Gruppo Zero: differenze tra le versioni

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==Genere o movimento artistico==
 
==Genere o movimento artistico==
  
[[Arte cinetica]] o [[Arte programmata]][[Image: ZERO_1.jpg|right|frame|'''Heinz Mack - Galleria Schmela''', '''1961''']]
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[[Arte cinetica]] o [[Arte programmata]][[Image: ZERO_1.jpg|right|frame|'''Heinz Mack - Galerie Schmela, Düsseldorf, 1961''']]
 
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==Personaggi o gruppi==
 
==Personaggi o gruppi==
  
'''Gruppo Zero''': [[Piene Otto|Otto Piene]], [[Mack Heinz|Hienz Mack]], [[Uecker Günther|Günther Uecker]], [[Klein Yves|Yves Klein]], [[Manzoni Piero|Piero Manzoni]], [[Fontana Lucio|Lucio Fontana]], [[Tinguely Jean|Jean Tinguely]], [[Beuys Joseph|Joseph Beuys]], [[D'Orazio Piero|Piero D'Orazio]]...
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'''Gruppo Zero''': [[Piene Otto|Otto Piene]], [[Mack Heinz|Hienz Mack]], [[Uecker Gunther|Günther Uecker]], [[Klein Yves|Yves Klein]], [[Manzoni Piero|Piero Manzoni]], [[Fontana Lucio|Lucio Fontana]], [[Tinguely Jean|Jean Tinguely]], [[Beuys Joseph|Joseph Beuys]], [[Dorazio Piero|Piero Dorazio]]...
  
  
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'''IL PANORAMA INTERNAZIONALE. PAROLA D'ORDINE: RICOMINCIARE DA ZERO!'''
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===Il panorama internazionale. Parola d'ordine: ricominciare da Zero!===
  
 
Alla fine degli '''Anni Cinquanta''' il mondo dell’arte era ancora diviso tra [[Realismo]] e [[Astrattismo]]: da un lato le '''tendenze emozionali ed esistenzialiste''' dell’[[Arte informale]] (una corrente dalle matrici incerte ma implicitamente legata all’eredità del [[Surrealismo]] e dell’[[Impressionismo]]); dall’altro lato, invece, in posizione nettamente antitetica, il '''linguaggio mimetico-concretista''' d’ispirazione sovietica.
 
Alla fine degli '''Anni Cinquanta''' il mondo dell’arte era ancora diviso tra [[Realismo]] e [[Astrattismo]]: da un lato le '''tendenze emozionali ed esistenzialiste''' dell’[[Arte informale]] (una corrente dalle matrici incerte ma implicitamente legata all’eredità del [[Surrealismo]] e dell’[[Impressionismo]]); dall’altro lato, invece, in posizione nettamente antitetica, il '''linguaggio mimetico-concretista''' d’ispirazione sovietica.
  
Entrambe le soluzioni, pur lasciando molte aspettative insoddisfatte, impedivano il formarsi di nuove correnti antagoniste, perché occupavano saldamente tutta la scena artistica mondiale (o, per lo meno, quella europea).
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Entrambe le soluzioni, pur lasciando molte aspettative insoddisfatte, impedivano il formarsi di nuove correnti antagoniste, perché occupavano saldamente il centro della scena artistica mondiale (o, per lo meno, europea).
  
 
In una situazione così, un giovane artista desideroso di tentare nuove strade avrebbe avuto serie difficoltà ad emergere: l’unica possibilità era quella di unirsi in gruppo con altri artisti e cercare l’appoggio di ulteriori gruppi.
 
In una situazione così, un giovane artista desideroso di tentare nuove strade avrebbe avuto serie difficoltà ad emergere: l’unica possibilità era quella di unirsi in gruppo con altri artisti e cercare l’appoggio di ulteriori gruppi.
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Forte era, quindi, la commistione con il [[Futurismo]] e il [[Dada|Dadaismo]], ma anche con altre e diverse tendenze artistiche, nascenti proprio in quegli anni: il [[Nouveau Realisme]], la [[Nova Tendencija]], l’[[Arte cinetica]] o [[Arte programmata]], l’[[Arte visuale]], l’[[Arte gestaltica]], l’[[Arte immersiva]], il [[Neocostruttivismo]], l’[[Op art]], [[Fluxus]], etc…
 
Forte era, quindi, la commistione con il [[Futurismo]] e il [[Dada|Dadaismo]], ma anche con altre e diverse tendenze artistiche, nascenti proprio in quegli anni: il [[Nouveau Realisme]], la [[Nova Tendencija]], l’[[Arte cinetica]] o [[Arte programmata]], l’[[Arte visuale]], l’[[Arte gestaltica]], l’[[Arte immersiva]], il [[Neocostruttivismo]], l’[[Op art]], [[Fluxus]], etc…
  
Si sentiva il bisogno di esplorare nuove possibilità e di '''ridefinire il ruolo dell’arte''' (intesa non più come espressività soggettiva dell’Io, ma come scientificità tecnologica e rigorosa), '''dell’artista''' (visto, pertanto, come un tecnico di laboratorio destinato a lavorare in ''équipe'') '''e dello spettatore''' (che, da mero recettore passivo, diventa un fondamentale collaboratore attivo e creativo).
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Si sentiva il bisogno di esplorare nuove possibilità e di '''ridefinire il ruolo dell’arte''' (intesa non più come espressività soggettiva dell’Io, ma come scientificità tecnologica e rigorosa), '''dell’artista''' (visto, pertanto, come un tecnico di laboratorio destinato a lavorare in ''équipe'') '''e dello spettatore''' (che, da mero recettore passivo, diventava finalmente un fondamentale collaboratore attivo e creativo).
  
In questa prospettiva si tentò di riproporre la lezione delle '''avanguardie storiche''' (dalla didattica del Bauhaus alle opere in movimento di Duchamp; dai i progetti di architettura mobile di Tatlin alle sculture animate da luci artificiali di Moholy-Nagy; dal rigore geometrico dai sorprendenti effetti volumetrici delle superfici bianche di [[De Stijl]] alle piatte campiture in bianco e nero del [[Mac]]), rinnovandola attraverso la '''consapevolezza''' tutta '''moderna''' dell’intrinseco ''dinamismo spazio-temporale'' dell’esistenza umana (un tema assai dibattuto in quegli anni).
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In questa prospettiva si tentò di riproporre la lezione delle '''avanguardie storiche''' (dalla didattica del [[Bauhaus]] alle opere in movimento di [[Duchamp Marcel|Duchamp]]; dai i progetti di architettura mobile di Tatlin alle sculture animate da luci artificiali di Moholy-Nagy; dal rigore geometrico dotato di sorprendenti effetti volumetrici delle superfici bianche di [[De Stijl]] alle piatte campiture in bianco e nero del [[Mac]]), rinnovandola attraverso la '''consapevolezza''' tutta '''moderna''' dell’intrinseco ''dinamismo spazio-temporale'' dell’esistenza umana (un tema assai dibattuto in quegli anni).
  
Da tale fruttuosa ibridazione derivarono opere sperimentali di grande impatto sociale e al passo con i tempi, attraverso le quali si cercava di raggiungere l’obiettivo comune di una riconciliazione fra ragione e natura, fra necessità e casualità, fra artificio e verità. Anzi: quello ancor più ambizioso di arrivare a '''fondare un’arte universale''', a forte valenza didattica, che potesse diffondersi in tutte le classi sociali, promuovendo la '''democrazia'''.
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Da tale fruttuosa ibridazione di passato e presente, derivarono opere sperimentali di grande impatto sociale e preveggentemente orientate al futuro, attraverso le quali si cercava di raggiungere l’obiettivo comune di una riconciliazione fra ragione e natura, fra necessità e casualità, fra artificio e verità. Anzi: quello ancor più ambizioso di arrivare a '''fondare un’arte universale''', a forte valenza didattica, che potesse diffondersi in tutte le classi sociali, promuovendo l'avvento della '''democrazia''' (una necessità avvertita con urgenza dopo gli orrori dei totalitarismi europei della prima metà del Novecento).
  
Tuttavia, proprio a causa della '''natura''' essenzialmente '''utopica''' di un simile impegno politico e sociale, molti gruppi dovettero presto sciogliersi, soverchiati sia dalla rapida diffusione dell’arte statunitense (soprattutto [[Espressionismo astratto]] e [[Pop art]], a cui i vari artisti finirono per cedere, anche se, grazie a questa scelta, riuscirono a trovare nuova vitalità, contribuendo alla nascita delle austere geometrie [[minimalismo|minimaliste]]) sia, soprattutto, dall’emergere di personalità sempre più forti ed indipendenti, che mal tolleravano le regole comuni.
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Tuttavia, proprio a causa della '''natura''' essenzialmente '''utopica''' di un simile impegno politico e sociale, molti gruppi dovettero presto sciogliersi, soverchiati sia dalla rapida diffusione dell’arte statunitense (soprattutto [[Espressionismo astratto]] e [[Pop art]], a cui i vari artisti finirono per cedere, anche se, grazie a questa scelta, riuscirono a trovare nuova vitalità, contribuendo alla nascita delle austere geometrie [[Minimal art|minimaliste]]) sia, soprattutto, dall’emergere di personalità sempre più forti ed indipendenti, che mal tolleravano le regole comuni.
  
In effetti, l’ideale di una collaborazione collettiva che includesse non soltanto l’obbligo della spartizione del merito e dei proventi delle opere (tutte rigorosamente prodotte in collaborazione), ma anche un programma unico di ri-definizione del rapporto arte-mercato-società (legato all’idea di produrre composizioni seriali a basso costo per far cessare le speculazioni delle aste), si era rivelata pressochè impraticabile.
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In effetti, l’ideale di una collaborazione collettiva che includesse non soltanto l’obbligo della spartizione del merito e dei proventi delle opere (essendo tutte rigorosamente frutto di un lavoro unanime e collegiale), ma anche un programma unico di ri-definizione del rapporto arte-mercato-società (legato all’idea di produrre composizioni seriali a basso costo in modo da far cessare le speculazioni economiche effettuate nelle aste), si era rivelata pressochè impraticabile.
  
Per cui, dato che questa scelta iniziale aveva creato più problemi che vantaggi, venne immediatamente accantonata e ridotta ad una generica “intesa contro il formalismo e l’immobilismo delle teorie precostituite”, che prevedeva una certa libertà di opinioni e di atteggiamenti.
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Per cui, dato che questa scelta aveva creato più problemi che vantaggi, venne immediatamente accantonata e ridotta ad una generica “intesa contro il formalismo e l’immobilismo delle teorie precostituite”, che prevedeva una certa libertà di opinioni e di atteggiamenti.
  
Tale soluzione, tuttavia, portò alla progressiva dissoluzione dell'idea collaborativa dei gruppi e questo avvenne non tanto perché era diventato possibile confrontarsi apertamente sui temi comuni (fatto di per se stesso costruttivo), ma perché molti membri avevano cominciato a pensare che tanto più questo confronto fosse stato polemico e contraddittorio, tanto più sarebbe apparso produttivo e vitale.
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Tale soluzione, però, portò alla progressiva dissoluzione dell'ideale collaborativo che stava alla base della nascita dei gruppi e questo non tanto perché era diventato possibile confrontarsi apertamente sui temi comuni (fatto di per se stesso costruttivo), ma perché molti membri avevano cominciato a pensare che tanto più questo confronto fosse stato polemico e contraddittorio, tanto più sarebbe apparso produttivo e vitale.
  
