione STIMOLA, allora Q è la relazione INIBISCE o viceversa). La lista delle condizioni formali che le relazioni P e Q devono soddisfare è piuttosto lunga e noiosa e si guadagnerà tempo, spazio e gratitudine sostituendo la lista delle condizioni con qualche grafico che le rappresenti, rendendone la percezione più semplice e immediata. Ciascun termine del grafico (grf.02) supporta una sola funzione e non vi sono due termini con la stessa funzione. Inoltre, come si può vedere dal grafo, per ogni termine vi sono due segnali in ingresso e due in uscita. I due segnali in ingresso hanno azione opposta su la funzione supportata dal termine, i due in uscita hanno azioni opposte su le funzione supportate da qualche altro termine del complesso, secondo un criterio distributivo ben preciso. In sintesi, se P è la serie di riferimento, Q, allora, è una serie alternante. Ovvero, Q sussiste fra un termine di P e un termine precedente, saltandone uno (grf.01). Come si può vedere dai grafici, molto schematicamente, lo SCAC può essere considerato come una catena chiusa di feed-back che realizza, nel complesso, un effettore a tendenza, la cui finalità è la costanza. In pratica, qualsiasi perturbazione di origine interna o esterna, di uno dei cinque termini, sarà equamente ripartita fra i due circuiti uscenti - dal termine in questione - e fatta circolare, con la conseguenza che da un determinato momento in poi arriveranno, su ciascun termine, quote della perturbazione di eguale valore assoluto ma di segno opposto; il risultato sarà che a turno, su ciascun termine, una frazione della perturbazione originale verrà annullata.

Si può dimostrare che questo sistema:

   1-Azzera asintoticamente una perturbazione acuta in un tempo definito abbastanza   
     breve.
   2-Integra una turba cronica ridistribuendo il carico e attestandosi su un livello 
     energetico diverso da quello di partenza e ciò comporta una variazione di forma 
     apparente, che lascia invariata la topologia del sistema (fig.01).
   3-Ottiene il processo di adattamento in modo additivo, calcolando la distribuzione 
     dei valori della perturbazione relativa a stimoli distinti, che impattino tutti su 
     un dato elemento o su elementi diversi del sistema.

Pertanto, la teoria dei SCAC si scosta dalle correnti teorie della complessità sistemica, almeno, in quattro punti fondamentali:

   1-Mostra che la complessità non nasce necessariamente dai grandi numeri, visto che 
     lo SCAC, il quale sicuramente è un sistema complesso, non richiede più di cinque 
      termini.
   2-Mostra che è possibile trattare la complessità con metodi lineari utilizzando 
     vettori e matrici (modello algebrico).
   3-Introduce come fondamentale una distinzione tra complessità e complicazione, 
     facendo dipendere la complicazione dalle difficoltà computazionali, relative al 
     numero di variabili e parametri in gioco in un sistema, e dalla impossibilità di 
     collegare adeguatamente tutti i termini del sistema. La complessità viene, invece, 
     derivata dalla tipologia delle relazioni esistenti tra i termini del sistema.
   4-Afferma che i sistemi complessi della categoria degli esseri viventi sono sistemi 
     chiusi, nell'unico senso che rende utile parlare di apertura e di chiusura a  
     proposito del vivente: quello che riguarda l'informazione.

Lo SCAC minimo è un sistema complesso chiuso di cinque termini, che garantisce la finalità autoconservativa della propria forma auto-distruggendosi e per cui, la conservazione della sostanza, richiede un adeguato apporto esterno. Tuttavia, se il sistema si aprisse perderebbe la forma che lo identifica e perirebbe.

La soluzione di questo dilemma richiede che, alla serie chiusa di 5 termini, sia correlata una serie aperta di tre termini (funzione di ingresso, di elaborazione e di uscita ) gestita dal complesso pentadico, la quale permetta al sistema di assumere ciò che gli è necessario (permeabilità selettiva) senza doversi aprire realmente.

La realizzazione concreta di questa soluzione, nel corso dell'evoluzione biologica, è il vacuolo cellulare con tutte le sue successive trasformazioni, fino all'apparato digerente dei mammiferi (uomo compreso). Per quanto vistose siano le differenze fenomeniche tra gli apparati digerenti di esseri viventi diversi, la logica fondamentale che sottostà all'organizzazione di questo apparato, e ne vincola le possibilità di trasformazione evolutiva, non è mai cambiata in tre miliardi di anni ed è la stessa per tutti gli esseri viventi che ne sono forniti.

Vacuolo1.png

Come mostra la figura 2, la digestione si svolge fuori dal sistema in un ambiente esterno internalizzato, che resta comunque esterno. Solo quando la destrutturazione del materiale fagocitato avrà recuperato componenti assimilabili, questi passeranno selettivamente all'interno del sistema. La stessa logica assimilativa costituisce un aspetto importante dei processi di acquisizione cognitiva.

La teoria dei SCAC chiarisce che lo sviluppo dei sistemi complessi articolari chiusi, (sistemi biologici) segue una precisa legge quadratica e una gerarchizzazione altrettanto determinata dei complessi funzionali, per cui l'ordine di complessità successivo, a quello dello SCAC minimo di cinque termini, non sarà costituito da 6, 7 o 9 termini ma da 17 termini. L'ordine ancora successivo da 257 termini e così via.

Quindi, se Tn è il numero di termini implicato da un livello di complessità, il numero dei termini del livello successivo è: (Tn – 1)2 +1(leggi: [(Tn-1)al quadrato, +1] Questo sviluppo è reso inevitabile dalla tassativa necessità di mantenere la coerenza interna del sistema che ne garantisce la chiusura (la necessità, cioè, che ciascun sottosistema sia collegato con ciascun altro soddisfacendo le condizioni di una K relazione).

Un aspetto importante di questa modalità è lo sviluppo di sottostrutture di espansione delle FUNZIONI UNIVERSALI primarie. Da ciascun termine primitivo si differenzia una struttura che ne modula la funzione specifica, restando in costante correlazione con le strutture derivate dagli altri termini del sistema primitivo. Al tempo stesso, questo permette il differenziamento di sottofunzioni più specializzate.

