A virtual world is possible: differenze tra le versioni

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Geert Lovink è l'autore insieme a [[Schneider Florian|Florian Schneider]] del saggio "A virtual World is possible" . Nella prima parte il testo descrive un percorso che, partendo dalla descrizione dei "Tactical Media" dei primi anni '90 fino all' analisi delle odierne " Digital Moltitudes", tenta di ricostruire gli aspetti salienti dello sviluppo che ha caratterizzato il cosiddetto "movimento anti-globalizzazione" dai suoi primi passi fino alla sfida posta dalla situazione presente. La seconda parte è invece dedicata alla nuova cultura critica dei media, alle strategie per l'arte e all'attivismo virtuale. La domanda a cui si cerca di rispondere è quella di una possibile esistenza di una sinergia tra le proteste di strada e il movimento di "hacktivism" virtuale.
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[[Lovink Geert|Lovink Geert]] è l'autore insieme a [[Schneider Florian|Florian Schneider]] del saggio "A virtual World is possible" . Nella prima parte il testo descrive un percorso che, partendo dalla descrizione dei "Tactical Media" dei primi anni '90 fino all' analisi delle odierne " Digital Moltitudes", tenta di ricostruire gli aspetti salienti dello sviluppo che ha caratterizzato il cosiddetto "movimento anti-globalizzazione" dai suoi primi passi fino alla sfida posta dalla situazione presente. La seconda parte è invece dedicata alla nuova cultura critica dei media, alle strategie per l'arte e all'attivismo virtuale. La domanda a cui si cerca di rispondere è quella di una possibile esistenza di una sinergia tra le proteste di strada e il movimento di "hacktivism" virtuale.
  
  

Versione attuale delle 00:35, 7 Nov 2012

A virtual world is possible

Autore:

Lovink Geert & Florian Schneider

Tratto da:

Tactical Media to Digital Multitudes http://laudanum.net/geert/files/1037066642/

Titolo Originale:

A virtual world is possible

Anno:

Ottobre 2002

Lovink Geert è l'autore insieme a Florian Schneider del saggio "A virtual World is possible" . Nella prima parte il testo descrive un percorso che, partendo dalla descrizione dei "Tactical Media" dei primi anni '90 fino all' analisi delle odierne " Digital Moltitudes", tenta di ricostruire gli aspetti salienti dello sviluppo che ha caratterizzato il cosiddetto "movimento anti-globalizzazione" dai suoi primi passi fino alla sfida posta dalla situazione presente. La seconda parte è invece dedicata alla nuova cultura critica dei media, alle strategie per l'arte e all'attivismo virtuale. La domanda a cui si cerca di rispondere è quella di una possibile esistenza di una sinergia tra le proteste di strada e il movimento di "hacktivism" virtuale.


UN MONDO VIRTUALE E’ POSSIBILE

Cominciamo con gli attuali dibattiti strategici del cosiddetto movimento anti-globalizzazione. maggiore forza politica emergente da decenni. Nella parte II esamineremo, invece, le strategie della nuova cultura critica dei media nella fase post-speculativa dopo la “doctomania‿. Il movimento globale si sta materializzando attraverso quattro fasi che hanno distinte qualità politiche, artistiche ed estetiche.

1. Gli anni novanta e l’attivismo dei media

Il termine « tactical media » si presenta nel periodo dopo la caduta del muro di Berlino come rinascita dei media attivisti che si esprime amalgamando l’impegno e il lavoro politico degli artisti della vecchia scuola con le nuove tecnologie. I primi anni ’90 videro una crescita esponenziale dell'industria dei media che significò la possibilità di procurarsi un equipaggiamento personale a buon mercato e la creazione di un nuovo tipo di interesse tra attivisti, programmatori, teorici e artisti. I mezzi di comunicazione non furono più visti semplicemente come strumenti utili alla lotta, ma anche come teatro di nuove sperimentazioni estetiche e narrative. Queste pratiche di liberazione tecnologica non si sono trasformate immediatamente in movimenti sociali evidenti, hanno, però, rappresentato la celebrazione della libertà mediatica.