  
[[Image:ZERO_3.jpg|left|frame|'''Gruppo Zero - Manifestazione - Galleria Schmela, 1964''']] '''DÜSSELDORF ANNO ZERO'''
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===Düsseldorf anno Zero===
  
In un clima di simile fermento culturale, dove forte era l’esigenza non solo di reagire al predominio artistico contemporaneo dell’[[Astrattismo]] e del [[Realismo]], ma anche di “''ricominciare da zero''”, rompendo con la tradizione pittorica e scultorea del passato e annullando il bagaglio delle esperienze artistiche precedenti, si colloca il '''Gruppo Zero'''.
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[[Image:ZERO_3.jpg|left|frame|'''Gruppo Zero - Manifestazione - Galerie Schmela, Düsseldorf, 1964''']]
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In un clima di simile fermento culturale, dove forte era l’esigenza non solo di reagire al predominio artistico dell’[[Astrattismo]] e del [[Realismo]], ma anche di “''ricominciare da zero''”, rompendo con la tradizione pittorica e scultorea del passato e annullando il bagaglio delle esperienze artistiche precedenti, si colloca il '''Gruppo Zero'''.
  
Questo movimento venne fondato a '''Düsseldorf''' nel '''1957''' (esattamente a dieci anni di distanza dall’uscita del film di Roberto Rossellini ''Germania anno zero'' e del saggio di Edgar Morin ''L'an zéro de l'Allemagne'') dallo scultore [[Piene Otto|Otto Piene]] e dal pittore [[Mack Heinz|Heinz Mack]], ai quali si unì successivamente anche l’artista visuale [[Uecker Günther|Günther Uecker]].
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Questo movimento venne fondato a '''Düsseldorf''' nel '''1957''' (esattamente a dieci anni di distanza dall’uscita del film di Roberto Rossellini ''Germania anno zero'' e del saggio di Edgar Morin ''L'an zéro de l'Allemagne''), ad opera dello scultore [[Piene Otto|Otto Piene]] e del pittore [[Mack Heinz|Heinz Mack]], ai quali si unì successivamente anche l’artista visuale [[Uecker Gunther|Günther Uecker]].
  
E il nome non fu certo scelto a caso, come ci tiene a sottolineare [[Piene Otto|Piene]] in un articolo del '''1964''' pubblicato sulla omonima rivista ufficiale del Gruppo, edita a partire proprio dal 1957: «il nome Zero […] è stato il risultato di una ricerca durata parecchi mesi (la mia prima proposta era stata “Chiaro“). Noi [Mack, Piene ed io] abbiamo, sin dall’inizio, inteso Zero come un nome che stesse ad indicare una zona di silenzio piena di nuove possibilità e non come un’espressione di nichilismo dal vago sapore dadaista […]. Zero è la zona incommensurabile dentro la quale una situazione vecchia e stantia si trasforma in una situazione nuova e fresca».
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E il nome scelto non fu certo un caso, come ci tenne a sottolineare [[Piene Otto|Piene]] in un articolo del '''1964''', pubblicato sulla omonima rivista ufficiale del Gruppo, edita a partire proprio dal '''24 aprile 1958''': «il nome Zero […] è stato il risultato di una ricerca durata parecchi mesi (la mia prima proposta era stata “Chiaro“). Noi [Mack, Piene ed io] abbiamo, sin dall’inizio, inteso Zero come un nome che stesse ad indicare una zona di silenzio piena di nuove possibilità e non come un’espressione di nichilismo dal vago sapore dadaista […]. Zero è la zona incommensurabile dentro la quale una situazione vecchia e stantia si trasforma in una situazione nuova e fresca».
  
 
All’origine dell’istituzione del '''Gruppo''', il cui '''scopo''' era appunto quello di '''ricominciare a fare arte''' "'''partendo da zero'''", stava l’idea, figlia delle teorie scientifiche di quegli anni, che l''''esperienza''' sensibile non è né assoluta né immutabile, ma '''relativa''' e '''mutevole''' (cioè diversa a secondo del punto di vista preso in considerazione) e che, quindi, la '''percezione''' è un '''fenomeno fluido''' che si svolge nel ''continuum'' spazio-temporale della '''realtà''', alla quale veniva pertanto attribuito un '''significato virtuale''' di perpetuo mutamento (cfr. [[Fluxus]]).
 
All’origine dell’istituzione del '''Gruppo''', il cui '''scopo''' era appunto quello di '''ricominciare a fare arte''' "'''partendo da zero'''", stava l’idea, figlia delle teorie scientifiche di quegli anni, che l''''esperienza''' sensibile non è né assoluta né immutabile, ma '''relativa''' e '''mutevole''' (cioè diversa a secondo del punto di vista preso in considerazione) e che, quindi, la '''percezione''' è un '''fenomeno fluido''' che si svolge nel ''continuum'' spazio-temporale della '''realtà''', alla quale veniva pertanto attribuito un '''significato virtuale''' di perpetuo mutamento (cfr. [[Fluxus]]).
  
Il '''Gruppo''', quindi, si presenta come un '''movimento d’avanguardia''' ispirato al [[Nouveau Realisme]] che ha influenzato l’arte mondiale per quasi un decennio, ossia fino al '''1966''', creando sia una nuova concezione artistica che un nuovo linguaggio delle immagini e della forma.
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Il '''Gruppo''', quindi, si presentava come un '''movimento d’avanguardia''' ispirato al [[Nouveau Realisme]] e intenzionato a guidare l’arte mondiale verso una nuova era (cosa che realmente fece per quasi un decennio, ossia fino al '''1966''', anno del suo definitivo scioglimento), creando sia una nuova concezione artistica che un nuovo linguaggio delle immagini e della forma.
  
 
Per le sue caratteristiche esso può essere fatto rientrare nell’ambito dell’'''arte ottico-cinetica''' e, di conseguenza, in quello della pura sperimentazione ludica (d'altro canto, il gioco, dopo la tragedia delle due guerre mondiali, era diventato quasi una necessità culturale).
 
Per le sue caratteristiche esso può essere fatto rientrare nell’ambito dell’'''arte ottico-cinetica''' e, di conseguenza, in quello della pura sperimentazione ludica (d'altro canto, il gioco, dopo la tragedia delle due guerre mondiali, era diventato quasi una necessità culturale).
  
L’[[Arte visuale]] e quella [[Arte cinetica|Cinetica]] si proponevano, infatti, come un '''tentativo giocoso''', ma al tempo stesso '''provvisorio''' ed '''incompiuto''', di saggiare tutte le possibilità di '''rappresentazione artistica del movimento''', sia '''reale''' (ossia prodotto meccanicamente dall’opera d’arte stessa, attraverso dispositivi interni, quali ingranaggi, pistoni, leve, o esterni, quali fonti d’aria e di calore, oppure provocato volontariamente dallo spettatore, azionando specifici comandi) sia '''illusorio''' o '''virtuale''' (ossia dovuto alle qualità intrinseche dell’opera d’arte, quali volumi, rilievi, grafismi, etc… o alle qualità estrinseche dell’ambiente circostante, quali giochi di luci, ombre e riflessi, oppure legato alle differenti risposte percettive dello spettatore che variavano al variare della sua posizione nel tempo e nello spazio).
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L’[[Arte visuale]] e quella [[Arte cinetica|Cinetica]] si proponevano, infatti, come un '''tentativo giocoso''', ma al tempo stesso '''provvisorio''' ed '''incompiuto''', di saggiare tutte le possibilità di '''rappresentazione artistica del movimento''', sia '''reale''' (ossia prodotto meccanicamente dall’opera d’arte stessa, attraverso dispositivi interni - quali ingranaggi, pistoni, leve - o esterni - quali fonti d’aria e di calore - oppure provocato volontariamente dallo spettatore, azionando specifici comandi) sia '''illusorio''' e '''virtuale''' (ossia dovuto alle qualità intrinseche dell’opera d’arte - quali volumi, rilievi, grafismi, etc… - o alle qualità estrinseche dell’ambiente circostante - quali giochi di luci, ombre e riflessi - oppure legato alle differenti risposte percettive dello spettatore che variavano al variare della sua posizione nel tempo e nello spazio).
  
In particolare, l’[[Arte cinetica]], detta anche '''Programmata''' (termine coniato dal suo più valido esponente, [[Munari Bruno|Bruno Munari]], che, nel maggio 1962, insieme a Giorgio Soavi, presentò a Milano, presso un negozio Olivetti, una mostra denominata, appunto, “Arte Programmata”), considerava la scientificità dello sviluppo creativo come l’elemento basilare dell’arte.
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In particolare, l’[[Arte cinetica]], detta anche [[Arte programmata|Programmata]] (termine coniato dal suo più valido esponente, [[Munari Bruno|Bruno Munari]], che, nel maggio 1962, insieme a Giorgio Soavi, presentò a Milano, presso un negozio Olivetti, una mostra denominata, appunto, “Arte Programmata”), considerava la scientificità dello sviluppo creativo come l’elemento basilare dell’arte.
  
 
Di conseguenza, essa aveva come obiettivo quello di diffondere una forma di espressività che fosse anche e soprattutto un “luogo di ricerca” e uno “spazio di sperimentazione”, all’interno del quale fosse possibile legare insieme '''soggetto''' (spettatore) e '''oggetto''' (opera d’arte) in un’unica visione-del-mondo, diversamente da quanto accadeva nell’[[Arte informale]], che invece separava nettamente questi due elementi.
 
Di conseguenza, essa aveva come obiettivo quello di diffondere una forma di espressività che fosse anche e soprattutto un “luogo di ricerca” e uno “spazio di sperimentazione”, all’interno del quale fosse possibile legare insieme '''soggetto''' (spettatore) e '''oggetto''' (opera d’arte) in un’unica visione-del-mondo, diversamente da quanto accadeva nell’[[Arte informale]], che invece separava nettamente questi due elementi.
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Insomma, alla base dell’[[Arte cinetica]] e, quindi, del programma del '''Gruppo Zero''', c’era l’idea fondamentale che lo spettatore non subisse passivamente l’opera d’arte, ma ne modificasse attivamente la rappresentazione: non è un caso, del resto, se, a tal proposito, nella sua presentazione alla mostra organizzata nel ‘62 a Milano da [[Munari Bruno|Munari]], [[Eco Umberto|Umberto Eco]] parlò proprio di “'''opera aperta'''”, dicendo che «la forma [è] costituita da una ‘costellazione’ di elementi in modo che l’osservatore possa individuarvi, con una ‘scelta’ interpretativa, vari collegamenti possibili, e quindi varie possibilità di configurazioni diverse; al limite intervenendo di fatto per modificare la posizione reciproca degli elementi».
 
Insomma, alla base dell’[[Arte cinetica]] e, quindi, del programma del '''Gruppo Zero''', c’era l’idea fondamentale che lo spettatore non subisse passivamente l’opera d’arte, ma ne modificasse attivamente la rappresentazione: non è un caso, del resto, se, a tal proposito, nella sua presentazione alla mostra organizzata nel ‘62 a Milano da [[Munari Bruno|Munari]], [[Eco Umberto|Umberto Eco]] parlò proprio di “'''opera aperta'''”, dicendo che «la forma [è] costituita da una ‘costellazione’ di elementi in modo che l’osservatore possa individuarvi, con una ‘scelta’ interpretativa, vari collegamenti possibili, e quindi varie possibilità di configurazioni diverse; al limite intervenendo di fatto per modificare la posizione reciproca degli elementi».
  
Ora, se da un lato la '''rivalutazione dello spettatore come protagonista attivo dell’opera d’arte''' ha decretato il successo dell’[[Arte cinetica]] in generale e del '''Gruppo Zero''' in particolare, dall’altro lato, invece, l’aspetto di '''sperimentazione giocosa''', in quanto legato alla '''contingenza''' del momento e alla '''casualità''' delle situazioni, ha finito per penalizzare le aspettative di questi due movimenti, perché, dopo un iniziale consenso, dovuto più alla curiosità che ad un reale apprezzamento delle opere, l’attenzione del pubblico svanì rapidamente.
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Ora, se da un lato la '''rivalutazione dello spettatore come protagonista attivo dell’opera d’arte''' decretò il successo dell’[[Arte cinetica]] in generale e del '''Gruppo Zero''' in particolare, dall’altro lato, invece, l’aspetto di '''sperimentazione giocosa''', in quanto legato alla '''contingenza''' del momento e alla '''casualità''' delle situazioni, finì per penalizzare le aspettative di questi due movimenti, perché, dopo un iniziale consenso, dovuto più alla curiosità che ad un reale apprezzamento delle opere, l’attenzione del pubblico svanì rapidamente.
  