Strutture1.png

Avremo così:

   * Una struttura che modula la conservazione delle risorse (delle quali fa parte il 
     progetto)Sr
   
   * Una struttura che modula la realizzazione del progetto (substrati) Su (uscite)
  
   * Una struttura che modula la permeabilità selettiva del sistema e provvede alla conservazione del complesso S2
   
   * Una struttura che modula l'equilibrio sistemico elaborando il flusso di dati e modulando la distribuzione 
     dell'elaborato Se
   
   * Una struttura che modula la comunicazione Sc (circolazione dell'informazione, flusso dei dati nei canali, 
     rappresentazioni e rappresentanze)

La più rilevante di queste strutture è Sr (conservazione delle risorse).

Sr è la struttura che perpetua la vita, della quale vita un individuo vivente è per così dire un'esemplificazione concreta. Sr assicura perciò la sopravvivenza, e non solo la sopravvivenza materiale, ma anche quella culturale. Essa è la base del bisogno di trascendenza[2], delle trasformazioni evolutive dell'individuo e della specie e dell'integrazione autentica individuale. Ciò che fa dell'Uomo un essere particolare è l'importanza e il ruolo che questa struttura assume (con la comparsa dell'Umanità) al livello individuale. Il bisogno di trascendenza è un bisogno fondamentale dell'Uomo e fra i bisogni fondamentali è un bisogno primario. Qualsiasi bisogno fondamentale primario è qualche cosa che riguarda esclusivamente il corpo, al quale non è possibile raccontare favole o fornire gratificazioni virtuali. Brunelli sosteneva che, finché ciò non sarà riconosciuto esplicitamente e finché non sarà sviluppata una tecnica adeguata, per affrontare i problemi relativi al bisogno di "trascendenza", con le sue componenti e vicissitudini corporee, nessuna tecnica psicoterapica potrà aspirare alla guarigione del paziente, ovvero alla sua liberazione.


SISTEMA

È solo nell'ultimo mezzo secolo che, almeno nell'ambiente scientifico, il termine "Sistema" è stato usato con un significato che aspiri ad essere meno intuitivo, ma più specifico e referenziale. Tuttavia, l'interesse diffuso per processi polifattoriali, di natura non immediatamente intuibile, ha condotto all'applicazione del concetto di sistema a insiemi di eventi molto diversi, tra i quali, a volte, risulta difficile individuare qualsiasi analogia che giustifichi una comune denominazione e ciò toglie molto del suo potenziale valore a questo concetto.

Letteralmente sistema vuol dire "riunione di più cose". Tuttavia, rispetto al termine insieme (che rappresenta anch'esso una riunione di più cose), sembra implicare qualche cosa di più che una mera numerabilità. Nell'uso corrente un sistema è un insieme definito da qualche proprietà, non semplice, implicante qualche genere di finalità o di strategia (sistema di gioco, sistema del totocalcio, sistema di vita). Spesso indica anche un insieme di parti aggregate in maniera determinata per svolgere una funzione specifica, contenente, cioè, un'idea di organizzazione (sistema solare, sistema di idee ecc.). Un insieme di termini, che costituisce un sistema, dovrebbe quanto meno implicare qualche genere di sistemicità: ovvero qualche attributo posseduto da qualsiasi sistema. Nonostante ciò, quando tentiamo di delimitare il campo d'applicazione di questo concetto, sembra non vi sia alcuna caratteristica che possa essere attribuita a qualsiasi insieme che qualche addetto ai lavori sia incline a considerare un sistema.

Chiameremo sistema, quindi, un insieme di termini la cui la proprietà caratterizzante è una funzione della struttura, di cui l'insieme è il campo (in generale questa proprietà si identifica con un comportamento o con un processo). Questo enunciato deve essere considerato una definizione generale di sistema [Seminario Rivaldi, 1976]. In parole povere, un sistema è un insieme, il quale è il campo di qualche struttura, e in genere si tratta della struttura di qualche processo. Un sistema, quindi, può essere aperto o chiuso, ma non può essere privo di struttura. Potrà, inoltre, essere più o meno o per nulla complicato, ma non potrà mai essere privo di parti. Così definito un sistema potrà anche essere complesso.

Qualsiasi complesso è un sistema, ma non sempre è vero il contrario e se per il fisico è importante cercare di capire la dinamica della complicazione, che si presta assai bene al frazionamento, per chi si occupa del comportamento umano è assai più rilevante chiarire la natura della complessità.


COMPLESSO

In generale, chiameremo complesso un insieme quando questo è il campo di una relazione complessa, e una relazione è in generale complessa quando la sua definizione implica necessariamente più di due termini. Una relazione diadica (cioè fra due termini) non è mai complessa (per definizione) ma, in quanto relazione, è sempre semplice (non può essere, cioè, scomposta in relazioni con un minor numero di termini). Inoltre, una relazione diadica non è mai elementare dato che un ELEMENTO è sempre complesso.

I casi interessanti, per Brunelli, sono stati quelli nei quali la relazione complessa fosse anche una serie circolare. I sistemi viventi appartengono, progettualmente, tutti a questo tipo di complessità, ma richiedono che si imponga, alla precedente definizione che è molto generale, qualche specifica restrizione. La ragione di ciò risiede nelle peculiarità che distinguono il CONFINE dell'essere vivente. Per queste ragioni, e sulla base dell'analisi del rapporto fra il tutto e le sue parti, che dal vasto bacino della complessità siamo indotti ad isolare la complessità articolare chiusa. È in questo ambito, infatti, che il problema della persistenza dell'identità individuale assume un significato preciso e ha qualche probabilità di ricevere una risposta utile. K-Complesso è un sistema complesso organizzato da una K-relazione.

ARTICOLARE

Per afferrare tutta la portata del concetto di ARTICOLAZIONE è necessario mettere da parte le definizioni e le distinzioni anatomiche, dato che queste distinzioni hanno una rilevanza esclusivamente meccanica, che sicuramente ha la sua utilità, ma che tende a oscurare l'aspetto essenziale della funzione articolare nei sistemi viventi.

Considerando insiemi di segnali modificabili, chiameremo articolazione qualsiasi dispositivo capace di trasformare o annullare la forma di un segnale emesso da una sorgente e renderlo contestualizzabile in un ricevitore.

Nucleo essenziale.png


In generale, almeno nelle forme più evolute di articolarità, l'articolazione è un elaboratore ANALOGICO che, alterandone la forma, adegua il contenuto del segnale emesso da una sorgente alle capacità di gestione (elaborazione) di un ricevitore. L'articolazione svolge questo compito elaborando, nei modi consentiti dalla sovradeterminazione sistemica, la perturbazione creata da qualche evento nella sua dinamica interna; l'elaborazione persegue sempre la finalità di ristabilire il proprio equilibrio. Ciò che sorgente e ricevitore devono avere in comune è, in genere, un invariante topologico rilevante nell'intenzione comunicativa (è la radice del senso profondo della comunicazione). In altri termini, l'articolazione bada a se stessa, ma lo può fare solo nei modi consentiti dal sovrasistema cui appartiene e questa restrizione rende il lavoro autoconservativo dell'articolazione utile allo sviluppo e al mantenimento del sistema di appartenenza.