2. Il periodo delle grandi mobilitazioni

Il maturare di questa situazione (legato al malcontento organizzato per il convergere di questioni quali il neo-liberismo, le politiche di riscaldamento climatico globale, lo sfruttamento del lavoro e molte altre) farà seguire alla fine del post-moderno "periodo senza movimenti" una fase di grandi mobilitazioni e la crescita di una tendenza ibrida ed eterogenea, che viene etichettata dai media tradizionali come anti-globalizzazione. Una delle particolari caratteristiche di questo movimento consiste nella sua apparente incapacità a rispondere. E se in questo caso non c'è risposta né alternativa alla tipica domanda che si pone ogni generazione in movimento (cosa fare?) non è ammessa nemmeno la possibilità di un ritorno a soluzioni appartenenti al passato.Non ci sono state né ci sono risposte o alternative,sia tattiche che strategiche, all’attuale ordine mondiale, alla globalizzazione. E forse questa è la conclusione più importante: non si può ritornare al ventesimo secolo, alla condizione di nazione protettiva, alle agghiaccianti tragedie della “sinistra‿. E’ sicuramente positivo ricordare il passato ma è necessario poi liberarsene. La domanda “Cosa fare?‿ non deve essere letta come un tentativo di reintrodurre aspetti dei principi Leninisti. E’ possibile svegliarsi dall’incubo della storia del passato comunismo e porsi ancora la domanda “Cosa fare?‿.Ad ogni modo,il movimento sta crescendo rapidamente. A prima vista esso sembra usare un mezzo noioso e molto tradizionale: la mobilitazione di massa di decine di migliaia di persone nelle strade di Seattle, centinaia di migliaia nelle strade di Genova. Le "moltitudini" non sono un sogno o una qualsiasi costruzione teorica ma costituiscono una realtà. Se c'è una strategia non è quella della contraddizione ma dell'esistenza complementare. Qui la strada e il cyberspazio si incontrano, le manifestazioni di protesta sono messe in atto davanti ai media di tutto il mondo durante incontri al vertice di leader politici e importanti uomini di affari, e cercano il confronto diretto. Più che opporsi semplicemente allo stato di cose attuale si vorrebbe aggiungere un nuovo livello di globalizzazione dal basso.

3. Confusione e rassegnazione

A prima vista, il futuro del movimento è confuso e privo di un valido riconoscimento ideologico. Anche la condanna morale della società capitalistica non è più necessaria dato che i fatti parlano da soli. Le nuove formazioni sociali prendono possesso delle strade e degli spazi mediatici senza sentire il bisogno di essere rappresentati da una più alta autorità. La sinistra , o quel che resta di essa, non riesce più a supportare il movimento con una ideologia ben precisa, forse dal momento che esso funziona perfettamente anche senza. Le persone coinvolte si mobilitano sotto la spinta di preoccupazioni reali non per una qualche nozione romantica di socialismo; non si fanno centinaia o migliaia di chilometri per partecipare ad un raduno di protesta inseguendo delle idee astratte. La questione logorante : riforma o rivoluzione? sembra più che altro un ricatto al fine di provocare la corretta risposta dal punto di vista politico. La contraddizione tra egoismo e altruismo è del tutto falsa. La globalizzazione riguarda tutti.Questa nuova perspicacia politica è stata l’enorme cambiamento del periodo recente

4. La presente sfida:

liquidare il terzo periodo regressivo della marginale protesta morale. Fortunatamente,l’11 settembre non ha avuto sul movimento un impatto immediato. La scelta tra Bush e Bin Laden è stata irrilevante. Entrambe le posizioni sono state rifiutate come fondamentalismi devastanti. La fin troppo ovvia domanda:<<da chi viene il male peggiore?>> è stata accuratamente evitata dal momento che è legata alle pressanti esigenze della vita quotidiana: la lotta per il salario, per un servizio di trasporti pubblici adeguato, il servizio sanitario, l’acqua, etc. Dato che sia la democrazia sociale che il socialismo realmente esistente dipendono pesantemente dallo stato nazionale, un ritorno alle condizioni del ventesimo secolo suona tanto disastroso quanto le catastrofi che esso provocherebbe. Il concetto di moltitudine digitale è qualcosa di diverso e, soprattutto basato completamente sui valori dell’apertura e della libertà. Nel corso degli ultimi anni, la lotta delle moltitudini si è indirizzata su diversi fronti quali dialettica dell'open source, frontiere aperte, libero scambio di conoscenza. Questa penetrazione di concetti però non significa assolutamente scendere a compromessi con gli ideali della classe neo-liberale, i movimenti progressisti si sono sempre battuti per la democratizzazione delle regole di accesso, della decision-making e della condivisione delle capacità acquisite. "Non stiamo semplicemente cercando un'uguaglianza adeguata a un livello digitale. Siamo in mezzo ad un processo che costituisce la totalità di "un essere rivoluzionario" tanto globale quanto digitale. Dobbiamo sviluppare un modo di leggere i "dati grezzi" dei movimenti e delle lotte e il modo per rendere la loro conoscenza sperimentale comprensibile, per codificare e decodificare gli algoritmi della singolarità, non-conformità e non-confondibilità, per inventare, rigenerare e aggiornare i racconti e le immagini di una connettività veramente globale, per aprire il codice sorgente di tutte le conoscenze in circolazione e installare un mondo virtuale." Il presente rivendica nuove forme di soggettività (sia negli ambienti della rete che nel mondo reale) dove questi sforzi siano portati a un livello di produzione dove tutti possano considerarsi degli esperti, dove il superfluo delle risorse umane e l'intensità di un'esperienza quotidiana non vadano perduti