  
[[Image:ZERO_2.jpg|left|frame|'''Piene, Mack e Uecker''' - "'''Zero-Karneval'''", '''1964''']] '''ARTE DI SERA BEL TEMPO SI SPERA...'''
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=== Arte di sera bel tempo si spera... ===
  
La genesi storica del '''Gruppo''' risale a quando, nel '''1957''', [[Piene Otto|Piene]] e [[Mack Heinz|Mack]], entrambi formatisi alla ''Kunstakademie'' (Accademia delle Belle Arti) di Düsseldorf, dettero vita, con la successiva collaborazione di [[Uecker Günther|Uecker]], a quelle che essi stessi chiamarono ''Abendausstellungen'' ('''esposizioni di una sera''').
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[[Image:ZERO_2.jpg|left|frame|'''Piene, Mack e Uecker''' - "'''Zero-Karneval'''", '''Düsseldorf''', '''1964''']]
  
Si trattava di mostre collettive autogestite, che, in realtà, erano più delle occasioni di incontro tra artisti, critici e studenti d’arte, le quali duravano, appunto, il tempo di una sera e si svolgevano in un clima festoso da salotto aristocratico ''illuminato''.
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La genesi storica del '''Gruppo''' risale a quando, nel '''1957''', [[Piene Otto|Piene]] e [[Mack Heinz|Mack]], entrambi formatisi alla ''Staatliche Kunstakademie'' (Accademia statale delle Belle Arti) di Düsseldorf, dettero vita, con la successiva collaborazione di [[Uecker Gunther|Uecker]], a quelle che essi stessi chiamarono ''Abendausstellungen'' ('''esposizioni di una sera''').
  
Infatti, all’interno delle ''Abendausstellungen'', che di solito si tenevano presso l’''atelier'' privato di [[Piene Otto|Piene]], non solo venivano esposte opere sia dei tre capiscuola del '''Gruppo''' che di altri artisti ad essi programmaticamente vicini, ma si intavolavano anche interessanti riflessioni estetiche sulle “nuove tendenze espressive delle avanguardie”.
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Si trattava di mostre collettive autogestite, che, in realtà, erano più che altro delle occasioni di incontro tra artisti, critici e studenti d’arte, le quali duravano per l'appunto il tempo di una sera e si svolgevano in un clima festoso da salotto aristocratico ''illuminato''.
  
Esemplificativa a tal proposito è senza dubbio la '''settima mostra''', intitolata "''Das rote Bild''" e tenutasi il '''24 aprile''' del '''1958''': circa quarantacinque artisti (tra cui, oltre agli stessi [[Mack Heinz|Mack]], [[Piene Otto|Piene]] e [[Uecker Günther|Uecker]], comparivano anche nomi quali Bartels, [[Klein Yves|Klein]], Graubner e Mavignier) esposero le loro opere, all’insegna sia della “''pulizia del colore''” – purgato da ogni riferimento informale, gestuale o neo-espressionista – sia della necessità di creare un’'''arte''' risolutamente '''proiettata verso al futuro''' e avulsa da qualsiasi forma di ''pathos'' e/o di espressività individuale.
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All’interno delle ''Abendausstellungen'', che di solito si tenevano presso l’''atelier'' privato di [[Piene Otto|Piene]], non solo venivano esposte opere sia dei tre capiscuola del '''Gruppo''' che di altri artisti ad essi programmaticamente vicini, ma si intavolavano anche interessanti riflessioni estetiche sulle “nuove tendenze espressive delle avanguardie”.
  
Per l’occasione venne pubblicato il primo numero della rivista “'''Zero'''”: in esso si invocava la necessità di abbellire il mondo partendo appunto da zero, dal nulla e lavorando in una sorta di “'''Zero-Zone'''”, ossia di spazio mentale vuoto ed incontaminato, grazie al quale l’artista poteva sentirsi libero di dare sfogo alla propria creatività.
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Paradigmatica dello spirito delle ''Abendausstellungen'' è senza alcun dubbio la '''settima mostra''', intitolata "''Das rote Bild''" (letteralmente: "Il quadro rosso") e tenutasi nell’''atelier'' di [[Piene Otto|Piene]], il '''24 aprile''' del '''1958'''.
  
Da un punto di vista plastico, durante queste mostre serali le discussioni vertevano quasi sempre attorno ad un’unica questione: come poter usare la tela, che è uno strumento eminentemente concreto, per rappresentare fenomeni che invece sono astratti e universali, come il '''movimento''' e lo '''scorrere del tempo'''.
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Durante questa mostra, che vide la partecipazione di circa quarantacinque artisti (tra i quali, oltre agli stessi [[Mack Heinz|Mack]], [[Piene Otto|Piene]] e [[Uecker Gunther|Uecker]], comparivano anche Bartels, [[Klein Yves|Klein]], Graubner e Mavignier), il ''leitmotiv'' unificatore era, da un lato, la “''pulizia del colore''” – i quadri esposti dovevano essere tutti rigorosamente [[Pittura monocroma|monocromi]] (nel caso specifico rossi) e purgati da ogni riferimento informale, gestuale o neo-espressionista – e, dall'altro, la necessità di creare un’'''arte''' risolutamente '''proiettata verso il futuro''' e avulsa da qualsiasi forma di ''pathos'' e/o di espressività individuale.
  
A ben guardare, però, la soluzione del problema era gia insita nella domanda stessa o, meglio, nel diverso significato dato alla parola tela da questi artisti. Per loro la '''tela''' non è più una ''tabula rasa'' sulla quale l’artista, inteso come individualità soggettiva, imprime se stesso e la propria ''Weltanschauung'', ma il '''luogo artistico della sperimentazione'''.
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Per l’occasione venne pubblicato il primo numero della rivista “'''Zero'''”: in esso si invocava la '''necessità di abbellire il mondo partendo''' appunto '''da zero'''  e lavorando in una sorta di “'''Zero-Zone'''”, ossia di spazio mentale vuoto ed incontaminato, grazie al quale l’artista poteva sentirsi libero di dare sfogo alla propria creatività.
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Da un punto di vista plastico, durante queste esposizioni serali le discussioni vertevano quasi sempre attorno ad un’unica questione: '''come poter usare la tela''', che è uno strumento eminentemente concreto e particolare, '''per rappresentare''' fenomeni che invece sono astratti e universali, come '''il movimento e lo scorrere del tempo'''.
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A ben guardare, la soluzione del problema era insita nella domanda stessa o, meglio, nel '''diverso significato dato alla parola tela''' da questi artisti. Per loro la tela '''non''' era '''più''' la ''' ''tabula rasa'' ''' sulla quale l’artista, inteso come individualità soggettiva, imprime se stesso e la propria ''Weltanschauung'', '''ma''' il '''luogo artistico della sperimentazione'''.
  
 
Attraverso le ''Abendausstellungen'', dunque, il '''Gruppo''' entrò in contatto, fin dagli esordi, con molte delle personalità emergenti in quel periodo sulla scena artistica europea, soprattutto di cittadinanza milanese e parigina, grazie alle quali riuscì a maturare nuove idee e a trovare nuove ispirazioni.
 
Attraverso le ''Abendausstellungen'', dunque, il '''Gruppo''' entrò in contatto, fin dagli esordi, con molte delle personalità emergenti in quel periodo sulla scena artistica europea, soprattutto di cittadinanza milanese e parigina, grazie alle quali riuscì a maturare nuove idee e a trovare nuove ispirazioni.
  
Gli stimoli più interessanti provennero soprattutto da [[Fontana Lucio|Lucio Fontana]] (per la formulazione del suo concetto di spazio che urtava contro la tradizionale bidimensionalità del quadro e che lo aveva portato all'uso di buchi, tagli, pietre e crateri nelle sue opere, ma anche per il suo sagace sperimentalismo energetico); [[Manzoni Piero|Piero Manzoni]] (per l’intelligenza critica, l’impiego spregiudicato dei materiali e la capacità di ricavarne proprietà ottiche); [[Tinguely Jean|Jean Tinguely]] (per il suo vivace sperimentalismo cinetico-visuale, grazie al quale, usando un sofisticato equipaggiamento tecnico, riuscì a fissare la rappresentazione artistica del movimento); [[Klein Yves|Yves Klein]] (per la sua nozione di “''percezione pura del colore''” e per la perfetta immaterialità delle sue architetture d’aria e delle sue tele monocromatiche).
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Gli stimoli più interessanti provennero soprattutto da [[Fontana Lucio|Lucio Fontana]] (per la formulazione del suo concetto di spazio che urtava contro la tradizionale bidimensionalità del quadro e che lo aveva portato all'uso di buchi, tagli, pietre e crateri nelle sue opere); [[Manzoni Piero|Piero Manzoni]] (per l’intelligenza critica, l’impiego spregiudicato dei materiali e la capacità di ricavarne proprietà ottiche); [[Tinguely Jean|Jean Tinguely]] (per il suo vivace sperimentalismo cinetico-visuale, grazie al quale, usando un sofisticato equipaggiamento tecnico, riuscì a fissare la rappresentazione artistica del movimento); [[Klein Yves|Yves Klein]] (per la sua nozione di “''percezione pura del colore''” e per la perfetta immaterialità delle sue architetture d’aria e delle sue tele monocromatiche).
  
 
Inoltre, sempre grazie a queste mostre, il '''Gruppo''' ottenne pure l’appoggio di altri artisti di fama internazionale, i quali, pur non essendo mai appartenuti ''de facto'' al gruppo stesso, tuttavia vi gravitarono intorno, condividendone a pieno l’impostazione di base.
 
Inoltre, sempre grazie a queste mostre, il '''Gruppo''' ottenne pure l’appoggio di altri artisti di fama internazionale, i quali, pur non essendo mai appartenuti ''de facto'' al gruppo stesso, tuttavia vi gravitarono intorno, condividendone a pieno l’impostazione di base.
  
È questo il caso di [[Munari Bruno|Bruno Munari]], [[Calder Alexander|Alexander Calder]], Pol Bury, Jean Le Parc, Sol LeWitt, Joseph Kosuth e, più in generale, degli esponenti del [[Grav]] (ossia il Groupe de recherche d’art visual, sorto a Parigi nel 1960).
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È questo il caso di [[Munari Bruno|Bruno Munari]], [[Calder Alexander|Alexander Calder]], Pol Bury, Jean Le Parc, Sol LeWitt, Joseph Kosuth e, più in generale, degli esponenti del [[Grav]] di '''Parigi''', quelli del [[Gruppo T]] di '''Milano''', quelli del [[Gruppo N]] di '''Padova''' e così via.
  
In questo senso, possiamo dire che il '''Gruppo Zero''', per tutta la sua durata, fu una vera e propria '''rete internazionale''' di artisti, all’interno della quale, più che le idee di [[Piene Otto|Piene]], [[Mack Heinz|Mack]] e [[Uecker Günther|Uecker]], che pure avevano fondato il movimento, furono quelle di [[Manzoni Piero|Manzoni]] e di [[Klein Yves|Klein]], fautori di un nuovo idealismo e convinti sostenitori della capacità dell’uomo di produrre verità spirituali, a giocare un ruolo sostanziale.
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In questo senso, possiamo dire che il '''Gruppo Zero''', per tutta la sua durata, fu una vera e propria '''rete internazionale''' di artisti, all’interno della quale, più che le idee di [[Piene Otto|Piene]], [[Mack Heinz|Mack]] e [[Uecker Gunther|Uecker]], che pure avevano fondato il movimento, furono quelle di [[Manzoni Piero|Manzoni]] e di [[Klein Yves|Klein]], fautori di un '''nuovo idealismo''' e convinti sostenitori della capacità dell’uomo di produrre verità spirituali, a giocare un ruolo sostanziale.
  