Per quanto riguarda l'articolazione scheletrica, si tratta di un Elaboratore analogico nel quale entrano grandezze fisiche e dal quale escono grandezze fisiche (in generale un'articolazione scheletrica converte grandezze meccaniche in grandezze elettriche e viceversa). Ciò che rende utile la possibilità dell'articolazione scheletrica di gestire queste grandezze è il suo isomorfismo con altri sottosistemi dell'organismo, e il fatto che le articolazioni sono nodi di una rete di legami, della quale non fanno parte soltanto altre articolazioni scheletriche ma anche altri sottosistemi o apparati dell'organismo: in particolare apparati e sottosistemi viscerali (ciascuna articolazione contiene una mappa somatotopica più o meno dettagliata dell'intero organismo). Una conseguenza importante della definizione di articolazione è che, secondo Brunelli, non si può più parlare dell'articolazione come di un dispositivo che separa due ossa, ma si dovrà parlare di un osso come di qualche cosa che collega due articolazioni. Nella Fisiopatologia Biotransazionale (FBT)[1] l'osso è il più rilevante componente del LEGAME breve tra due articolazioni. Un ginocchio isolato fra i due monconi del femore e della tibia non ha, infatti, alcun senso.

Il senso del ginocchio deriva dal fatto che svolge un ruolo nel dialogo analogico tra l'anca e la caviglia, dialogo nel quale il femore e la tibia sono canali di trasporto di energia e d'informazione. Ciò che è importante, in una visione macroscopica dell'organismo, è che l'articolazione scheletrica è un substrato adeguato a memorizzare vari tipi di informazione. Vale a dire che un'articolazione contiene sempre varie memorie o componenti di memorie del sistema (organismo). Inoltre, è fondamentale capire che l'articolazione non è un utile accessorio accidentale, ma una necessità pregiudiziale per il sorgere di qualsiasi sistema complesso chiuso autoregolato, ossia per qualsiasi organismo vivente.

Un sistema complesso di tale tipo è in sostanza un circuito, i cui nodi sono articolazioni nel senso della definizione appena data.

CHIUSO

I termini di un sistema complesso, del tipo SCAC, sono tenuti insieme da una relazione legante. Ciascun termine ha 4 legami disponibili, ciascuno dei quali deve necessariamente essere impegnato con i restanti 4 termini.

Ogni termine è oggetto dell’interesse equilibrato, positivo o negativo, degli altri 4 termini e questo significa che è attirato e respinto in maniera equilibrata, per cui non può sfuggire dalla sua posizione, ma significa anche che questo girotondo di termini doppiamente legati è completo: a nessuno avanza una mano per far entrare nel girotondo un 6° termine. Nessuno può uscire e nessuno può entrare.

In questo senso, il girotondo è chiuso e finché tutti si tengono per mano è autoconfinato.

Quella che segue è una definizione più formale della CHIUSURA di un complesso.

CHIUSURA

Un sistema complesso è chiuso se ciascun termine, contiguo a un termine del suo k-CONFINE, è un termine del suo k confine e se nessun termine può essere aggiunto o tolto senza violare le condizioni di esistenza del confine, ossia le condizioni di esistenza della K relazione. CONTIGUO qui significa che ha, con l'altro termine, un legame breve. La condizione stabilisce, perciò, che se un termine ha un legame breve con un membro del confine, allora ha gli altri tipi canonici di legame con gli altri membri del confine.

Non è difficile comprendere che un sistema del genere non risiede dentro il suo confine ma è il suo confine, non si tratta di una scatola. Il sistema non ha un confine, è un confine.

Lo SCAC (organismo) è tutto confine, è solo confine: fegato, stomaco milza, ossa, emozioni, pensieri, enunciati, e tutto quanto si possa concepire come un aspetto rilevante intrinseco, fa tutto parte del suo confine. Superata la sorpresa, questa visione offre un enorme vantaggio, quello di non trascurare fattori essenziali quando si cerca di comprendere le vicissitudini esistenziali di un individuo, le quali, senza eccezione, sono tutti eventi di confine.

Il concetto di confine è intimamente correlato al concetto di legame. Infatti, il confine nasce dalla regolazione cooperativa di una distanza e il legame nasce dalla regolazione cooperativa di un confine. Questo implica la regolazione di una tensione e di un flusso d'informazione.

Il confine di un essere vivente non è un contenitore esterno, ma piuttosto una serie di azioni compiute dall'essere vivente e coerenti rispetto ad una finalità ben determinata: quella di conservare la propria integrità. Questo equivale a dire che il proprio equilibrio specifico è rappresentato dal proprio confine.

ANALOGICO

Nella comunicazione analogica è, ovviamente, essenziale l'analogia e in particolare l'analogia strutturale. Per esempio, quando si registra un disco di polivinile (i vecchi 33 giri) ciò che arriva al microfono è un'onda acustica (meccanica), il dispositivo di registrazione trasforma queste variazioni di una grandezza meccanica in variazioni di grandezza elettromagnetiche, e queste, adeguatamente elaborate, vengono ritrasformate e incise sul disco come variazioni di una grandezza meccanica (la struttura del solco). Il processo inverso ricostruisce la voce del cantante.

Tutto ciò si fonda sulla conservazione, lungo tutto il procedimento, della struttura del processo originale. Vale a dire che la struttura della serie di variazioni elettriche, magnetiche, ecc. è analoga alla struttura della serie di variazioni vocali e così via.

Nella comunicazione analogica, il segnale ha uno spettro di variazioni continuo (nasce da uno spettro continuo di differenze) e i segnali sono correlati in modo concreto agli elementi che ricevono l'informazione. Così, un significato può essere trasmesso (in tempo reale) con tutte le sue sfumature. Siamo qui nel campo dell'analogia e della differenza, della sintesi e dell'opposizione, del continuo, del concreto e del rappresentativo (isomorfo). Non vi è zero e non vi è negazione, né denominazione.

Stabilire e mantenere il rapporto fra sorgente e ricevitore è, per le teorie di Brunelli, un aspetto primario del ruolo svolto dalla comunicazione analogica.

