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Come Hobijn sostiene: “il messaggio non dovrebbe essere: non sentire il pace maker, ma: senti il pace-maker!�? | Come Hobijn sostiene: “il messaggio non dovrebbe essere: non sentire il pace maker, ma: senti il pace-maker!�? | ||
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Gli individui devono diventare nello stesso tempo più solidali e sempre più diversi. – Le pratiche multiple non dovrebbero solo essere omogeneizzate e interconnesse attraverso una qualche modalità di protezione trascendentale, ma esse dovrebbero essere sensibilmente condotte in un processo di generazione di dissimilarità. | Gli individui devono diventare nello stesso tempo più solidali e sempre più diversi. – Le pratiche multiple non dovrebbero solo essere omogeneizzate e interconnesse attraverso una qualche modalità di protezione trascendentale, ma esse dovrebbero essere sensibilmente condotte in un processo di generazione di dissimilarità. | ||
I punti strategicamente importanti di intervento su questo si trovano nel concreto, nel corporeo, nel locale, mentre i buchi neri delle eterotopie, il virtuale e transterritoriale contengono i punti di effettiva ed intensa soggettivazione. | I punti strategicamente importanti di intervento su questo si trovano nel concreto, nel corporeo, nel locale, mentre i buchi neri delle eterotopie, il virtuale e transterritoriale contengono i punti di effettiva ed intensa soggettivazione. | ||
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Versione attuale delle 21:36, 12 Nov 2012
Contents
Autore
Titolo Originale:
Towards an Aesthetics of Heterogenesis
Tratto da: http://www.v2.nl/~andreas/texts/1996/aestheticsofheterogenesis.html
Anno:
1997 d.c.
Luogo:
Berlino
Sito web:
Descrizione:
L’espressione “Media art�? è spesso criticata perché suggerisce una specificità di concetti o estetica che non possono essere dedotti dall’uso dei media elettronici. Ad ogni modo, io continuo a credere nell’applicabilità euristica del termine e lo userò per descrivere arte che spiega i media digitali. La “media art�? ha una storia “antecedente�? nelle pratiche come l’arte postale o film e video sperimentale, ma il fatto che i media digitali siano basati sull’unità dei bit semioticamente indistinta, indica che il funzionamento è dovuto alla intrinseca non-specificità e instabilità dei propri materiali. La media art deve considerare il tempo come un elemento costituente cruciale, necessariamente orientato al processo e mirato a scatenare eventi singolari e irreversibili. La potenziale flessibilità del lavoro con i materiali digitali offre inoltre la possibilità di interattività e il dissolvimento del confine tra artista e pubblico tra produttore e utilizzatore. Molto spesso attualmente gli artisti sono i (primi) utenti e gli utenti sono i veri produttori Ovviamente il temine media art non descrive una singola pratica, e non è neppure fondamentalmente separata dalle altre forme di arte. Eppure, simile all’architettura del XV e XVI secolo, all’arte grafica del XVII e XVIII secolo, o ai film e alla fotografia del XIX e XX secolo, la media art pone un certo numero di domande. Il che significa che potrebbe non essere necessaria la formulazione di una specifica estetica, ma che ci sono particolari condizioni di lavoro che hanno particolari effetti estetici. Il presente saggio riprende un argomento cominciato nel “Tactical Media/Media Ecology�?, testo parzialmente stampato nel ZKP1. In quest’ultimo vengono dapprima presentati alcuni esempi nella pratica della media art contemporanea per descrivere il contesto, il significato e le condizioni della produzione di questo tipo di pratiche, successivamente si cerca di fornire suggerimenti su alcuni aspetti teorici relativi ad una estetica della media art. Questi suggerimenti sono prescrittivi in quanto io ritengo che ci sia la necessità di promuovere una comprensione più critica del modo in cui la media art interviene nei processi culturali e sociali esistenti.