 
Fu così che, spronato da più parti, il '''Gruppo''', a partire già dai primi '''Anni Sessanta''', cominciò a configurarsi come una '''comunità di azione''' e ad imporsi in maniera sempre più marcata all’interno e all’esterno della Germania, portando avanti l’idea che l’arte, quella vera, quella che “''ricomincia da zero''”, non ha né limiti espressivi (essendo volta alla '''sperimentazione continua''') né confini geografici (essendo '''apolide''' e '''cosmopolita''').
 
Fu così che, spronato da più parti, il '''Gruppo''', a partire già dai primi '''Anni Sessanta''', cominciò a configurarsi come una '''comunità di azione''' e ad imporsi in maniera sempre più marcata all’interno e all’esterno della Germania, portando avanti l’idea che l’arte, quella vera, quella che “''ricomincia da zero''”, non ha né limiti espressivi (essendo volta alla '''sperimentazione continua''') né confini geografici (essendo '''apolide''' e '''cosmopolita''').
  
A consolidare l’anima cosmopolita del movimento, tuttavia, oltre alle ''Abendausstellungen'', fu anche il fatto che, sin dai primi anni, gli esponenti del '''Gruppo''' parteciparono a svariate mostre collettive, la prima delle quali fu quelle intitolata “''Motion in Vision – Vision in Motio''” e che si tenne ad '''Anversa''' nel '''1959'''.
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A consolidare l’'''anima internazionale''' del movimento, tuttavia, oltre alle ''Abendausstellungen'', fu anche il fatto che, sin dai primi anni, gli esponenti del '''Gruppo''' parteciparono a svariate mostre collettive, la prima delle quali fu quella intitolata “''Motion in Vision – Vision in Motion''” e che si tenne ad '''Anversa''' nel '''1959'''.
  
Seguirono poi l’esposizione “''Monochrome Malerei''” di Leverkusen del 1960, l’esposizione “''Bewogen-Beweging''” di Amsterdam del 1961 e la storica mostra di [[Nova Tendencija]], organizzata a '''Zagabria''', sempre nel '''1961''', da Mestroviæ, presso il Museo d’Arte Contemporanea.
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Seguirono poi l'esposizione al ''Documenta'' di Kassel del 1959;
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l’esposizione “''Monochrome Malerei''” di Leverkusen del 1960; l’esposizione “''Bewogen-Beweging''” di Amsterdam del 1961 e la storica mostra di [[Nova Tendencija]], organizzata a '''Zagabria''', sempre nel '''1961''', da '''Matko Mestroviæ''', presso il Museo d’Arte Contemporanea; l'esposizione al ''Documenta 3'' del 1964; etc...
  
Ma è senz'altro alla ''Galerie Diogenes'' di '''Berlino''' del '''1963''' che si celebrò il momento culminante della vita del movimento.
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Ma è senz'altro alla ''Galerie Diogenes'' di '''Berlino''', nel '''1963''', che si celebrò il momento culminante della vita del movimento: da quell'esposizione in poi, infatti, il '''Gruppo Zero''' divenne un '''punto di riferimento artistico internazionale'''.
  
Dopo la morte di [[Klein Yves|Yves Klein]] (1962) e di [[Manzoni Piero|Piero Manzoni]] (1963), la guida del '''Gruppo''' tornò nelle mani di [[Piene Otto|Piene]], [[Mack Heinz|Mack]] e [[Uecker Günther|Uecker]], i quali iniziarono ad associarsi anche con artisti e gruppi dalla diversa fisionomia programmatica: è il caso di Enrico Castellani, Gotthard Graubner, Daniel Spoerri, François Morellet, Almir Mavignier, Jesus Rafael Soto, Paul Bury, Arnulf Rainer, etc…
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Dopo la morte di [[Klein Yves|Yves Klein]] (1962) e di [[Manzoni Piero|Piero Manzoni]] (1963), la guida del '''Gruppo''' tornò nelle mani di [[Piene Otto|Piene]], [[Mack Heinz|Mack]] e [[Uecker Gunther|Uecker]], i quali iniziarono ad associarsi anche con artisti e gruppi dalla fisionomia programmatica non sempre omogenea e in linea con la poetica di '''Zero''': è il caso di [[Castellani Enrico|Enrico Castellani]], Gotthard Graubner, Daniel Spoerri, François Morellet, Almir Mavignier, Jesus Rafael Soto, Paul Bury, Arnulf Rainer, etc…
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Spostandosi di mostra in mostra, come una sorta di circo ambulante con palloncini e donne vestite di nero, il '''Gruppo''' si sciolse definitivamnete nel '''1966''', dopo un''''ultima''' imortante '''mostra''' al ''Kunstmuseum'' di '''Bonn'''.
  
Spostandosi di mostra in mostra, come una sorta di circo nomade con palloncini e donne vestite di nero, il '''Gruppo''' si sciolse definitivamnete nel '''1966''', dopo un''''ultima''' imortante '''mostra''' al ''Kunstmuseum'' di '''Bonn'''.
 
  
 
==Poetica==
 
==Poetica==
  
[[Image: Rivista_Zero.jpg|left|frame|'''Rivista ufficiale del Gruppo Zero fondata nel 1958 - In copertina: Günther Uecker ''Dancer'', 1964''']] Fra i movimenti artistici che sorgono in Europa all’indomani della Seconda Guerra Mondiale il '''Gruppo Zero''', nonostante non abbia mai redatto un vero e proprio manifesto, è quello che presenta la fisionomia teorica meglio delineata, ancorché enigmatica: infatti, più che da una metodologia collettiva, gli artisti del gruppo sembravano animati da una '''tensione filosofica zen''', in quanto avevano fatto del '''silenzio''', della '''luce''' e del '''movimento''' il proprio ''focus'' tematico.
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===Zero come zen. L'apoteosi del silenzio, della luce e del movimento===
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[[Image: Rivista_Zero.jpg|left|frame|'''Rivista ufficiale del Gruppo Zero fondata nel 1958 - In copertina: Günther Uecker ''Dancer'', 1964''']]  
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Fra i diversi movimenti artistici che sono sorti in Europa all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, il '''Gruppo Zero''', nonostante non abbia mai redatto un vero e proprio manifesto, è quello che presenta la fisionomia teorica meglio delineata, ancorché enigmatica: infatti, più che da una metodologia collettiva, gli artisti del '''Gruppo''' sembravano animati da una '''tensione filosofica zen''', in quanto avevano fatto del '''silenzio''', della '''luce''' e del '''movimento''' il proprio ''focus'' tematico.
  
Essi avevano una visione-del-mondo di dimensione utopica: consideravano l’immaginazione il luogo dove le antinomie si sciolgono e guardavano ai fenomeni della realtà sensibile come a delle rappresentazioni artistiche naturali.
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Essi avevano una '''visione-del-mondo''' di dimensione '''utopica''': consideravano l’immaginazione il luogo dove le antinomie si sciolgono e guardavano ai fenomeni della realtà sensibile come a delle rappresentazioni artistiche naturali.
  
In tale contesto i concetti dominanti erano la '''luminosità''' ed il '''silenzio''', cosicché le '''opere d’arte''' altro non erano che '''rappresentazioni della luce e del movimento''' (reale o illusorio/virtuale che fosse), i quali venivano ri-letti all’interno di una '''visione cosmica dell’universo'''.
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In tale contesto i concetti dominanti erano la '''luminosità''', la '''dinamicità''' ed il '''silenzio''', cosicché le '''opere d’arte''' altro non erano che '''rappresentazioni della luce e del movimento''' (reale o illusorio/virtuale che fosse), talvolta ritmicamente accompagnate da apposite melodie sonore, aventi lo scopo non certo di rompere il silenzio, ma di sottolinearlo.
  
Già a partire dal nome («Gruppe Null» in tedesco), questa idea di '''vuoto pieno'''” era già ampiamente presente: lo zero, infatti, essendo quella cifra neutra e neutrale che divide i numeri positivi da quelli negativi, rappresenta l’equilibrio, l’armonia, la simmetria, il silenzio, la sintesi degli opposti. Esso traccia quella zona d’esistenza intermedia che, pur essendo vivente e vitale, non è comunque soggetta ai vincoli di concretezza e materialità dell’esistenza stessa.
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La volontà artistica del '''Gruppo''' di realizzare concretamente, attraverso le varie opere, l'ideale espressivo del "'''vuoto pieno'''”, era facilmente intuibile già a partire dal nome: lo zero, infatti, essendo quella cifra neutra e neutrale che divide i numeri positivi da quelli negativi, rappresenta l’equilibrio, l’armonia, la simmetria, il silenzio, la sintesi degli opposti. Esso traccia quella zona d’esistenza intermedia che, pur essendo vivente e vitale, non è comunque soggetta ai vincoli di concretezza e materialità dell’esistenza stessa.
 
 
Ecco allora che '''Zero''' deve essere inteso nella più larga espressione “ripartire da zero”, “fare ''tabula rasa''”, cancellare qualcosa che non serve, per costruire invece qualcosa che serve, cosicchè, se la parola "zero" può equivalere alla parola "nulla", può anche essere sinonimo di libertà: libertà dalle convenzioni, libertà di progettare, libertà di creare. Libertà.
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Ecco allora che la parola "zero", riferita a questo gruppo, deve essere inteso nella più larga espressione “ripartire da zero”, “fare ''tabula rasa''”, cancellare qualcosa che non serve, per costruire qualcosa che invece serve.
  
Ma può volere dire anche molte altre cose come ci dice [[Piene Otto|Piene]] stesso in un suo scritto del '63: «Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Il sole è Zero. Zero è bianco. Il deserto è Zero. Il cielo sotto lo Zero: la notte. Zero è il fiume che scorre. Zero è l’occhio. L’ombelico. La bocca. Il buco del culo. Il latte. Il fiore. L’uccello. Silenzioso. Plananate. Io mangio Zero, io bevo Zero, io veglio Zero, io amo Zero. Zero è bello. Movimento, movimento, movimento. Gli alberi in primavera, la neve, il fuoco, l’acqua, il mare. Rosso, arancione, giallo, verde, indaco, blu, viola, Zero. Arcobaleno. 4 3 2 1 Zero. Oro e argento, rumore e vapore. Circo nomade. Zero. Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Zero è Zero» ([[Piene Otto|Otto Piene]], ''Der Neue Idealismus'', 1963).
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In questo senso, se, da una parte, "zero" può equivalere alla parola "nulla", dall'altra può anche essere sinonimo di libertà. Dalle convenzioni. Dai vincoli. Dalla tradizione.
  
La '''carica mistica''', ed in un certo qual modo utopica, degli artisti riuniti attorno a questo movimento, così come la loro chiara '''aspirazione a voler rifondare le teorie e le pratiche artistiche partendo da zero''', è ben evidente anche in quest'altra dichiarazione di [[Piene Otto|Otto Piene]], contenuta nella rivista omonima del '''Gruppo''': «un quadro è una specie di zuffa in cui l’uomo immediatamente si immischia. Pratichiamo i quadri come gli amici o i vicini, li amiamo come compagni dell'intimità e confidiamo loro le esperienze felici e dolorose. Pure il quadro più grande, più ampio, più esteso, ci costringe 'al gomito a gomito', ci riporta alla breve distanza. Il quadro corrisponde al tipo d'uomo che ha un luogo, una dimora, e non al tipo del viandante che percorre grandi spazi sconosciuti. Che resta dell'arte, della capacità figurativa dell'uomo, se guardiamo il mondo da sopra? Le piramidi e il duomo di Colonia e tutti i grattacieli d'America sono innocue alghe nel mare della caducità, se ci allontaniamo ancora un po'. I loro secoli si riducono ad un battere di ciglia se appena pensiamo che devono durare in eterno. Non è il batter d'occhio il momento più grande, in cui l'uomo è la vastità stessa, crea da solo il proprio spazio, il batter d'occhio con cui si intuisce l'eternità? L'uomo, che utilizza il proprio spirito e adegua lo spirito per conservare il proprio corpo, l'uomo, che fa esperienza di un batter d'occhio senza tempo, di una realtà paradisiaca, di misurare cioè completamente lo spazio libero, quest'uomo ha il paradiso in sé. Segue con lo sguardo i raggi di luce che da se stesso produce. I raggi abbracciano l'uomo e l'universo, la luce lo attraversa ed egli cammina nella luce».
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Ma può voler anche dire molte altre cose, come ci suggerisce lo stesso [[Piene Otto|Piene]] in uno scritto del '63: «Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Il sole è Zero. Zero è bianco. Il deserto è Zero. Il cielo sotto lo Zero: la notte. Zero è il fiume che scorre. Zero è l’occhio. L’ombelico. La bocca. Il buco del culo. Il latte. Il fiore. L’uccello. Silenzioso. Plananate. Io mangio Zero, io bevo Zero, io veglio Zero, io amo Zero. Zero è bello. Movimento, movimento, movimento. Gli alberi in primavera, la neve, il fuoco, l’acqua, il mare. Rosso, arancione, giallo, verde, indaco, blu, viola, Zero. Arcobaleno. 4 3 2 1 Zero. Oro e argento, rumore e vapore. Circo nomade. Zero. Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Zero è Zero» ([[Piene Otto|Otto Piene]], ''Der Neue Idealismus'', 1963).
  