Un calcolatore analogico trasforma le quantità che entrano nel calcolo in potenziali meccanici, elettrici o di altro genere, rendendo possibile l'elaborazione da parte di qualche circuito di variabili senza intermediari simbolici, ma come altre quantità e grandezze e questo in funzione, appunto, di qualche analogia strutturale (come per il disco di polivinile).

Rispetto al DIGITALE l'analogico sembra avere qualche problema riguardo alla sintassi. Ciò è stato creduto da Brunelli per molto tempo, finché egli non ha scoperto che la funzione più originale dell'IO è una funzione digitale e l'Io filtra tutto attraverso questa funzione. Così, le presunte difficoltà sintattiche dell'analogico si riducono a un mero pregiudizio e a una incapacità costituzionale dell'IO DIGITALE di utilizzare una sintassi complessa come quella del SE' analogico.


CONFINE

Si può definire un confine in molti modi diversi, tutti utili in contesti specifici, ma in nessun modo il confine di un essere vivente può essere definito come una sorta di recipiente contenente i suoi componenti. Tuttavia, pensare il confine dell'essere vivente in questi termini è un'abitudine mentale molto diffusa e un grosso impedimento a comprenderne la natura specifica.

Una caratteristica rilevante di qualsiasi essere vivente è che il suo "l'involucro" (corteccia, membrana o pelle che sia) è autonomo, autarchico e necessariamente connesso alle parti del sistema. Questa è una differenza fondamentale rispetto ai recipienti nei quali il fisico mette qualche quantità di gas, quando costruisce un sistema termodinamico.

Il confine di un apparato sperimentale termodinamico viene stabilito dal fisico; il confine di un'ameba, invece, non è stabilito né dal biologo, né dal fisico. Chi lo determina è l'ameba stessa e, come può rendersi conto chiunque non abbia smarrito completamente il buonsenso, questo comporta un'enorme differenza. Il confine, nella teoria dei Sistemi Complessi Articolari Chiusi (SCAC), è un autoconfine gestito dallo SCAC e ciò che si dovrebbe cercare di comprendere è come lo SCAC (organismo) esercita questa gestione.

In maniera più formale, possiamo dire che il confine nella teoria dei Sistemi Complessi Articolari Chiusi (SCAC) è un concetto seriale. Uno Scac-Confine è una serie di termini, organizzati da una K-Relazione, ciascuno dei quali è bipolare ed è, a sua volta, l'estremo polare di una coppia antipodica. Questo enunciato equivale a una definizione di Sistema Complesso Articolare Chiuso. Infatti, la chiusura comporta una pressoché totale identificazione fra lo SCAC e il suo confine.


CONTIGUO

Nella teoria dei Sistemi Complessi Articolari Chiusi si definisce la contiguità e la contiguità stretta. Due termini sono contigui se hanno un legame forte. Una definizione più semplice di contiguità è: due termini sono contigui se hanno almeno 1 dei 4 tipi fondamentali di legame. Ne segue che due termini sono K-integrati se hanno un K-legame lungo e almeno uno dei due appartiene a un K-complesso. La contiguità di due termini è qui un concetto funzionale.

Due termini contigui possono essere spazialmente molto distanti. Se fra due termini spazialmente molto lontani si mantiene una comunicazione continua e veloce, c'è più contiguità fra quei due termini che tra altri due termini, magari spazialmente adiacenti, ma poco e male comunicanti.

DIGITALE

La comunicazione digitale combina elementi discreti, presi come segni arbitrari, con una forte componente di convenzionalità (le proposizioni del linguaggio verbale ne sono un esempio). Si presta a un preciso trattamento combinatorio, che ne rende elevata la possibilità di codificazione ma anche la possibilità di aumentare la complicazione sintattica e inoltre è, in generale ed a priori, priva di significato. Il significato deve essere associato ai segni e alle combinazioni di segni, mediante l'uso di memorie per così dire esterne e regole specifiche delle quali non può essere dimostrata, fino in fondo, la consistenza. Il digitale è discontinuo (discreto), astratto, arbitrario, combinatorio; è il campo del significante, della distinzione, dell'analisi, dell'identità e della contraddizione. In confronto all'analogico, il digitale ha qualche problema con la semantica e questo sembra un difetto alla base di tanti smarrimenti intellettuali.

Gli aspetti funzionali, più rilevanti, sono: connotazione, scambio di informazione, scambio di idee e concetti, o loro equivalenti, tra sorgente e ricevitore.

Un calcolatore digitale richiede enunciati verbali, e con un bagaglio di tali enunciati, è in grado di fare molte cose interessanti, a volte sorprendenti, ma non è in grado di elaborare la comunicazione di un livello pre-linguistico, visto che elabora l'informazione solo in forma simbolica e convenzionale. Dato che le variazioni di grandezza possono essere espresse in numeri, un calcolatore digitale potrà sempre simulare un calcolatore analogico, ma avrà bisogno di una traduzione simbolica. Questa intermediazione simbolica ha una conseguenza importante: la programmazione di un digitale potrà essere assai semplice e veloce, ma l'elaborazione assai lenta. Viceversa per l'analogico.

Inoltre, è vero che qualsiasi significato può essere veicolato in un significante (codice) digitale, ma ciò è vero solo teoricamente. Infatti, la quantità di bit richiesti e il tempo di trasmissione renderebbero in taluni casi del tutto assurda l'impresa (cioè inutilizzabile l'informazione).



ELEMENTO

Le proprietà elementari di una cosa sono quelle che si conservano quando la frazioniamo, poiché il CONFINE del tutto ha la stessa natura del confine delle parti. Un atomo [3] della cosa sarà, allora, la più piccola parte di essa, capace di conservare un confine autonomo (cioè chiuso), che ne faccia una complessità unitaria. Questo, però, significa che un atomo non è mai semplice (cioè privo di struttura), ma ha delle parti differenziate e organizzate da una relazione complessa specifica. La rottura dell'autoconfine altera completamente, generalmente in modo irreversibile, la natura dell'elemento.

Il legame altera in qualche misura la forma di un elemento, ma le alterazioni indotte dal legame sono in genere più facilmente reversibili, infatti non alterano la topologia del sistema. In sintesi tutto ciò che è elementare è anche complesso, ma non è necessariamente vero il contrario, visto che esistono complessità aperte.

Un complesso è definito elementare quando possiede un confine autonomo, intrinsecamente determinato, ed è chiuso. Quando un complesso è chiuso nulla può attraversarne il confine senza subire qualche trasformazione. Se qualche cosa attraversa il confine, senza essere trasformata, o viene ignorata (non interagisce) oppure il complesso si guasta fino, a volte, alla disintegrazione.