Dal 1992 Krzysztof Wodiczko, artista e designer industriale polacco-ameircano, ha sviluppato prototipi di Alien staff (letteralmente “bastone, sostegno per gli stranieri�? ndt), uno strumento portatile di misura e forma non molto diverso dal bastone dei Vescovi Cristiani o dal bastone di un saggio. L’alien staff è un sistema di comunicazione mobile e uno strumento protesico che facilita la comunicazione degli immigranti e degli stranieri nel paese in cui hanno emigrato e nel quale hanno un’insufficiente padronanza del linguaggio per comunicare su un piano di parità con gli abitanti nativi. Consiste in un bastone da tenere in mano che ha un monito LCD e degli altoparlanti nella parte superiore entrambi connessi ad un lettore video contenuto in una borsa che l’operatore trasporta sulle spalle. Nella registrazione vengono narrati episodi della stessa vita del migrante e le esperienze con i “nativi�? Parti del fusto del bastone sono dei contenitori trasparenti in cui l’operatore può conservare documenti importanti, carte, souvenir, etc. Il Bastone viene offerto ai migranti, in base ad un progetti di breve durata, in modo che possano portarlo con loro per la strada o in altri luoghi pubblici, in modo da confrontare la popolazione locale con le loro personali “mediate�? storie che riguardano una vita che spesso viene ignorata dalla cultura comune. Ciò può provocare conversazioni che daranno pubblico spazio alla comunicazione, inconsapevole, sul contesto e sull’origine culturale della vita dei migranti. Mediafilter, un sito Web messo on line per la prima volta dall’artista mediatico e politico Garrin Paul nell’inverno del 1994-95, combina una varietà di iniziative politiche e artistiche messe insieme in un ambiente condiviso. Un’enfasi viene posta su progetti che si occupano delle passate zone di guerra della ex-Jugoslavia, come lo Zamir-network che ancora fornisce una canale vitale di comunicazione con e tra gruppi per la pace e gruppi di opposizione nelle diverse repubbliche, o l’indipendente settimanale di Zagabria, arkzin, una delle poche voci critiche rimanenti nella regione i cui articoli sono stati resi disponibili in inglese su mediafilter. Paul Garrin è particolarmente interessato a tenere Internet aperta agli utenti indipendenti per consentire la massima libertà nella scelta dei protocolli e degli strumenti di crittatura Ecco perché le sue recenti attività, quali il progetto “space.name�? che si oppone all’attuale sistema centralizzato di allocazione del nome del dominio, mirano tutte a rivendicare sezioni di “territori digitali�?. Pagine di informazione, forum di discussione, cronache testuali e con immagini sulla situazione nelle zone pubbliche di guerra fanno di Mediafilter un esempio per la funzione di supporto che la rete dei media può avere, e come modello di pratica mediale che non è preoccupata di venir classificata o meno come arte e che da questa indifferenza disegna una dimensione particolare, quasi “estetica�?
Il lavoro del gruppo situato a Colonia Knowbotic Research + cF spesso conducono alle complesse installazioni spaziali che funziona come interfacce tra il mondo del computer costituito da dati e il mondo dell’esperienza umana. Il progetto Dialogue With The Knowbotic South utilizza e trasforma dati sull’Antartide, uno spazio naturale del quale le persone hanno quasi esclusivamente esperienze mediate basate su dati astratti decodificati e ricodificati. Per merito di questa installazione, knowbots, un tipo di computer……., raccoglie dati relativi all’Antartide da internet, e li traduce in una serie di interfacce esperienziali: zone di aria fredda, percorsi di luce, formazioni di pixel proiettati, interfacce che consentono al visitatore dell’installazione di esperire i contenuti dei dati sia in maniera astratta che intuitiva, di esplorarli in maggior dettaglio e di manipolarli parzialmente. Il nostro concetto di Antartide è quello di una “Natura aiutata dal computer�? e DWTKS può essere vista come la rappresentazione del progetto attraverso il quali ci appropriamo di un mondo traverso l’esperienza attraverso i media. Un progetto più recente di KR+cF chiamato Anonymous Muttering sul quale tornerò più avanti, enfatizza l’aspetto della manipolabilità e dell’unione degli agenti umani e meccanici. Media tattici, come Shotgun TV, un gruppo austriaco Contained's mobile video weapon, come Mediafilter o l’Alien Staff, non operano ad un livello ampio o strategico, ma mirano a provocare eventi singolari, e creano turbolenze limitate in spazi pubblici e solo ad un livello secondario si collegano a strategie politiche più ampie. Come altro esempio possiamo guardare al lavoro dei net-workers della Viennese Silverserver dove gruppi come Mamax (Margarete Jahrmann and Max Moswitzer), Etoy e altri sviluppano un ambiente di rete pieno di attriti che si accordano con la dimensione tecnica e politica di Internet. La riduzione degli strumenti di controllo sulla rete e di sorveglianza digitale, il dirottamento dei dati di altre persone e la rilevazione di relazioni economiche non sono presentate tanto come una critica autoriflessiva, ma come un cordiale tipo di attivismo nella tradizione del Situazionismo.