Nonostante i movimenti contro la globalizzazione diano l'impressione di essere cresciuti sia nelle strade che on line, la critica della new media culture parte da un bilancio piuttosto duro sui budget tagliati e sull' ostilità e l'indifferenza crescente che caratterizza il settore in questo momento. Anche se qualcuno afferma che il potere sia passato al cyberspazio e che sia avvenuta un'incorporazione tra i network online e la vita fuori dalla rete, una domanda rimane molto attuale: si può parlare di una sinergia tra le proteste di strada e il movimento di "hacktivism" virtuale? Secondo i due autori no. Anche se le due forme di contestazione stanno attraversando uno stadio concettuale comune rischiano di rimanere entrambe bloccate ad un livello di discorso astratto e simbolico non più fondato sulla situazione reale. Non si può prescindere dalla contraddizione che si apre tra reale e virtuale. Internet di per sé è sempre ibrido, una mescolanza di vecchio e di nuovo e di molteplici fattori diversi. I "nuovi" movimenti e i media non sono ancora abbastanza maturi per rispondere alla sfida del potere esistente e le rivendicazioni per dare corpo al futuro suonano troppo deboli e vuote in questo clima conservatore. Come Peter Lunenfeld ha evidenziato nel suo libro « Snap to Grid » il livello negativo , puro e modernista del « concettuale » ha colpito il pesante muro del discorso astratto e simbolico. Ma cosa verrà dopo la "demo version" concettuale? Come spingersi al di là del prototipo? Per quanto tempo un movimento può crescere e rimanere virtuale? Invece di coniare altri concetti è tempo di interrogarsi su come il software, le interfacce e gli standard alternativi possano essere effettivamente installati nella società. Le idee posso prendere la forma di un virus, ma la società può reagire con programmi di immunizzazione ancora più efficaci: appropriazione regressione, trascuratezza. Ci troviamo ad affrontare una crisi graduata. La maggior parte dei movimenti e delle iniziative si ritrovano in trappola. La strategia del diventare “materia complementare‿ (di importanza secondaria) (Guattari) non è una scelta positiva ma l’opzione “default‿. Le folle non sono fuorilegge ma dovrebbero essere viste come esperte nella guerriglia della comunicazione. I movimenti di oggi corrono il rischio di rimanere incastrati in modelli di protesta di auto-soddisfazione. Dal momento che l’accesso al movimento politico è completamente bloccato l’unica opzione possibile è un ulteriore mediazione. Lovink e Schneider si rifiutano di uniformarsi al "futuro è adesso" dei cyberpunk e invece di avallare la causa della riconciliazione tra reale e virtuale, propongono una rivalutazione radicale delle innovazioni tecnologiche degli ultimi 10-15 anni . E se ormai è dato per scontato che "l'informazione ci forma", le conseguenze di questa nuova consapevolezza sono sempre meno misurabili e gli attivisti hanno appena cominciato a comprendere l'impatto di questo paradigma. Le crescenti tensioni e polarizzazioni qui descritte obbligano ad un ripensamento dei limiti del discorso sui nuovi mezzi di comunicazione. Nell’era degli eventi “ in tempo reale‿ la definizione dell’arte come antenna della razza umana di Ezra Pound rivela la sua natura passiva. L’arte non ha più spazio. Il settore della new media art , infatti, nonostante la sua costante crescita rischia di rimanere isolato, incapace di rivolgersi ai problemi del mondo globalizzato di oggi. Si sente ormai l’esigenza di un rivalutazione critica del ruolo dell’arte e della cultura all’interno dell’ odierna net-society . Laurent Lessig sottolinea come l'innovazione su Internet sia in pericolo. La rete ha perso la sua attrattiva; la tecnologia non è più una novità, i mercati sono in ribasso e la gente non vuole saperne più nulla. Questo processo, che adesso sta subendo anche un'accelerazione, mina pericolosamente il futuro delle rivendicazioni dei nuovi media.Fermo restando il fatto che i capitali e il potere rimangono nelle mani dei vecchi baby-boomers, la scommessa dei new media deve ancora essere pagata. Il malessere dei media non è stato ancora compreso e la speranza che emerge da queste pagine è quella che "il brusio" dei nuovi mezzi di comunicazione possa essere trasformato in qualcosa di più interessante prima che qualcun altro lo faccia al nostro posto.