IO

L'uomo è un animale che si distingue per alcune caratteristiche che lo rendono unico e una di queste è certamente l'andatura bipede (assai più caratteristica della stazione eretta). L'essere umano è l'unico quadrupede che cammina in piedi e questo ha reso necessario un vasto riadattamento biomeccanico e senso-motorio, che non è ancora giunto a termine.

La principale conseguenza di ciò è che le mani hanno acquistato una notevole libertà di movimento, il che ha consentito all'uomo di essere l'artefice di grandi realizzazioni e di grandi catastrofi. Ciò che ha reso possibile rimaneggiare i programmi di movimento, e la gestione posturale nel corso di questi mutamenti evolutivi, è stato il grande sviluppo e la peculiare organizzazione della corteccia cerebrale, che è anche alla base dello sviluppo specificamente umano del linguaggio verbale.

Questa possibilità di rappresentazione convenzionale e di elaborazione binaria (vero/falso) è certamente la più peculiare e rilevante caratteristica dell’Io umano, un sostituto culturale del programma istintuale (represso, ma non soppresso, alla nascita) ampiamente svincolato da fattori genetici, programmabile e in linea di principio riprogrammabile, con capacità di apprendimento del tutto eccezionali: un IO CULTURALE.

L'aspetto dell’Io, di maggiore rilevanza per Brunelli, è quello di essere un elaboratore digitale riprogrammabile.

Questo dovrebbe svolgere una funzione fondamentale: articolare le necessità del Sé, corporeo e analogico, con le peculiarità dell'ambiente [4] . Tuttavia, un’articolazione definita in accordo con la logica del Sistema Complesso Articolare Chiuso (v. SCAC) è un dispositivo analogico, mentre l’aspetto dell'Io, implicato nella faccenda, è un dispositivo digitale per sua natura incapace di trattare le sintesi oppositive. La FBT[1] considera fondamentale questa peculiarità nel determinismo dei comportamenti umani (v.Io culturale, Io digitale).

IO CULTURALE

Una parte rilevante delle configurazioni (stati) possibili del Sistema (Sé) è memorizzata nelle articolazioni. Esattamente come quando si compone un numero telefonico, la selezione di una data configurazione articolare tende a selezionare canali informazionali specifici e ad attivare specifiche configurazioni affettive, cognitive e comportamentali.

Di contro, l'attivazione di una rappresentazione cognitiva (o affettiva) tenderà ad attivare una specifica configurazione articolare ed è questo che costituisce la base della formazione di vari tratti di carattere e "atteggiamenti personali".

È chiaro quale sia nell'animale il vantaggio di una simile organizzazione articolare: per quanto siano stati necessari milioni di anni per programmare l'insieme di calcolatori analogici, che costituiscono il circuito articolare dell'animale, il numero delle risposte differenziate che un tale sistema può gestire è enorme e la selezione di una risposta (cioè la soluzione di un problema) è immediata. Il limite è che qualsiasi "nuovo cambiamento" nell'ambiente, non previsto nelle variazioni normali, implicherà un forte ritardo nell’adeguamento del programma, sarà in larga misura affidato al caso e richiederà il sacrificio di numerosi individui.

Nell’uomo, con lo sviluppo della corteccia cerebrale, una sorta di processore digitale è stato incuneato nel sistema. Questo è responsabile in gran parte della formazione dell’Io culturale (in FBT l’Io digitale è l’aspetto dell’Io culturale più strettamente legato alla razionalità e alla conoscenza di stampo, per così dire, scientifico e alla costruzione del linguaggio verbale). Il vantaggio è evidente dal punto di vista individuale. Il processore digitale può essere programmato con facilità e rapidità. Questo offre la possibilità di adeguare il programma di comportamento a situazioni "insolite”, affidando questa responsabilità all’individuo come tale e non come esempio di una specie.

L'intelletto umano si fonda sullo sviluppo peculiare di questa possibilità. Il processore digitale, che caratterizza l’essere umano, ha una bassa potenza e un numero relativamente esiguo di canali disponibili. Ha, inoltre, i limiti di elasticità che gli sono imposti dalla sintassi del linguaggio verbale. Così, per quanto grandiosi possano essere i progetti che può elaborare, il processore digitale umano ha sempre 2 limiti:

   La lentezza dell’elaborazione, per cui non è in grado di fornire risposte immediate o di costruire immediatamente una risposta intermedia fra 2 risposte precalcolate
   Non è in grado di gestire adeguatamente la enorme complessità delle uscite.

Per il primo limite esiste un rimedio: memorizzare quanti più schemi di risposta è possibile a situazioni precalcolate; per il secondo limite, invece, non è stato posto alcun rimedio ed è lecito sospettare che un rimedio efficace non sia possibile. Quindi, quale che sia il progetto ideato dall'Io, esso dovrà sempre affidarne l'esecuzione all'intelligenza ancestrale del sistema e dovrà con questa fare i conti. L'Io è un architetto che, senza un buon capomastro, una squadra ben coordinata di operai e un linguaggio accessibile allo staff operativo, può solo "architettare, ma quanto a realizzare potrà fare ben poco. Da qui deriva la necessità di astrazioni simboliche e la necessità di tradurre simboli digitali in (o associare a simboli digitali) strutture di codici più o meno archetipiche, che abbiano significato per l'apparato ancestrale che cura l'esecuzione. Tutto ciò crea una serie di complicazioni nella complessità del "Sistema Uomo", che spiegano molte delle stranezze del comportamento umano. L'Io culturale è il risultato del compromesso fra l'Io digitale e il Sé analogico istintuale ed è per questo che, in qualsiasi cultura, ci sono tante irrazionalità e incongruenze.

IO DIGITALE

Ogni animale ha la sua protezione istintuale, il meccanismo di questa protezione è l'asservimento della scarica a stimoli specifici, oggetti determinati e modalità determinante. Così l'istinto risulta essere una protezione intelligente dalla cecità delle pulsioni, poiché cieco non è l'istinto, ma la pulsione. Nell'uomo la situazione è completamente diversa.

Quasi tutto l’apparato istintuale (di prevalente natura analogica) viene represso alla nascita, lasciando campo libero ad un apparato fondamentalmente digitale di potenza relativamente assai bassa. Questo apparato costituisce la base di edificazione di quello che sarà l'Io dell'uomo adulto, ampiamente svincolato da fattori genetici, programmabile e in linea di principio riprogrammabile, con capacità di apprendimento del tutto eccezionali: un Io fondamentalmente culturale.