Media/ Arte/ Pratica
La maggior parte di queste pratiche si basano su una tendenza quasi naturale del lavoro collettivo. Artisti nel senso più stretto del termine lavorano insieme ai programmatori, ai tecnici, ai disk-jockeys e amministratori, formando nuove collaborazioni che oltretutto favoriscono intenzionalmente un ampliamento delle reti di produttori. Per questi lavoratori dei media, diffusione e trasversalità sono categorie chiave operative, e la paternità non è una condizione necessaria del loro lavoro, anche se è ancora usata per ragioni pratiche, economiche o sistemiche. Non dobbiamo sottostimare il grado con cui invidia, fama, sesso, danaro e potere ancora giocano il loro ruolo, ma nell’area descritta della media art pratica, la paternità non è una condizione necessaria, ma un metodo, più o meni consciamente, scelto o rigettato. Queste circostanze hanno direttamente connesso lo sviluppo di un permanente o temporaneo “spazio di lavoro condiviso�? in Internet dove gli utenti possono lavorare insieme su progetti visivi, testuali, e acustici in rappresentazioni bi- o tridimensionali. (per alcuni esempi, cf) Nello stesso tempo i discorsi sulle forme di reti emergenti sono meno orientate verso continui scambi come li si conosce dai periodici accademici, piuttosto assomigliano a veloci impegnate conversazioni in bar o locali.
In questo ambiente discorsivo è divenuto virtualmente impossibile rivendicare un diritto sulla proprietà delle idee, una questione tutt’altro che priva di problemi per gli intellettuali e per le categorie editoriali. I luoghi sociali della pratica della media art situati da qualche parte nella penombra tra gallerie, rete, strade, case private, e luoghi in cui si svolgono festival, rimangono precari e spesso contraddittori, forse perché, più che le forme d’arte moderna, l’attuale media art si lega alle contraddizioni non solo della sua stessa pratica, ma anche alle contraddizioni del suo ambiente sociale. In questo contesto è interessante notare i collegamenti diretti e indiretti che sono stati fatti con i precedenti storici, che sono, da una parte la posizione anti-artistica del Dadaismo e del Situazionismo, e dall’altra, le strategie ibride del Futurismo e del Costruttivismo che principalmente cercavano di minare la posizione di autonomia dell’arte. Una questione fondamentale della valutazione della media art rimane il significato ascritto nelle dispositivo tecnologico, una questione che sorge considerando l’uso del linguaggio di programmazione così come nei riguardi dei grandi lavori di installazione tipo la Knowbotic Research che richiede computer con grandi prestazioni, eppure mantengono una posizione critica e riflessiva verso il potenziale ideologico ed epistemologico della tecnologia. In questo contesto Knowbotic Research ha formulato una richiesta per la costituzione e restrizione a specifici campi di sperimentazione, dissertazione e critica, mirati a disinibiti processi di inizializzazione e manipolazione che possono essere richiamati in altri sistemi. Le trandisciplinarietà che emergono, le zone ibride tra teoria e pratica, campi d’azioni, sono da sempre stati progetti supportati da apparecchiature. Non è l’uso di tecnologie, specialmente computer high-end, che li trasforma in eventi eticamente e socialmente problematici. Questo è il punto in cui le argomentazioni dei critici tecnologici falliscono, sia che essi si attribuiscano il prefisso “arte�?, “cultura�?, o “sociale�?. Le energie critiche e concettuali che le nuove tecnologie possono far scaturire non dovrebbero essere cementate in teorie separatiste (estetiche ed etiche), ma dovrebbe essere consentito divulgare secondo un approccio disinibito di tutti quelli attivi nel settore, sia che siano teorici, artisti, o critici.