Da un punto di vista artistico, la '''volontà di azzerare le esperienze artistiche del passato''' si tradusse concretamente in un allontanamento sempre più marcato dal "quadro" e dalla "scultura" tradizionali e in una tenace tendenza alla “'''pittura monocroma''', cioè una pittura predominata da un unico colore (di solito il bianco, anche in omaggio al ''Manifesto bianco'' scritto da [[Fontana Lucio|Lucio Fontana]] nel ).
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Tale '''carica mistica''', così come l''''aspirazione a voler rifondare le teorie e le pratiche artistiche partendo dal nulla''', è ben evidente anche in quello che possiamo considerare l' 'atto di fondazione' del '''Gruppo''', rilasciato da [[Piene Otto|Otto Piene]] e [[Mack Heinz|Heinz Mack]] sul primo numero della rivista "'''Zero'''": «un quadro è una specie di zuffa in cui l’uomo immediatamente si immischia. Pratichiamo i quadri come gli amici o i vicini, li amiamo come compagni dell'intimità e confidiamo loro le esperienze felici e dolorose. Pure il quadro più grande, più ampio, più esteso, ci costringe 'al gomito a gomito', ci riporta alla breve distanza. Il quadro corrisponde al tipo d'uomo che ha un luogo, una dimora, e non al tipo del viandante che percorre grandi spazi sconosciuti. Che resta dell'arte, della capacità figurativa dell'uomo, se guardiamo il mondo da sopra? Le piramidi e il duomo di Colonia e tutti i grattacieli d'America sono innocue alghe nel mare della caducità, se ci allontaniamo ancora un po'. I loro secoli si riducono ad un battere di ciglia se appena pensiamo che devono durare in eterno. Non è il batter d'occhio il momento più grande, in cui l'uomo è la vastità stessa, crea da solo il proprio spazio, il batter d'occhio con cui si intuisce l'eternità? L'uomo, che utilizza il proprio spirito e adegua lo spirito per conservare il proprio corpo, l'uomo, che fa esperienza di un batter d'occhio senza tempo, di una realtà paradisiaca, di misurare cioè completamente lo spazio libero, quest'uomo ha il paradiso in sé. Segue con lo sguardo i raggi di luce che da se stesso produce. I raggi abbracciano l'uomo e l'universo, la luce lo attraversa ed egli cammina nella luce».
  
Questa tendenza al ''monocromatismo'' fu incarnata soprattutto da [[Mack Heinz|Heinz Mack]] e [[Klein Yves|Yves Klein]]: [[Mack Heinz|Mack]], infatti, oltre che un [[Neoconcretismo|neoconcretista]], era anche un '''pittore monocromo''' e lo stesso poteva dirsi per [[Klein Yves|Klein]], il quale, anzi, a partire dal '''1957''', anno in cui inventò il famoso "'''pigmento IKB'''" (''Internationla Klein Blue''), venne ri-battezzato "''Yves le Monochrome''".
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Da un punto di vista artistico, la '''volontà di azzerare le esperienze artistiche del passato''' si tradusse concretamente in un '''allontanamento sempre più marcato dal "quadro" e dalla "scultura" tradizionali e in una tenace tendenza alla [[pittura monocroma]], cioè una pittura predominata da un unico colore (di solito il bianco)'''.
  
Secondo l'impostazione teorica del '''Gruppo''', insomma, '''al posto dei classici colori a olio di matrice astratto-informale''', '''l’artista-Zero doveva usare un unico colore, cercando di renderlo il più ricco e ''variopinto'' possibile facendo ricorso ai nuovi mezzi espressivi offerti dal progresso scientifico e tecnologico''', ovverosia la plastica, la luce elettrica, i motori, gli specchi, il ghiaccio, il vapore, etc., '''perché solo con questi strumenti era possibile ''colorare'' lo spazio e creare assemblaggi dalle variegate proprietà modulanti'''.
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Questa tendenza alla [[pittura monocroma|monocromia]] fu incarnata soprattutto da [[Mack Heinz|Heinz Mack]] e [[Klein Yves|Yves Klein]]: [[Mack Heinz|Mack]], infatti, oltre che un [[Neoconcretismo|neoconcretista]], era anche un [[Pittura monocroma|pittore monocromo]] e lo stesso poteva dirsi per [[Klein Yves|Klein]], il quale, addirittura, a partire dal '''1957''', anno in cui inventò il famoso "'''pigmento IKB'''" (''Internationla Klein Blue''), venne ri-battezzato "''Yves le Monochrome''".
  
In effetti, per ottenere tali risultati di vivacità e dinamicità, gli artisti di '''Zero''' adoperarono diverse soluzioni: si servirono di '''elementi strutturali organizzati in modo sequenziale''' (è il caso delle ''trame seriali'' di [[Piene Otto|Otto Piene]] o delle superfici ritmicamente cosparse di chiodi di [[Uecker Günther|Günther Uecker]] ); si servirono dell''''elemento motorio''', con il risultato di ottenere effetti di luce legati al movimento degli oggetti (è il caso delle ''coreografie luminose'' di [[Piene Otto|Otto Piene]] e dei ''giochi di luce dinamici'' di [[Mack Heinz|Heinz Mack]] ); si servirono di '''sorgenti luminose''' e di '''effetti luminosi di riflessione''' (è il caso delle superfici in alluminio di [[Mack Heinz|Heinz Mack]], dei ''dischi di luce'' di [[Uecker Günther|Günther Uecker]] e delle ''strutture riflettenti'' di [[Luther Adolf|Adolf Luther]] ).
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Secondo l'impostazione teorica del '''Gruppo''', insomma, '''al posto dei classici colori a olio di matrice astratto-informale''', '''l’artista-Zero doveva usare un unico colore, cercando di renderlo il più ricco e ''variopinto'' possibile, facendo ricorso ai nuovi mezzi espressivi offerti dal progresso scientifico e tecnologico''', ovverosia la plastica, la luce elettrica, i motori, gli specchi, il ghiaccio, il vapore, etc., '''perché solo con questi strumenti era possibile ''colorare'' lo spazio e creare assemblaggi dalle variegate proprietà modulanti'''.
  
Il '''Gruppo''', tuttavia, più che ai fenomeni ottici, s’interessò in modo particolare alla '''variabilità/mutabilità/dinamicità dell’oggetto''' e agli '''effetti della partecipazione dello spettatore sull’opera d’arte''', arrivando così a coniare la nozione del tutto ''sconvolgente'' di “'''arte allargata'''”.
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In effetti, per ottenere tali risultati di vivacità e dinamicità, gli artisti di '''Zero''' adoperarono diverse soluzioni: si servirono di '''elementi strutturali organizzati in modo sequenziale''' (è il caso delle ''ripetizioni sequenziali'' di [[Piene Otto|Otto Piene]] o delle ''superfici ritmicamente cosparse di chiodi'' di [[Uecker Gunther|Günther Uecker]] ); si servirono dell''''elemento motorio''', con il risultato di ottenere effetti di luce legati al movimento degli oggetti (è il caso delle ''coreografie luminose'' di [[Piene Otto|Otto Piene]] e dei ''giochi di luce dinamici'' di [[Mack Heinz|Heinz Mack]] ); si servirono di '''sorgenti luminose''' e di '''effetti luminosi di riflessione''' (è il caso delle ''superfici in alluminio'' di [[Mack Heinz|Heinz Mack]], dei ''dischi di luce'' di [[Uecker Gunther|Günther Uecker]] e delle ''strutture riflettenti'' di [[Luther Adolf|Adolf Luther]] ).
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Il '''Gruppo''', tuttavia, più che ai fenomeni ottici, s’interessò in modo particolare alla '''variabilità/mutabilità/dinamicità dell’oggetto''' e alle '''conseguenze della partecipazione dello spettatore all’opera d’arte''', arrivando così a coniare la nozione di “'''arte allargata'''”.
  
 
"'''Arte allargata'''" significava che l’artista, nella sua produzione, doveva riconsiderare completamente lo spazio artistico, facendovi intervenire, da un lato, lo '''spettatore''', in quanto '''attore protagonista''', e, dall’altro, il '''senso del moto''', come '''elemento artistico innovativo''', dotato di infinite potenzialità espressive e tutto da scoprire e sperimentare.
 
"'''Arte allargata'''" significava che l’artista, nella sua produzione, doveva riconsiderare completamente lo spazio artistico, facendovi intervenire, da un lato, lo '''spettatore''', in quanto '''attore protagonista''', e, dall’altro, il '''senso del moto''', come '''elemento artistico innovativo''', dotato di infinite potenzialità espressive e tutto da scoprire e sperimentare.
  
Dopotutto, l’idea-progetto di [[Uecker Günther|Uecker]], [[Mack Heinz|Mack]] e [[Piene Otto|Piene]] era proprio quella di una '''sperimentazione artistica su base dinamico-gestaltica''': gli artisti del '''Gruppo''', infatti, attraverso espliciti agganci al '''post-costruttivismo geometrico''' di [[Bill Max|Max Bill]], attraverso l’interesse di [[Piene Otto|Piene]] per la ''sky art'', attraverso la tendenza alla '''pittura monocroma''' di [[Mack Heinz|Mack]] e [[Klein Yves|Klein]], attraverso le '''ricerche dinamiche''' di [[Uecker Günther|Uecker]], attraverso il [[Neoconcretismo]] di [[Mack Heinz|Mack]] e attraverso gli spunti tratti dal manifesto “''Nulla contro nulla''” di [[Manzoni Piero|Manzoni]] e Castellani, si erano dati come obiettivo quello di '''realizzare un’arte che si sviluppasse attorno ai due concetti di scienza e di tecnologia'''.
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Dopotutto, l’idea-progetto di [[Uecker Gunther|Uecker]], [[Mack Heinz|Mack]] e [[Piene Otto|Piene]] era proprio quella di una '''sperimentazione artistica su base dinamico-gestaltica''': gli artisti del '''Gruppo''', infatti, attraverso espliciti agganci al '''post-costruttivismo geometrico''' di [[Bill Max|Max Bill]], attraverso l’interesse di [[Piene Otto|Piene]] per la ''' ''sky art'' ''', attraverso la tendenza alla '''pittura monocroma''' di [[Mack Heinz|Mack]] e [[Klein Yves|Klein]], attraverso le '''ricerche dinamiche''' di [[Uecker Gunther|Uecker]], attraverso il [[Neoconcretismo]] di [[Mack Heinz|Mack]] e attraverso gli spunti tratti dal manifesto “''Nulla contro nulla''” di [[Manzoni Piero|Manzoni]] e [[Castellani Enrico|Castellani]], si erano dati come obiettivo quello di '''realizzare un’arte che si sviluppasse attorno ai due concetti-base di scienza e di tecnologia'''.
  