In seguito alla disarticolazione delle componenti istintuali ancestrali, il SE' corporeo umano necessita di una struttura funzionale attraverso la quale presentarsi e rappresentarsi nell'ambiente esterno. Questo rappresentante è l'Io culturale, il cui carattere distintivo è l'apparato digitale di elaborazione.

L'Io nasce come mediatore culturale e da una parte deve costruire una rappresentazione del Sé adeguata ai bisogni del Sé, d'altra parte deve adeguare questa rappresentazione alla specifica configurazione morfofunzionale dell'ambiente (situazione), deve cioè contestualizzare adeguatamente questa rappresentazione. Questo significa che deve trovare una forma specifica, determinata dall'ambiente, salvando il contenuto che, invece, è determinato dal Sé con le sue necessità fondamentali. Non è un compito facile.

I comportamenti dell'uomo, sono quasi tutti appresi e, se è vero che questo offre un evidente vantaggio, mostra anche dei seri inconvenienti. L'Io svolge nell'uomo la stessa funzione che nell'animale è svolta dall'istinto. L'uomo quindi è un animale con un Io culturale e questa non è una differenza da poco, è come dire che è un animale con un istinto culturale.

Alla base di ogni pulsione, nell'uomo come nell'animale, c'è un bisogno del Sé. Tuttavia, nell'uomo, l'Io rappresenta un'energia pulsionale, la quale sarà sempre "incartata" in un abito culturale.

Le finalità ultime di qualsiasi essere vivente sono: essere, conservarsi, esprimersi, trascendersi. Per l'uomo, però, è essenziale anche esistere, ossia potersi descrivere in maniera definita.

L'Io gestisce gli ingressi e le uscite in vista di questo fine, filtrando gli stimoli e organizzando le risposte come farebbe una struttura istintuale. Tuttavia, questo processo avviene attraverso una serie di de-cisioni inizialmente consapevoli, rimaneggiando continuamente il programma per rendere le risposte sempre più differenziate e adeguate alle diverse circostanze, che sono, ormai, quasi esclusivamente condizioni "di contorno" create dalla cultura.

LEGAME

Tipi di legami.png

Tutti gli adattamenti precoci sono in definitiva vincoli che escludono delle potenzialità. La valutazione dei vincoli articolari e dell’articolarità globale residua è più importante di un’etichetta diagnostica.

Si può avere un grosso vincolo articolare e una discreta particolarità residua, poiché si è appreso a gestire quel vincolo in modo che lasci accessibili tutte le altre possibilità. Tuttavia, allo stesso tempo, si può non avere un vincolo così grave, ma essere vincolati in 3-4 articolazioni in modo tale che non vi siano alternative di comportamento utili da selezionare.


PERSISTENZA

In che modo si mantiene la forma che permette di identificare un sistema dinamico soggetto a un continuo rinnovamento dei suoi componenti? Nell'arco di due anni, il corpo distrugge o trasforma le molecole che lo compongono nel momento attuale, eppure, nonostante ciò, mantiene, pressoché la medesima forma. Cosa è che ne garantisce la persistenza? È facile intuire che il problema della persistenza è un problema pregiudiziale, la cui soluzione non può essere tacitamente attinta dal comune buonsenso. Anche se vari e potenti strumenti esplicativi sono stati forniti dalla chimica e dalla fisica, nel secolo scorso, applicare questi strumenti alla biologia non è stato facile, come potrebbe sembrare a prima vista, e il problema di come persistano le cose, campo del quale si occupa la scuola di Brunelli, (se non persistessero non potrebbero occuparsene), resta fondamentalmente aperto.

Per quanto si riesca a comprendere, il problema non riguarda le cose ma il linguaggio col quale se ne parla: è un problema che prima di tutto riguarda la logica. Si parla con grande disinvoltura del rapporto fra le parti e il tutto, ma si ha un'idea vaga di quale sia la natura di questa relazione?

Brunelli reputava che a monte di ogni altra considerazione, il problema centrale comune alla fisica e alla biologia, ivi compresa la psicologia, fosse: "Che genere di rapporto è il rapporto fra il tutto e le sue parti?". E ancora: "In che modo questo rapporto in certe circostanze si mantiene costante?". (La persistenza di una totalità infatti non è che la costanza delle relazioni fra le sue parti). Qualsiasi spiegazione scientifica di ciò che capita nel mondo (in particolare nel mondo della biologia) sarà sempre precaria finché non sarà chiara la natura di questo problema e finché non si disporrà di qualche risposta accettabile a queste domande.

La teoria dei SCAC è una risposta a queste domande, certamente ancora incompleta e tutt'altro che definitiva; è una risposta sufficiente a mostrare che vi sono da esplorare strade più vicine alle necessità umane di quelle che la fisica e la biologia hanno esplorato finora.

SE

Secondo la Teoria dei SCAC, il Sé è la totalità dell’essere nel suo divenire dialettico, è un potenziale d’azione, il motore dell’evoluzione individuale. Il Sé è la totalità chiusa degli eventi che costituiscono l’Essere con tutto il suo patrimonio di relazioni intrinseche in evoluzione, vista dall’interno. Esso implica, e quasi si identifica, con un tipo assai peculiare di confine che l’Io non può facilmente rappresentare. Tale concetto individua, infatti, un complesso di funzioni che sono formalmente le stesse dei sottosistemi dello SCAC, il cui scopo principale è infatti l’autoregolazione coerente. Non è corretto, allora, dire che il Sé “ha” delle funzioni o che svolge delle funzioni, ma piuttosto che “è” l’auto-concretizzazione integrata o coerente di tali funzioni.

Dal punto di vista dinamico, il Sé è un complesso sintetico di opposti che sono sempre riducibili, sul piano logico, ad analogia e differenza.

Il Sé genera opposizioni: dalla sua prospettiva una contraddizione si risolve sempre in un’altra contraddizione, non esiste una sintesi “ultima”. Il bisogno di sintesi pacificanti sembra essere invece proprio dell’Io, che si muove secondo una logica binaria. Per l’Io la dialettica della trasformazione propria del Sé, individuabile nella ridistribuzione dei legami della Fascia Miotensiva (FMT) [5], sembra essere minacciosa.