Aggregazioni di potere
La critica a cui KR allude qui è basata su una questione fondamentale di tutta l’arte che usa mezzi ad alta tecnologia. Suppone che questa pratica utilizza un dispositivo industriale e tecnologico che può solo essere avvicinato criticamente dall’esterno. Una esteticizzazione della funzionalità tecnologica e il suo impiego in contesti artistici è considerata sia eticamente che politicamente inaccettabile. Questo tipo di criticismo è stato rigettato largamente come insufficiente e improduttivo. È indubbiamente importante per la questione della pratica media artistica come possa accordarsi con il potere politico e sociale che è aggregato negli apparati utilizzati. In questo senso “media�? deve essere inteso come aggregazioni di potere, come complessi assemblati di corpi-hardware elettronico, cicli di produzione, reti, umani, ecc- che insieme formano una grande macchina potente e produttiva. “Tecnologia�? è portatrice di potere sociale a livello di produzione industriale così come riguardo alle strutture comunicative e formazioni discorsive e un’arte mediale critica che fa uso di mezzi altamente tecnologici dovrà accordarsi con questi strati di significato. Comunque, rifiutare qualsiasi bio- o altro esperimento tecnologico in modo sbrigativo ed insistere che si può solo trattare questi fenomeni contemporanei in un atteggiamento negativo, sembra essere una indiretta accettazione della sconfitta. Piuttosto questa critica deve accettare che i confini tra arte, tecnologia, industria e società non sono così chiari e ovvi, ma essi formano una introversione frattale, “una differenziazione senza fine di essere lungo le pieghe che si fondono continuamente uno dentro l’altro�?. (Lévi, p. 102)
I media tattici, cui ci si riferiva prima, mostrano che la dimensione della forza può essere capita in senso produttivo e, piuttosto che definirli strutture omogeneizzanti e molarizzanti, possono essere impiegati dove una pratica critica artistica tratti delle forze inerenti alla tecnologia. Un buon esempio di tale pratica è “l’allevmento�? dei Techno-parassites�?, un’iniziativa dell’artista di formazione berlinese Erik Hobijn aveva pensato molto sulla mancanza di attenzione e la precaria invisibilità di molti degli aspetti tecnici del nostro ambiente quotidiano. Esempi classici di questo sono il sistema di illuminazione pubblica o della rete elettrica – chi si preoccuperebbe di una presa di una parete o di una lampada come invece facciamo, per esempio, per i modem dei computer? L’ovvietà dei primi non è solo dovuta al fatto che essi ci stanno attorno da più tempo, ma anche perché questi lavorano molto meglio e in modo più sicuro. I Techno Pparassite attaccano precisamente nel punto in cui c’è una mancanza di vigilanza e diventano parassiti in questi apparati che sono diventati invisibili e che i Techno Parssite usano, scompigliano, e infine distruggono al fine di procreare e di rendersi più grandi, più forti e perfino più belli. Questo tipo di pratica artistica non si lascerà paralizzare o intrappolare in correttezze formali, ma cerca di convogliare la forza dei dispositivi tecnologici verso se stessa. L’apparente ambivalenza etica diventa una necessità dove non può essere identificato una centro di potere, un sistema nemico, o una pratica politica corretta. In riferimento all’analisi di MDA del filo Machinic Thomas Brandstetter ha recentemente affermato che “oggi le strutture di potere possono esse stesse essere diventate nomadi e rizomatiche.�? Nelle pratiche artistiche questo deve implicare, non adattarsi alle condizioni tecniche e stilistiche della tecnologia, ma leggere coscientemente le loro aggregazioni di potere e impiegare la loro forza contro la loro volontà. I lavori più interessanti in questo contesto sono diretti a tenere in considerazione l’esperienza dei “machinic�? alla corporalità e alla percettibilità fisica dei processi attraverso i quali gli apparati umani e tecnologici sono collegati assieme. La ricerca commerciale e semi-commerciale e gli istituti di sviluppo amano parlare della necessità dello sviluppo di interfacce intuitive tra l’uomo e la macchina, tra la realtà fisica e virtuale. Il loro lavoro mira a collegare in modo soft attori reali e virtuali. Invece di queste interfacce intuitive noi dovremmo lavorare verso lo sviluppo di interfacce controintuitive, interfacce che rendano visibili le differenze tra i sistemi contrastanti e le aprano all’esperienza umana. Come Hobijn sostiene: “il messaggio non dovrebbe essere: non sentire il pace maker, ma: senti il pace-maker!�? Il compito della pratica artistica non dovrebbe addolcire le rotture, ma evidenziare le fratture e le rotture che tiene il considerazione il dispiegarsi illimitato delle molteplicità, una pratica che tende verso ciò che Félix Guattari ha chiamato “eterogenesi�?, cioè un processo permanente di ri-singolarizzazione. Gli individui devono diventare nello stesso tempo più solidali e sempre più diversi. – Le pratiche multiple non dovrebbero solo essere omogeneizzate e interconnesse attraverso una qualche modalità di protezione trascendentale, ma esse dovrebbero essere sensibilmente condotte in un processo di generazione di dissimilarità. I punti strategicamente importanti di intervento su questo si trovano nel concreto, nel corporeo, nel locale, mentre i buchi neri delle eterotopie, il virtuale e transterritoriale contengono i punti di effettiva ed intensa soggettivazione. La virtualizzazione radicale priva l’arte di effetti, mentre la tensione creata dalla contemporaneità di topos/heterotopos, identità/non identità, virtualità/concretezza, ri-/de-/territorializzazione spingono i flussi in nuove turbolenze.