Un’arte, insomma, che non avesse paura di '''sperimentare nuovi materiali e nuovi metodi di creazione delle immagini''', ma che, invece, riuscisse a '''rompere con il passato e la tradizione''', canacellando l'idea classica di quadro e introducendo una forma d'arte innovativa, fondata non più sui colori classici della pittura, ma sugli elementi del mondo naturale, usati in alternanza a a quelli del mondo industriale.
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Un’arte, insomma, che non avesse paura di '''sperimentare nuovi materiali e nuovi metodi di creazione delle immagini''', ma che, invece, riuscisse a '''rompere con il passato e la tradizione''', canacellando l'idea classica di quadro e introducendo '''una forma d'arte innovativa, fondata non più sui colori classici della pittura nè solo sugli elementi del mondo naturale, ma anche sui prodotti industriali, usati in concomitanza con la tecnologia'''.
  
Insomma, puntando sui valori essenziali della '''percezione''', il '''Gruppo''', nel suo essere sia uno spazio di sperimentazione che un modello ispiratore per molte tendenze artistiche di quegli anni (come ad esempio il [[Gruppo T]] ed il '''Gruppo N''' in Italia), si orientò verso gli '''aspetti strutturali''' più propriamente '''psicologici''' e '''gestalistici''' dell’arte: “quegli elementi della formatività che costituiscono il dipinto come struttura dinamica” e in grado di coinvolgere lo spettatore in una collaborazione attiva. Per esempio ottenendo effetti visivi diversi con lo spostamento del punto di osservazione oppure impiegando quella che [[Dorfles Gillo|Gillo Dorfles]] ha definito per l'appunto un’“'''ambiguità gestaltica'''”, cioè una '''deformazione apparente dell’immagine ottenuta sfruttando alcune illusioni ottiche''' (come fa Piene in alcuni suoi lavori su metallo, dove applica l’effetto di rifrazione della luce).
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Insomma, puntando sui valori essenziali della '''percezione''', il '''Gruppo''', nel suo essere sia uno spazio di sperimentazione che un modello ispiratore per molte tendenze artistiche di quegli anni (come ad esempio il [[Grav]] in Francia o il [[Gruppo T]] ed il [[Gruppo N]] in Italia), si orientò verso gli '''aspetti strutturali''' più propriamente '''psicologici''' e '''gestalistici''' dell’arte: “quegli elementi della formatività che costituiscono il dipinto come struttura dinamica” e in grado di coinvolgere lo spettatore in una collaborazione attiva. Per esempio ottenendo effetti visivi diversi con lo spostamento del punto di osservazione, oppure impiegando quella che [[Dorfles Gillo|Gillo Dorfles]] ha definito per l'appunto un’“'''ambiguità gestaltica'''”, cioè una '''deformazione apparente dell’immagine ottenuta sfruttando alcune illusioni ottiche''' (un po' come fa [[Piene Otto|Piene]] in alcuni suoi lavori su metallo, dove applica l’effetto di rifrazione della luce).
  
 
In questo senso, allora, il '''Gruppo Zero''' rappresenta il filo rosso in grado di legare insieme '''passato''', '''presente''' e '''futuro''', perché, ancor più marcatamente di altri gruppi, può essere a buon diritto considerato sia come il '''prosecutore dello spirito artistico delle avanguardie storiche''', sia come il '''modello ispiratore di molti movimenti artistici internazionali di quello stesso periodo''', sia, infine, come il '''lungimirante precursore dell’arte oggi contemporanea'''.
 
In questo senso, allora, il '''Gruppo Zero''' rappresenta il filo rosso in grado di legare insieme '''passato''', '''presente''' e '''futuro''', perché, ancor più marcatamente di altri gruppi, può essere a buon diritto considerato sia come il '''prosecutore dello spirito artistico delle avanguardie storiche''', sia come il '''modello ispiratore di molti movimenti artistici internazionali di quello stesso periodo''', sia, infine, come il '''lungimirante precursore dell’arte oggi contemporanea'''.
  
Infatti, da un lato, sembra raccogliere a piene mani l’eredità del [[Dada|Dadaismo]] e del [[Futurismo]], perché, al suo interno, '''la composizione tradizionale sparisce per far spazio ad avveniristiche installazioni dallo straordinario impatto visivo''', '''fatte di tubi di plexiglas''', '''alluminio o acciaio collegati insieme con motori meccanici''', '''dischi rotanti e lampade al neon'''.
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Infatti, da un lato, sembra raccogliere a piene mani l’eredità del [[Dada|Dadaismo]] e del [[Futurismo]], perché, al suo interno, '''la composizione tradizionale sparisce per far spazio ad avveniristiche installazioni dallo straordinario impatto visivo''', '''fatte di tubi di plexiglas''', '''alluminio o acciaio, collegati insieme con motori meccanici''', '''dischi rotanti e lampade al neon'''.
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Da un altro lato, nel suo essere prima di tutto uno '''spazio di sperimentazione''', questo gruppo sembra costituire un reale '''punto di riferimento per molti artisti che operavano proprio in quegli anni''', tanto è vero che, sulla sua scia, sorsero: a '''Padova''' nel '''1959''' il [[Gruppo N]] (Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi); a '''Milano''' nel '''1960''' il [[Gruppo T]] (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi)  e nel '''1964''' il [[Mid]] (Antonio Barrese, Alfonso Grassi, Gianfranco Laminarca, Alberto Marangoni); a '''Roma''', fra il '''1962''' e il '''1967''', il [[Gruppo Uno]] Uno (Gastone Biggi, Nicola Carrino, Nato Frascà, Giuseppe Uncini), il [[Gruppo 63]] (Lucia Di Luciano, Lia Drei, Francesco Guerrieri, Giovanni Pizzo),  l’[[Operativo R]] e il [[Binomio Sperimentale P]]; a '''Genova''' il [[Tempo 3]]; a '''Parigi''' nel '''1959''' l'[[Équipe 57]] (Juan Cuence, Angel Duart, Josè Duarte, Augustin Ibarrola, Juan Serrano) e, nel '''1960''', il [[Grav]] (Hugo Demarco, Garcia Miranda, Horacio Garcia Rossi, Julio Le Parc, Francois Molnar, Francois Morellet, Moyano, Servanes, Francisco Sobrino, Joel Stein, Yvaral); in '''Olanda''' il [[Grupp Null]] (Armando, Jan Henderikse, Henk Peeters, Jan Schoonhoven); negli '''Stati Uniti''' l’[[Anonima Group]] (Ernst Benkert, Francis Hewitt, Edwin Meisz Koviskij); in '''Unione Sovietica''' il [[Gruppo Dvijzenije]] (A. Beniaminova, Galina Bitt, V. Buturlin, Wladimir Grabenko, Francisco Infante, Sergej Icko, Klave Nedelko, Lev Nusberg, Natalia Prokuratova); in '''Giappone''' il [[Gutai]](Yoshihara, Murakami, Yamazaki, Tanaka, Shiraga, Motonaga...).
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Da un altro lato ancora, infine, inseguendo come '''obiettivo estetico e poetico''' proprio la '''ricerca di una nuova tecnologia legata al movimento, alla luce e alla dimensione ludica della sperimentazione''', il '''Gruppo Zero''' è stato il primo nucleo artistico che '''ha anticipato''' l’[[Espressionismo astratto]], la [[Pop art]], l’[[Op art]], il [[Minimalismo]], il [[Neoespressionismo]], etc, '''perché per primo ha dato vita a delle installazioni ''en plein air'', cioè delle installazioni mobili e volanti, centrate sul dinamismo circolare, sulla purezza del colore bianco e sulle infinite variazioni della luce e del silenzio, accolti come elementi espressivi universali, in grado di realizzare l'ideale artistico del “vuoto pieno”'''.
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===Intervista a Heinz Mach===     
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[[Image:Mack.gif|left]]
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'''Intervista di Stephan von Wiese tenutasi a Mönchengladbach nel 2004 e tratta dall'opuscolo della mostra "Zero 1958-1968. Tra Germania e Italia" (Palazzo delle Papesse, Siena, 29 maggio-19 settembre 2004)'''
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'''Quali erano alla fine degli anni Cinquanta i punti di contatto essenziali tra la tua arte e la scena sperimentale italiana, soprattutto milanese? Era un dare e avere? Come lo hai recepito?'''
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Un dare e avere. Anche se mi rifiuto
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di pensare che esistano parametri in
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grado di misurarli.
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Lucio Fontana aveva certamente una
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posizione di spicco come artista della
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generazione precedente.
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'''È così?''' Si, era così! Si dice continuamente che noi vedevamo in Fontana la figura di un padre, ma non è vero. Per come ho inteso
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io Fontana, per lui era evidente che noi
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stessimo facendo qualcosa di prossimo
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al suo tipo di lavoro, con effetti straordinariamente
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stimolanti e di conferma:
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si sentiva isolato quando lo conobbi a
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Milano, alla fine degli anni Cinquanta.
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Aveva la superiorità di un gentiluomo,
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non voleva ammettere di trovarsi isolato,
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ma di fatto era così. Questo valeva
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anche per Manzoni e Castellani, e ancor
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di più per Lo Savio. Lo Savio era un uomo
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completamente isolato e mi ha abbracciato,
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nel senso: finalmente qualcuno
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che mi crede! Fontana invece mi ha
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dato una spinta straordinaria: mi ha
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procurato una tale carica di adrenalina
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il fatto che un uomo come Fontana, che
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io avevo sempre ammirato, mi degnasse
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di attenzione.
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Un rapido esempio: entrando per
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la prima volta nell’atelier di Fontana
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scoprivo alla parete una piccola opera,
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un rilievo in metallo, di Heinz Mack.
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L’avevo esposta da Iris Clert a Parigi nel
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1958 e fu l’unico esemplare a esser venduto
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in quell’occasione. Dunque l’aveva
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comprato Fontana. Quindi significava
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qualcosa per lui, e anche per me ha
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significato tanto che lui apprezzasse il
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mio lavoro.
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'''Chi organizzò allora il tuo primo incontro con Fontana?''' Fu Nanda Vigo, che a quel tempo era la fidanzata di Manzoni, a portarmi per
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la prima volta nell’atelier di Fontana.
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Prima Manzoni gli telefonò. Fontana
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tenne poi il discorso di presentazione
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quando feci la mostra da Azimut a
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Milano. Successivamente rievocò per
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me quei pensieri basilari in un testo.
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Evidentemente si trattava di un discorso
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molto impegnativo - e questo davanti
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ad una telecamera poiché la televisione
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era presente. Allora trovavamo che fosse
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sensazionale [...].
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'''Che cosa ti interessava in particolare delle nuove posizioni in campo artistico che si trovavano sotto lo stesso tetto di Azimut, una galleria d’arte?''' Talvolta mi sono difeso da Manzoni, più per una sensazione, perché molte cose nella rappresentazione di sé mi
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sembravano troppo dadaiste. Voleva
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regalarmi una lattina con i suoi escrementi,
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per cui gli dissi: grazie tante. E
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questo lo irritò molto. Castellani era
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invece molto tranquillo: apprezzai fin
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dall’inizio il suo lavoro. I rilievi bianchi
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hanno la funzione di riflettere la luce.
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Vidi subito anche la vicinanza diretta
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con Fontana: cosa si può fare con una
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tela bianca se non dipingerci sopra?
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Questo Castellani lo ha fatto, a modo
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suo chiaramente: lo ha dimostrato
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anche Manzoni, tagliando la
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tela a pezzi e poi rincollandoli insieme
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e altre cose simili. Se si parlava di Yves
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Klein, Manzoni replicava: “Io non sono
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affatto per la monocromia, sono per
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l’a-cromia”. L’aspetto di Castellani
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era scarno, ascetico, Manzoni era corpulento,
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vivace. Entrambi da Azimut
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collaboravano in modo molto stretto,
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ma erano programmaticamente in
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contrasto, come Don Chiscotte e Sancho
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Panza. Nanda Vigo era invece una bella
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donna, molto sensuale, dell’alta aristocrazia
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italiana. Si è assai interessata ai
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miei esperimenti artistici con onde di
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vetro, più precisamente Edelitglass, portandoli
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avanti a modo suo, ma facendo
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tutto in maniera molto più coerente,
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essendo di formazione architetto. E
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c’era Dadamaino, che fece della produzione
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seriale la sua bandiera.
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In Italia feci quindi l’esperienza - che
 +
avevo già fatto in Francia, in Belgio,
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in Olanda - di come in luoghi diversi
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d’Europa accadessero contemporaneamente
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cose spiritualmente affini, come
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un pozzo artesiano in un luogo inatteso:
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qualcosa viene improvvisamente alla
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luce e si manifesta, qualcosa che è già
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avvenuto nella mia cerchia più stretta,
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e viceversa. Questo fenomeno era molto
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incoraggiante per tutti gli artisti che
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partecipavano.
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===Intervista a Günther Uecker===
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[[Image:Uecker.jpg|left]]
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'''Intervista di Stephan von Wiese e Sylvia Martin, tenutasi a Düsseldorf nel 2004 e tratta dall'opuscolo della mostra "Zero 1958-1968. Tra Germania e Italia" (Palazzo delle Papesse, Siena, 29 maggio-19 settembre 2004)'''
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'''Il tuo primo incontro con l’Italia si può considerare un’esperienza formativa?''' Quando ero un giovane studente d’arte ho fatto un viaggio in bicicletta con un amico da Düsseldorf a Genova.
 +
Passando per Parigi e Lione siamo andati
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prima a Marsiglia per visitare l’Unité
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d’Habitation di Le Corbusier, l’edificio
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sociale su piedi d’elefante, come allora
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veniva chiamato. Andammo poi la sera
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sui monti che Cézanne aveva dipinto,
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con quelle pareti calcaree, e quella luce
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meravigliosamente risplendente che
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brillava anche di notte. Là abbiamo
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deciso di proseguire per l’Italia. Temevo
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l’Italia per paura di ricevere l’impronta
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dell’esempio latino. Avevo un’educazione
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semplice, ma tra i miei compagni
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notavo che era ancora molto forte
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la suggestione di stampo borghese
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modellata sul romanticismo tedesco.
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Così, col cuore che batteva e la paura di
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essere condizionato, ho guardato dalla
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bicicletta tra Milano e Genova le straordinarie
 +
espressioni dell’architettura
 +
e della pittura italiane. Questo succedeva
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nel 1955, durante il primo periodo
 +
all’Accademia di Düsseldorf. Io venivo
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dalla DDR e volevo vedere le palme,
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perciò mi sono diretto subito verso il
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Mediterraneo.
 +
 