Da un’altra angolazione ancora, si può dire che la struttura del Sé si collega a quella funzione dell’individuo che, secondo la Teoria, si definisce come coscienza, mentre la struttura dell’Io si collega a quella funzione definita come consapevolezza. Il Sé è allora l’essere cosciente di essere.

Per chiarire meglio la peculiare natura del concetto di Sé nel modello biotransazionale, sembra opportuno fare qualche considerazione confrontandolo con l’uso corrente nella letteratura, soprattutto quando se ne tratta in relazione al concetto di Io.

A proposito del rapporto fra identità e continuità dell’essere, la teoria implica che “il senso di identità”, una funzione primaria dell’Io, mediata dall’”immagine del Sé”, sia in qualche misura patologico. Tale posizione rappresenta un’ipotesi euristica molto interessante.

In un individuo normale l’Io non medierebbe il senso dell’identità - che è una pretesa sociale - bensì il senso dell’analogia. Il senso di identità, improntato da una prospettiva metafisica, tende a veicolare un’idea di fissità, a cristallizzare il Sé in una struttura rigida, e quindi in un'unica possibile modalità di espressione del potenziale d’azione individuale, conducendo ad uno stato di inflazione dell’Io.

Il “senso di analogia”, invece, possiede una impronta dialettica, che sembra più adeguata a supportare il “senso di continuità”, proprio delle dinamiche di trasformazione del Sé, che si declina nell’esperienza di esser-ci al mondo. A partire da tale ri-definizione concettuale e dal concetto di SCAC, l’approccio biotransazionale pone una serie di problemi relativi alle differenze fra “Sé”, “immagine di Sé” e “immagine del Sé” con implicazioni epistemiche e meta psicologiche importanti. Per continuare, è però necessario fare un’anticipazione su una delle funzioni dell’Io individuata dall’approccio biotransazionale: “L’Io quale rappresentante del Sé”.

Nella Teoria dei SCAC si denota con “immagine di Sé” (percettiva) l’immagine che l’Io ha di sé e si denota con “immagine del Sé” l’Io stesso, quale rappresentante del Sé. Quando si parla quindi di un’immagine dell’Io, che riguarda il Sé, bisogna capire se questo sé è il Sé o è l’Io. L’Io gioca, infatti, su di un equivoco: essendo un rappresentante del Sé, tratta la sua immagine di sé come l’immagine del Sé, e questa è sovente una falsificazione che si rivela catastrofica. L’Io dovrebbe essere il rappresentante del Sé nell’ambiente e dovrebbe, via via, rappresentarlo in tutta la sua estensione. Di fatto però è in grado di “rappresentare” solo l’aspetto del Sé attivato, nell’attualità, dalla pulsione emergente. Il problema sorge quando l’Io, anziché lasciar scorrere via, via configurazioni diverse del Sé, si cristallizza su una o poche di quelle possibili, irrigidendole, appunto, in un processo di identità con se stesso, cristallizzando così il Sé in una rappresentazione che ne escluda, a priori, gran parte.

Un’eventuale rigidità, nella rappresentazione del Sé, si ritroverà rispecchiata nella distribuzione di vincoli articolari e fibrosi muscolo-legamentosa [6] della Fascia Miotensiva (FMT).

Questo è un indice della capacità di interferenza dell’Io nel processo di autoregolazione del Sé. Così, distinguere fra “senso di identità” e “senso di analogia” diventa fondamentale in ambito clinico per poter comprendere se si ha a che fare con un Io che svolga in modo adeguato la propria funzione di interfaccia fra il Sé e l’ambiente.

Un altro aspetto, trascurato dalla epistemologia corrente, che rappresenta un tema di portata centrale nella Fisiopatologia Biotransazionale (FBT) è quello del rapporto fra “aspetto digitale” e “ aspetto analogico” dell’individuo. La FBT considera tale rapporto come un’opposizione fondamentale, definendolo, per l’appunto, “conflitto fondamentale” e parlando del difficile lavoro di "cucitura" fra il pensare e l’agire.

L’obiettivo della terapia biotransazionale è "ricucire" questi due aspetti fondamentali dell’individuo in un’integrazione coerente.


FUNZIONI UNIVERSALI

Ogni Sistema Complesso Articolare Chiuso si caratterizza per il possesso di cinque funzioni universali, supportate da altrettanti sottosistemi, che garantiscono la persistenza del complesso e sono fattori di organizzazione di ogni accrescimento di complessità. Ciascuna di queste funzioni è una finalità sovradeterminata di un effettore, che è un sottosistema integrato nella totalità unitaria dello SCAC elementare.

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È ovvio che, in ultima analisi, ciò che circola nello SCAC è energia, ma proprio perché ovvio, questa considerazione, in un certo senso tautologica, è piuttosto futile.

Rilevante, invece, è il fatto che l'energia circolante nello SCAC è labilmente strutturata da questo circuito elementare di funzioni e ciò che il Sistema Complesso Articolare Chiuso conserva è la struttura energetica, vale a dire l'informazione.

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Note

[1] È obiettivo primario della Teoria dei SCAC impostare una metodologia di analisi adeguata alla complessità dialettica dei sistemi e in particolare dei sistemi viventi, pertanto essa trova applicazione in diverse discipline. Questo obiettivo, per quanto riguarda la biologia, si è concretizzato nello sviluppo di una specifica disciplina, che è la fisiopatologia biotransazionale (FBT): termine con il quale, nell'ambito della Teoria dei SCAC, si denota il complesso, normale o patologico, delle transazioni che si svolgono all'interno di un organismo con la finalità di garantirne la persistenza. Secondo questo approccio la dimensione psichica non è separata da quella corporea e il corpo è la manifestazione di un sistema di relazioni strutturanti, che si auto-organizzano, a diversi livelli, secondo una logica definita (che è la stessa in ogni essere vivente dall’ameba all’uomo). La fisiopatologia biotransazionale sostiene che un essere vivente è in sostanza una struttura di messaggi, è una continua comunicazione in un circuito chiuso. Da questo punto di vista, ad esempio, l'osso è il rappresentante di un segnale monotono e persistente nella comunicazione fra due articolazioni; dove il segnale è monotono e persistente si deposita il calcio. In sostanza non è l’osso che regge il sistema ma il sistema che regge l’osso. La Terapia Biotransazionale (TBt) nasce come applicazione clinica della Fisiopatologia Biotransazionale.