Le strategie di eterogeneizzazione possono fare uso del metodo della “granulazione�? del loro materiale, cioè la separazione in elementi e frammenti singoli che insieme formano il “sentito�? del materiale artistico e che possono essere isolati come elementi individuali che apportano significato. Il concetto di granulazione è basato sul potenziale di trasformazione offerto dalla digitalizzazione: ogni “granulato�? digitale, ogni byte può, in una molteplicità di contesti differenti, essere trasposto dal suo stato di potenzialità in uno stato di concretezza. Margarete Jahrmann usa questo concetto quando parla di una molteplicità di server su piccola scala che, data loro flessibilità e il potenziale generativo può portare a processi sinergici molto interessanti. Nel loro ultimo progetto, che si chiama Anonimous Muttering (1996), la KR analizza più direttamente gli effetti della granulazione. Il materiale sonoro proveniente da diversi eventi DJ viene inserito in tempo reale in un circuito operativo dove questo materiale è granulato digitalmente. Gli utenti singoli in speciali zone locali di spazi urbani pubblici, gli utenti in internet e le imprese di computer in rete, possono, con le loro rispettive interfacce (una membrana pieghevole al silicone; un’interfaccia shockwave sul WWW; algoritmi aleatori/casuali) manipolare e trasformare l’output del materiale granulato. Il risultato può essere esperito in stazioni di suoni e luci nello spazio urbano come pure via internet (RealAudio), mentre diventa impossibile distinguere gli interventi di nessuno degli operativi. La granulazione qui significa non solo la separazione digitale del materiale sonoro al fine di attivare i suoi potenziali di trasformazione acustica e visuale, ma anche la dissoluzione di atti individuali in un processo metaindividuale di azione. Questo genere di lavoro collettivo che non distingue tra interventi ad opera di azioni umane o di apparati si dirige verso un’estetica machinic, che non è principalmente interessata a lasciarsi dietro tracce di proprie dell’autore, ma che cerca di esplorare i principi machinic della produzione estetica.
Estetica delle Macchine – estetica del machinic Il fascino del machinic e la sua elaborazione artistica del tardo XX secolo può essere facilmente fatta risalire, come Mark Dery ha recentemente ancora un volta evidenziato, ai predecessori storici sin dal XVII – XXVIII secolo. Anche allora la potenziale autonomia del machinic era stata creata dagli ingegneri umani, che fecero la più forte, se non sublime impressione sui contemporanei. La tecnologia informatica moderna spinge questo fenomeno un po’ più in là eseguendo processi che sono virtualmente incomprensibili sia per la loro velocità che per la loro complessità. L’irritazione è anche causata dal fatto che, come Friedrich Kittler ha rimarcato, la rete non consiste effettivamente di umani che comunicano via computer, ma essa è costituita da computer che comunicano con computer, macchine che sono permanentemente on line e che si inviano pacchetti di programmi, processi di ottimizzazione sia che gli umani ne siano coinvolti o no.
L’estetica del machinic che sta attualmente prendendo forma è, comunque, non solo basata sulle qualità estetiche dell’azione più o meno indipendente delle macchine, intese come hardware. Le macchine possono essere intese in un altro senso più concettuale, come apparati che aggregano e trasformano forze. Guattari e Deleuze hanno trattato questo concetto approfonditamente in relazione alle “macchine a richiesta�? che partecipano nella formazione di dispositivi psichici, eppure essi hanno anche evidenziato che la nozione del machinic può essere intesa in un senso molto più vasto.