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'''La classicità dell’Italia non veniva trasmessa nella DDR?''' Sì, certamente, per merito di Guttuso. Guttuso era un grande esempio. Soprattutto i suoi cani famelici mi hanno molto impressionato. Allora li
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trovavo ancora molto stimolanti in confronto
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alle opere di Picasso, che ci servivano
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anche per le dimostrazioni pacifiste
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come ‘piani di lavoro’ per dipingere
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grandi manifesti, per esempio quello
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della colomba.
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'''Non rimanesti però all’esempio di Guttuso''' Più tardi a Nizza, tramite Arman, ho conosciuto Yves Klein. In seguito alla mostra di Klein da Schmela,a Düsseldorf, sono stato affascinato dal fatto che dopo Matisse qualcuno
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potesse raggiungere ancora una simile
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coerenza. Queste erano nuove visioni. A
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Nizza, nel sud della Francia, mi sembrò
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allora che dominasse un clima del tutto
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diverso rispetto a quello italiano, anche
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per la presenza di molti combattenti
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della Resistenza che vi abitavano e che
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durante l’occupazione hitleriana si
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erano potuti nascondere nelle caverne.
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Ho conosciuto la situazione in Italia
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più tardi, attraverso gli artisti che
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andavo a trovare o che mi facevano
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visita. Manzoni venne a Düsseldorf nel
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mio atelier, ho conosciuto Fontana in
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occasione di varie mostre e leggevo i
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suoi manifesti. Questo nel 1959-1960,
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quando sono stato invitato anche da
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Castellani e Manzoni a esporre a Milano.
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Tramite Jef Verheyen ad Anversa ho
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finalmente aperto gli occhi sulle relazioni
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tra la cultura fiamminga e quella
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italiana, tra la pittura a olio e l’affresco.
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Rapporti, comunque, controversi che
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mi permettevano di scoprire - al di
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fuori della rappresentazione romantica
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tedesca - l’Italia a modo mio, attraverso
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ambasciatori come Manzoni, Castellani
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e Fontana (anche Capogrossi naturalmente)
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e, soprattutto, tramite amicizie
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successive con Calderara, Dorazio, Vigo,
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Dadamaino.
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'''Hai letto Marinetti?''' Sì, ho letto tutto: già ai tempi della DDR si esaminavano le tappe che avevano preparato il fascismo e Marinetti veniva interpretato (partendo dalle
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nostre radicali posizioni di sinistra)
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in questo senso. Il fascismo aveva un
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significato orientato italianamente,
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senza il razzismo del nazionalsocialismo
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tedesco.
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'''E come percepivi le posizioni artistiche di Fontana e Manzoni sullo sfondo della storia recente, particolarmente pesante in Germania?'''
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Così: noi siamo, noi viviamo e ci costruiamo le basi della nostra esistenza. Semplicemente, ground zero, anche nella sua accezione negativa di spazio aperto, negato. In un’azione davanti alla Galleria Schmela ho cercato una volta di rappresentare il ground zero come base per una nuova generazione che non aveva niente in comune con gli assassini e le idee di pulizia di un
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nuovo ordine mondiale del nazionalsocialismo. Quella era una preoccupazione
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incoraggiata soprattutto da Fontana e
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Yves Klein: arrivare a esprimere i fondamenti
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per un essere nel presente, nella
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pratica pittorica.
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==Opere==
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I ''Raster Bilder'' ('' '''Trame seriali''' '')  e i ''Lichtballette'' ('' '''Balletti di luce''' '') di [[Piene Otto|Piene]], i ''Lichtdynamo'' ('' '''Luci dinamiche''' '') di [[Mack Heinz|Mack]], le '' '''sculture-mobili''' '' e i ''Lichtscheiben'' ('' '''Dischi di luce''' '') di [[Uecker Gunther|Uecker]], i ''Lichtraum'' ('' '''Spazi di luce''' '') dei tre artisti insieme, accanto ai '' '''Concetti Spaziali''' '' di [[Fontana Lucio|Fontana]], alle ''Anthropométrie'' ('' '''Antropometrie''' '') e ai ''Monochromes'' ('' '''Monocromi''' '') di [[Klein Yves|Klein]], agli '' '''Achromes''' '' di [[Manzoni Piero|Manzoni]] e alle ''Methamatiques'' ('' '''Metamatiche''' '') di [[Tinguely Jean|Tinguely]], rappresentano le opere-chiave attraverso le quali è possibile comprendere l’immaterialità e l’espansione del movimento nello spazio proprie del '''Gruppo Zero'''.
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===Otto Piene===
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[[Image:Frequenz_Piene.jpg|right|frame|'''Otto Piene: ''Frequenz'', 1957 - Olio su placca di alluminio punteggiata (40,5 x 30,5 cm) - Kunstmuseen, Krefeld''']]
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I primi lavori di [[Piene Otto|Piene]] all'interno del '''Gruppo Zero''' furono i ''Raster Bilder'', le così dette ''' ''Trame seriali'' ''', cioè delle '''opere elaborate a partire da dei rilievi monocromatici, di solito di colore chiaro, che, catturando la luce naturale e giocando sui diversi effetti di riflessione o rifrazione luminosa, sono in grado di dare dinamicità all’intera superficie dell’opera'''.
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Con il trascorrere del tempo, [[Piene Otto|Piene]], sempre più attratto dalla ''' ''sky art'' ''', iniziò progressivamente a ridurre la presenza dei materiali concreti (come i colori ad olio, il vetro, l’alluminio, etc…), per dare maggior spazio, nelle proprie opere, alla luce e alla sua dinamicità (naturale o indotta che fosse), dando vita a delle '''installazioni mobili ed evanescenti, create giocando su proiezioni e movimenti di punti luminosi, ralizzati attraverso speciali apparecchi, a cui venivano di solito abbinate anche sensazioni acustiche e tattili, oltre che visive'''.
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È il caso per esempio dei ''Lichtballette'' o '' '''Balletti di luce'' ''' e dei ''Lichtraum'' o '' '''Spazi di luce'' ''' (il cui nome ricorda molto da vicino i ''' ''Concetti spaziali'' ''' di [[Fontana Lucio|Lucio Fontana]]): '''installazioni in cui una sala intera, immersa nell’oscurità, viene animata da una luce in movimento, accompagnata, come nel caso dei ''Lichtballet'', da un leggero sottofondo musicale, ritmicamente sincronizzato con la coreografia luminosa'''.
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[[Image:Spazi_di_luce_Piene.gif|left|frame|'''Otto Piene: ''Lichtraum'' (''Spazi di luce''), 1962 - Ambiente composto da più elementi variabili - Palazzo delle Papesse, Siena, 2004''']]  [[Piene Otto|Piene]], in realtà, nel periodo tra il '''1959''' ed il '''1966''', sviluppò ben tre diverse forme di '' '''Balletti di luce''' ''.
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1 - Una forma “''' ''Arcaica'' '''” ('''1959'''), '''basata su fari elettrici schermati da scatole di cartone perforato e capaci di proiettare, sul muro prospiciente, ombre e figure luminose dal differente disegno'''.
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2 - Una forma “''' ''Meccanica'' '''” ('''1960'''), '''basata sulla cooperazione dello spettatore, il quale doveva mettere in moto il gioco di luci attivando una serie di manovelle e meccanismi, attraverso i quali poteva anche regolare e direzionare il flusso luminoso''' ([[Piene Otto|Piene]] creò queste installazioni proprio per manifestare l'intento del '''Gruppo Zero''' di coinvolgere gli spettatori nell'atto creativo: «per me gli elementi da usare nella composizione artistica non sono solo quelli greci classici, come il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra, ma gli elementi umani di azione, reazione e partecipazione […]. Per quanto riguarda la più diretta partecipazione dell’individuo-spettatore, ho anche un altro progetto in mente, che tende a portare chi è normalmente pubblico ad un ruolo vero e proprio di protagonista […]. Lo spettatore entrerà in una specie di labirinto, composto da una sessantina di celle di grandezza diversa e controllate da un cervello elettronico. Il «soggetto» sarà lo spettatore stesso, anzi, la sua struttura psichica»).
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3 - Ed infine una forma “''' ''Automatica'' '''” ('''1962'''), '''basata su dinamo elettriche autoalimentate'''.
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[[Image: Arcaici_balletti_Piene.jpg|center|frame|'''Otto Piene: ''Archaisch Lichtballette'', 1959 - Riflettori coperti con mascherine di cartone traforato che proiettano immagini di luce sulla parete - Galerie Schmela, Düsseldorf, 1959''']]
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[[Image:Balletti_Piene.jpg|left|frame|'''Otto Piene: ''Mechanisch Lichtballette'', 1961 - Proiettore di luce con doppio oblò, munito di motore regolabile, per creare disegni luminosi sulla perete - Zeppelin Museum, Friedrichshafen, 2004''']][[Image:Balletti_Piene_II.jpg|right|frame|'''Otto Piene: ''Elektrisch Rose'' (''Rosa elettrica''), 1965 - Sfera di alluminio traforata e contenente una lampadina alimentata elettricamente - Wise Gallery, New York''']]
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[[Piene Otto|Piene]], inoltre, pose l’accento sulla relatività del concetto spazio-temporale e sulla dinamicità dell'esistente, non solo giocando con la luce e con le ombre, ma anche realizzando '''sculture aeree in plastica gonfiata, collocate in spazi aperti''' e ispirate ai ricordi della giovinezza: ai tempi della guerra, quando il cielo della Germania (e del mondo intero) era attraversato soltanto da aerei militari e bombe...
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A tal proposito, nel '''1960''', [[Piene Otto|Piene]] cercò la collaborazione di [[Manzoni Piero|Piero Manzoni]], anch'egi attratto dai lavori artistici ''en-plein-air'' (basti pensare, per esempio, al famoso ''' ''Corpo d'aria'' ''') per riuscire a realizzare il ''' ''Placentarium'' ''': '''architetture d'aria per i suoi balletti luminosi'''.