[2] È la finalità fondamentale(accanto alla conservazione di ogni organismo biologico, che trascende la sua vita individuale nella continuità della specie. Nell’uomo la trascendenza investe anche altri livelli, in particolare livelli simbolici(qualsiasi uomo appartiene a due specie: biologica e culturale). Lo sviluppo e il comportamento dell’essere vivente si svolge dall’interazione di due assi: l’asse della "trascendenza", dipendente dalla sottostruttura che modula le risorse(Sr), principalmente legata alla sessualità, e l’asse della conservazione, dipendente dalla struttura che gestisce la conservazione dell’individuo(S2), fondamentalmente legata all’alimentazione. L’asse della trascendenza ha un preciso rappresentante biomeccanico che è L2, L3, infatti, il nucleo polposo di questo disco intervertebrale è il residuo rappresentativo di un importante organizzatore embrionale che, in un certo senso, rappresenta nella corda dorsale dell’embrione lo zigote primitivo. Anche nelle colonne più contorte L3 è quasi sempre orizzontale, come se tutte le contorsioni servissero a mantenere l’orizzontalità di L3. La verità è che tutto si sviluppa per mantenere il programma dello zigote del quale L2/L3 è un rappresentante biomeccanico. L2 è collegata con D8, 11, 12 da cui dipende la gestione dell’apparato digerente(rapporto trascendenza-conservazione).

[3] In questo caso, il termine atomo è usato in senso generico e non nel senso specifico della chimica o della fisica. In questa accezione anche una molecola chimica può, a buon diritto, essere chiamata atomo. Un asino è certamente un atomo di "asinità", come un cavallo lo è di "cavallinità". Resta, invece, alquanto incerto (data la vocazione mistificatoria dell’Io digitale e l’ambiguità del termine umanità) se un uomo debba essere considerato un atomo di umanità.

[4] In vista di questa funzione uno dei principali strumenti dell'Io è il desiderio, che è l'abito culturale di un bisogno. Il desiderio fa parte dell'apparato di articolazione fra bisogno e norma, proprio perché è capace di discriminazioni qualitative (delle quali il bisogno è incapace) e questo poiché il desiderio mostra aspetti di analogia con il bisogno e aspetti di analogia con la norma: sostanza/forma - rapporto Int/Est, SCAC/AMBIENTE, etc. L'energia che sottende il desiderio (pulsione) è in larga misura costituita da asimmetrie focali della fascia miotensiva. Un desiderio coatto è una specifica struttura di rigidità articolari.

[5]Quello di fascia miotensiva è un concetto molto astratto, correlato al concetto di pervasività delle funzioni fondamentali dell'organismo, ed è uno dei fondamenti dell'approccio riabilitativo biotransazionale. La fascia miotensiva (FMT) è uno spazio il cui principale carattere è la capacità contrattile e lo sviluppo di tensioni locali, in grado di spostarsi e trasformasi, implicanti un senso e un significato più o meno specifici. Si tratta in pratica di un mezzo continuo per il trasporto dell'informazione. È la FMT che, quando è integra, rende fluido il movimento. La contrattilità, che è una delle caratteristiche più primordiali del vivente, ha infatti due risvolti: il cambiamento di posizione, cioè lo spostamento, e lo sviluppo di una tensione. Il concetto di fondo è quello di un'energia di tensione elastica, che oscilla producendo un movimento articolare, e che, a sua volta, ne regola l’oscillazione. Concretamente, si tratta di un apparato tensiogeno del quale, nell'uomo, fanno parte diverse strutture anatomiche, fra cui i muscoli, e in cui un ruolo fondamentale è giocato dal tessuto connettivo. Di struttura topologica assai complessa, la fascia miotensiva racchiude tutte le potenzialità di movimento dell'organismo. È sia il motore del movimento, sia il mezzo attraverso il quale si realizza, in gran parte, l'autoregolazione del sistema vivente. La fascia miotensiva è un concetto che rappresenta un equilibrio di tensioni asimmetriche circolanti nell'organismo: permette, una volta comprese le leggi che governano la dinamica di tale equilibrio, di descrivere, comprendere, prevedere e modificare, in modo precalcolato e nel rispetto della sua integrità, le dinamiche di movimento di un individuo, senza dover prendere in considerazione ogni singolo muscolo (o altro componente) che vi sia implicato. Propriamente parlando, non esiste infatti "La" funzione di un determinato muscolo o di un qualsiasi altro componente. La funzione attuale di un componente dipende da ciò che stanno facendo altri componenti. Nelle applicazioni concrete della fisopatologia biotransazionale, la FMT è interpretata come un insieme di muscoli, guaine connettivali, tendini, legamenti e così proseguendo, ossia tutto ciò che è strettamente connesso all'articolazione e in questo ambito, in particolare, tutto ciò che può sviluppare tensione. Infine, è anche l'organizzazione di legami che sostiene il processo di spostamento delle asimmetrie di tensione, passando per il filtro delle griglie articolari che ne regolano il flusso. Sinteticamente, i concetti di articolazione, legame e fascia miotensiva sono fondamentali e fortemente integrati fra loro nel modello Bio Transazionale. L'utilità di questo modello risiede nel fatto che i concetti, fin qui illustrati, conducono ad una ricostruzione funzionale dell'essere umano, che ci permette di individuare molti aspetti importanti della sottile sintassi e della peculiare semantica intrinseca di quel dialogo, in se stesso complesso, che è l'organismo. È questa conoscenza che apre la possibilità di intervenire nell'ambito della terapia con la finalità esplicita di ricondurre le complicazioni, introdotte dalla patologia, nel dominio della complessità originale, utilizzando le risorse autonome del paziente, cosa che nessuna protesi, biochimica, meccanica o concettuale, è in grado di realizzare.

[6] Ogni volta che una regione della fascia miotensiva deve sostenere una richiesta cronica costante di tensione, che duri per un tempo sufficientemente lungo, il complesso articolare coinvolto tende a sostituire il lavoro metabolico necessario con un più economico lavoro meccanico. Questo equivale a ridurre le fibre muscolari e aumentare il connettivo fibroso nella muscolatura coinvolta. Altrettanto, in un tempo più lungo, i legamenti implicati tendono a ridurre il connettivo elastico a vantaggio del connettivo fibroso. Una fibrosi della fascia miotensiva è una memoria stabile di qualche esperienza che condiziona, limitandola, una vasta serie di potenzialità dell'organismo. In genere, impone limitazioni al Sé in funzione dell ambiente. Si può tentare in una terapia psicodinamica per ricodificare i codici verbali, ma se la resistenza che incontriamo è sostenuta da una fibrosi, questa tenderà a ripristinare gli stessi codici verbali che funzionavano precedentemente.

Voci correlate