“Una macchina organizza la topologia dei differenti flussi e traccia i meandri dei commutatori rizomatici. È un genere di attrazione che piega il mondo su se stesso [….] Nel primo esempio una macchina può essere intesa come appartenente ad uno strato fisico, biologico, sociale, tecnico, semiotico, psichico, ecc,. ma in un senso più generale essa trasgredisce gli strati in un modo eterogeneo e cosmopolita. Una macchina non solo produce qualcosa nel mondo, ma contribuisce anche a produrre, riprodurre e trasformare il mondo nel quale essa funziona. Una macchina è una disposizione che dispone, che tende a tornare indietro, a ritornare alle sue condizioni di esistenza al fine di riprodurle�? (Levy, pag 106-7)
Queste macchine realizzano e trasformano potenzialità e così circoscrivono i punti con i quali i vettori della eterogeneizzazione possono moltiplicarsi – o essere riterritorializzate, in formazioni solide molari. Le macchine non sono oggetti morti, ma hanno sempre uno strato, proto-soggettivo ed una tendenza verso la teleologia e quindi verso la riflessività, che le lega immediatamente ai processi di soggettivizzazione. (cf Guattari 1995, Lévy 1995, and Sengers 1996) Guattari 1995, Lévy 1995, and Sengers 1996)
Trattare l’estetica del machinic significa passare dal livello di fascino per l’hardware a livello dei movimenti, dei processi, delle dinamiche del cambiamento. Il potere e la bellezza dei Knowbots, come sono mostrati KR+cF non sono più giudicati per la loro funzione di portatori di una cultura di tecnologica specifica, ma aspetti del loro comportamento e della loro abilità di intervenire nei processi di trasformazione. Questa interpretazione non significa un abbraccio privo di critica del machinic come principio estetico. Invece trattare il machinic in questo modo mette a confronto la sua ambivalenza e porta a rendere visibile i suoi ordini territoriali spargendoli e trasformandoli.
Potrebbe infatti essere possibile che la questione del potere possa realmente solo essere posta produttivamente in relazione a queste formazioni del machinic. Foucault fece, con successo, il tentativo di descrivere il potere come una forza produttiva e dimostrare che la soggettivizzazione non è l’opposto, ma un prodotto di dispositivi di potere. Noi probabilmente abbiamo bisogno di elaborare ulteriormente questo pensiero al fine di diventare capaci di sviluppare un’analisi del funzionamento del potere in ambienti non lineari. Che cosa significherebbe imparare a descrivere il potere come una linea di forza nel filo machinico, come una linea multipla di forza che passa attraverso un aggregato socio-tecnologico? E che come apparirebbe una critica di aggregati specifici che non si focalizza su particolari temi, fatti o prodotti sensibili, ma su queste linee di forza machinica? Se questo è un modello utile per pensare al potere mediale, potrebbe anche rendere possibile sviluppare da ciò un’analisi dell’impiego tattico di knowbots e di altri agenti machinici.
Una macchina da guerra che ci interessa….
L’approccio verso una estetica critica dei media qui presentata resta speculativo. Esso si riferisce a un processo in corso per la cui osservazione queste considerazioni possono aiutare a sviluppare ulteriori strumenti. Rimangono aperte questioni che saranno in parte affrontate ad un livello artistico, e che in parte richiederanno ulteriori analisi teoriche e interdisciplinari. Una questione che nasce dalle analisi di Guattari e Deleuze dei sistemi semiotici è quali tipi di granulati siano più appropriati per diverse strategie di trasgressione e dispersione: se questi debbano rimanere monadici veicoli di significati appartenenti a unità semiotiche “significanti�? o “post significanti�?; o se la loro granulazione debba andare così oltre che il materiale è riportato in particelle pre-significanti che sono condotte in nuove stratificazioni con macchine astratte e diagrammatiche. Segue la questione su quanto gli ambienti mediali contemporanei con i loro determinanti fattori politici, tecnologici ed estetici possano effettivamente “sempre già�? formare disposizioni machinic che sono più vicini all’ambivalenza della macchina da guerra (::::::::)che alla tendenza di deterritorializzazione di macchine astratte.
La ricerca nella pragmatica del machinic suggerita qui ci porta anche ad un’altra area che merita maggiore attenzione, cioè quella della soggettivazione. La sfida potrebbe trovarsi nel tentativo di sviluppare il concetto delle macchina da guerra in un modo che lo chiarisce come modello pratico per una estetica del machinic senza togliere l’irritazione morale che essa suscita. La macchina da guerra, come Guattare e Deleuze la descrivono in Mille Plateaux solamente si trasforma in un istituzione fascista il cui scopo è la guerra totale, quando essa è fatta propria dall’ordine dello stato. Vista in una prospettiva storica la macchina da guerra è di origini nomadi e si sforza di ottenere la deterritorializzazione e un mutamento permanente dei flussi. “Il suo fine non è la guerra�? come scrivono Guattari e Deleuze “ma incidere una creativa linea di fuga, la formazione di uno spazio uniforme e liscio, e il movimento della gente in questo spazio. […] La guerra può in realtà coincidere con questa macchina, ma solo come scopo sintetico e supplementare che è diretto contro lo stato e gli assiomi globali che lo stato esprime.�? (pag. 584)
I gruppi, i movimenti e le minoranze nomadi che si appropriano della macchina da guerra in questo modo, “possono condurre la guerra solo nella condizione in cui essi costruiscano e creino, nello stesso momento, qualcos’altro�? (ibid.): un vettore che è volto alla dissoluzione di soggettività fisse e che cerca di produrre ciò che Deleuze ha chiamato “singolarità pre-individuali�? e “individuazioni non- personali�?. Strategie di ritardo, di rallentamento e di diversione devono rendere possibile concepire la soggettivizzazione come un processo transitorio piuttosto che teleologico. Soggettivizzazione quindi come temporalmente determinata e come processo irreversibile del divenire, della transazione e della singolarizzazione: da qui la dimensione etica della teoria estetica dell’eterogenesi sembra cristallizzarsi. Per la pratica artistica, l’adattamento del modello della macchina da guerra può significare che, per accrescere le tendenze trasversali, le insicurezze devono essere scatenate, l’anti-produzione deve essere iniziata e il comportamento parassita dev’essere sviluppato come una serie di strategie inversive: ripiegamenti lungo i confini.
Macchine interfaccia e parassiti vengono per occuparsi dei vuoti e degli abissi o delle profonde pieghe che separano i mondi della soggettività, della loro temporalità, dei loro spazi e de loro segni. Una macchina preserva l’evento della piega dal quale esso emerge (tradendolo allo stesso tempo). Essa inscrive il clinamen iniziale nella meccanosfera, lo fa continuare, riemergere e facendo ciò esso diventa la sorgente di nuove pieghe.�? (Lévy, p 110)
Queste pieghe possono essere produttive ovunque esse implichino un momento di trasgressione e dove la sinergia (o la separazione) dell’umano e della macchina , o dove l’identità o non identità della cognizione del calcolo non è affermata, bensì trattata come un confine instabile, come una piega che si può sempre far scivolar fuori e che non conosce alcun territorio interno sicuro.
Collezione:
Genere artistico di riferimento:
Bibliografia:
Thomas Brandstetter: [the power structure itself may be rhizomatic]. Rhizome Digest, 30. Juli 1996 Gilles Deleuze: "A Philosophical Concept." In: J.L. Nancy (ed): Who Comes after the Subject? New York, London: Routledge, 1991 Gilles Deleuze, Félix Guattari: Tausend Plateaus. (1980) Berlin: Merve, 1992 Mark Dery: Escape Velocity. Cyberculture at the End of the Century. New York: Groove Press, 1996 Brigitte Felderer (ed): Wunschmaschine Welterfahrung. Eine Geschichte der Technikvisionen seit dem 18. Jahrhundert. Wien, New York: Springer, 1996 Félix Guattari: Die drei Ökologien. (1989) Wien: Passagen Verlag, 1994 Knowbotic Research: "Developer Kit." In: Medien.Kunst.Passagen, 3/94: Nonlocated Online, (also available on the www at: http://www.t0.or.at/~krcf/nlonline/ Knowbotic Research: Anonymous Muttering (1996)
Manuel de Landa: War in the Age of Intelligent Machines. New York: Zone Books/Swerve Editions, 1991 Lévy, Pierre: "Fraktale Faltung ...". In: Schmidgen 1995, p. 95-114 Mediafilter Next 5 Minutes H. Schmidgen (ed): Ästhetik und Maschinismus. Texte zu und von Félix Guattari. Berlin: Merve, 1995 Phoebe Sengers: "Fabricated Subjects: Reification, Schizophrenia, Artificial Intelligence" (ZKP2, 1996) Silverserver Siegfried Zielinski (1995) [für Paris Revue Virtuelle],
Rotterdam/Berlin 1996