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Il''' ''Placentarium'' ''' consisteva, in pratica, in un '''pallone aereostatico di circa 18 metri di diametro''', '''bianco internamente e ricoperto, esteriormente, di plastica argentata''', '''cosicchè i raggi solari fossero al tempo stesso riflessi''' (per creare strani effetti-luce abbaglianti) '''e schermati''' (per proteggere l'opera d'arte da eventuali usure o sbiadimenti).
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[[Image:Hot_Air_Balloons_1969_Piene.jpg|center|frame|'''Otto Piene: ''Palloni ad aria calda'', 1969 - Museo d'Arte Moderna e Contemporanea, Tokyo, 2000''']]
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===Heinz Mack===
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[[Image:Licht_Dynamo_I_Mack.jpg|left|frame|'''Heinz Mack: ''Lichtdynamo'', 1960 - Piattaforma di vetro colorata e incorniciata, mossa da motore elettrico e supportata su struttura metallica - Kaiser-Wilhelm-Museum und Kunstmuseum Krefeld, Bonn, 2006''']]
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Influenzato dal lavoro di [[Klein Yves|Yves Klein]], nelle sue opere prodotte durante il periodo di '''Zero''', [[Mack Heinz|Mack]] '''tentò di coniugare l’espressività dinamica della materia in movimento con quella intangibile della luce riflessa''', realizzando delle '''opere lumino-cinetiche''' dal forte impatto visivo.
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Se in un primo tempo, per le sue creazioni, usò soprattutto strumenti tradizionali, come la tela ed i colori ad olio (scelta che però realizzò in modo innovativo, ossia seguendo il modello pittorico della [[Pittura monocroma|monocromia]], creando in tal modo quadri o tutti in bianco o tutti in nero), nel corso del suo cammino artistico si diresse sempre più verso supporti di altro tipo, come l’alluminio ondulato e le superfici translucide.
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Identificative del lavoro di [[Mack Heinz|Mack]] all’interno del '''Gruppo Zero''', infatti, sono proprio quelle che possiamo considerare delle '''installazioni mobili a base tecnologica''': le ''Lichtdynamo'', ovverosia le ''' ''Luci dinamiche'' ''' (altrimenti dette ''' ''Strutture dinamiche'' ''').
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[[Image:Flugelstele_Mack_1964_plexiglas_alluminio.jpg|right|frame|'''Heinz Mack: ''Flügelstele'' (''Stelo ruotante''), 1964 - Stelo di plexiglas con cerchi in alluminio (300 x 40 x 10 cm) mossi da dinamo elettrica, il tutto su supporto in plastica (2 x 41,5 x 50 cm) - Collezione Heinz Mack, Mönchengladbach, 1997''']]
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Queste opere sono in realtà degli '''assemblaggi costituiti da cerchi di alluminio battuto mossi da motori elettrici e immersi dentro ambienti di vetro o plexiglas trasparente uniformemente modulato'''.
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In esse,'''i vari materiali, riflettendosi reciprocamente, aumentano nello spettatore il senso generale del movimento'''.
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Per meglio capire il ''modus operandi'' artistico adottato da questo artista, può essere interessante leggere quanto scrive '''Carl Jung''' a proposito dell’”energia circolare”: «Movimento è solo un altro nome per governo". Dal punto di vista psicologico questa circolazione consisterebbe in un ‘girare in cerchio attorno a se stessi’, così da coinvolgere tutti i lati della propria personalità. I poli della luce e dell’oscurità si pongono in movimento circolare’, nasce cioè l’alternanza di giorno e notte. ‘Luminosità paradisiaca si alterna a orrida notte profonda’. Il movimento circolare ha quindi anche il significato morale di animazione di tutte le forze chiare e oscure dell’umana natura, e di conseguenza di tutti gli opposti psicologici, di qualsiasi natura possano essere. Questo non significa altro che, autoconoscenza mediante un’incubazione di sé stessi» ('''C.G Jung, ''Commento europeo'', in ''Il segreto del fiore d’oro. Un libro di vita cinese'', 1929''').
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===Günther Uecker===
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[[Image:Uecker_al_lavoro_coi_chiodi.jpg|left|frame|'''Günther Uecker a lavoro con i suoi famigerati chiodi''']] Le ''' ''sculture-mobili'' ''' di [[Uecker Gunther| Uecker]] rappresentano una tappa fondamentale dell’'''Arte-Zero''', in quanto assai vicine al modello poetico dell’[[Arte cinetica]] e dell’[[Op art]], essendo essenzialmente '''giocate sugli effetti di riflessione e rifrazione dinamica della luce naturale'''.
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[[Uecker Gunther|Uecker]], nel realizzarle, utilizzò per lo più '''materiali grezzi, semplici e concreti''', come ad esempio i '''chiodi''', di solito '''dipinti di bianco e fissati su placche iridescenti di metallo, in modo da formare successioni sequenziali di disegni e coreografie ondulatorie'''.
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In effetti, possiamo dire che '''l’uso dei chiodi è stato ciò che ha maggiormente contraddistinto [[Uecker Gunther|Günther Uecker]] come artista e come scultore''', non solo all’interno del '''Gruppo Zero''', ma anche al di fuori di esso, con riferimento soprattutto alla sua produzione artistica attuale.
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Questo '''processo di alternanza seriale di superfici lisce e superfici chiodate''' (processo che in qualche può essere accostato all’esperienza delle ''' ''Trame seriali'' ''' di [[Piene Otto|Piene]]) '''viene''' infatti '''ripetuto''' da [[Uecker Gunther|Uecker]] '''in infinite variazioni'''.
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[[Image:Tv_auf_Tisch_Uecker.jpg|right|frame|'''Günther Uecker: ''TV auf Tisch'' (''TV su tavolo''), 1963 - Chiodi confitti su televisore incollato su tavolino di legno (120 x dia 100 cm) - Skulpturenmuseum, Glaskasten Marl''']] Il ''Pfeilbild'' (''' ''Dardi nel quadro'' ''') del '''1960''', per esempio, che rappresenta il momento-chiave della sua produzione artistica, consiste in una '''serie di frecce ritmicamente conficcate su un pannello ricoperto da una tela bianca''': in quest’opera, '''gli effetti di luce e ombra provocano in chi li guarda l’illusione di un movimento reale, tanto che spesso lo spettatore ne rimane spiazzato'''.
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Lo stesso può dirsi per l’altra '' '''scultura-mobile''' '' di [[Uecker Gunther|Uecker]] intitolata ''TV auf Tisch'' ('' '''Tv su tavolo''' '') e realizzata nel '''1963''': '''in essa torna inossidabile il motivo dei chiodi, piantati su metà lato del televisore, tanto che tutta la dinamicità gestaltica dell’opera pare centrata proprio sulla loro presenza'''.
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Emblematici della '''potenza cinetico-visuale''' di questo artista sono però anche i ''Funf Lichtscheiben'' (''' ''Cinque dischi di luce'' '''): '''attraverso questi cerchi di alluminio di grandezza crescente, contenuti in rettangoli di plestiglas posti l’uno a fianco dell’altro, [[Uecker Gunther|Uecker]] punta a creare nello spettatore un luminescente effetto di riflessioni ottiche contarstanti'''.
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==Correlazioni==
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[[Arte cinetica]] o [[Arte programmata|Programmata]], [[Arte visuale]], [[Arte gestaltica]], [[Neocostruttivismo]], [[Nouveau Realisme]], [[Nova Tendencija]], [[Op art]], [[Fluxus]].
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Queste espressioni, che si possono riferire a fenomeni per molti aspetti sovrapponibili, trovano senso e giustificazione, all’interno del '''Gruppo Zero''', in quanto mettono in luce aspetti diversi di una medesima tendenza artistica: '''l’importanza della sperimentazione tecnologica in campo ottico e dinamico'''.
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Come giustamente hanno fatto notare '''Pansera''' e '''Vitta''': «con il termine [[Arte cinetica]] si intese sottolineare, fin dall'inizio, il tema del movimento dell'opera, così come con quello [[Arte programmata]], secondo una definizione che [[Dorfles Gillo|Dorfles]] attribuisce a [[Munari Bruno|Bruno Munari]] e che venne usata per la prima volta nel 1962 come titolo di una mostra patrocinata dalla Olivetti di Milano. Con [[Arte visuale]] si pose invece l'accento sulla visualità strutturata in una dimensione sperimentale. Con [[Arte gestaltica]] - un termine usato verso il 1963 sopratutto da Argan - ci si riferì alle modalità della fruizione dell'oggetto artistico da parte dell'osservatore, basandosi sopratutto sugli studi di Rudolph Arnheim (''Arte e percezione visiva'', 1954) e di Wolfgang Koehler (''La psicologia della Gestalt'', 1947). Si coniò anche l'etichetta di [[Neocostruttivismo]], per esaltare l'aspetto progettuale dell'opera, al fine di superare i tradizionali confini della figurazione e riproporre l'unità delle arti; e nel 1961, nell'ambito delle manifestazioni organizzate dal Museo d'Arte Contemporanea di Zagabria dal critico serbo Mestrovic (con varie ripetizioni anche in altre città fino al 1973), si diffuse il nome di Nouvelle Tendence [ [[Nova Tendencija]] ]».
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[...]
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«Il termine [[Op art|Optical Art]] (Arte ottica) [contratto più sbrigativamente in Op art] si riferisce invece ad un’articolata tendenza artistica interessata ai fenomeni percettivo-cinetici e presentata in contrapposizione alla [[Pop art]]. Fu la rassegna "''The Responsive Eye''", organizzata presso il Museum of Modern art di New York da William Seitz, a portarla alla ribalta, grazie agli artisti provenienti da ogni parte del mondo, dai francesi Vasarely e Morellet all'inglese Riley, dagli italiani del [[Gruppo N]] ai tedeschi Gersterner e [[Mack Heinz|Mack]], all'israeliano Agam agli americani Louis, Stella, Noland e, naturalmente, Albers. La [[Op art]] si proponeva di far confluire, assieme al fattore ottico-percettivo, le esperienze cinetiche e visuali sulla base di una razionalità programmata ma allo stesso tempo connesse a quegli elementi di casualità e di imprevidibilità che le correnti irrazionali del dopoguerra pongono al centro delle loro ricerche».
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Col termine [[Fluxus]], infine, si indicava un movimento artistico riconducibile alla corrente neodadaista e affermatosi negli Stati Uniti e in Europa a partire dai primi Anni Sessanta, in base al quale l’arte doveva essere intesa come un insieme di processi di trasformazione del reale. Coerentemente con questo assunto, il movimento propose molteplici forme di espressione artistica, dalla musica alle arti figurative, dall’installazione alla Video Art, dalla performance alla letteratura, spesso operando contaminazioni e incroci. Non è un caso, del resto, che esso nasca proprio all’interno dei corsi di composizione musicale sperimentale tenuti da John Cage al Black Mountain College (North Carolina) nel 1957: furono suoi allievi, infatti, gli artisti della prima generazione, tra cui George Maciunas, George Brecht, Al Hansen, Nam June Paik, Charlotte Moorman. Mentre la prima manifestazione ufficiale si tenne soltanto nel 1962, presso il Museo civico di Wiesbaden in Germania.
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Ma correlati al '''Gruppo Zero''' ci sono anche tutti gli altri movimenti che sorsero nel mondo a cavallo tra il Cinquanta e il Sessanta: [[Gruppo N]]; [[Gruppo T]]; [[Mid]]; [[Gruppo Uno]]; [[Gruppo 63]]; [[Operativo R]]; [[Binomio Sperimentale P]]; [[Tempo 3]]; [[Équipe 57]]; [[Grav]]; [[Grupp Null]]; [[Anonima Group]]; [[Gruppo Dvijzenije]]; [[Gutai]]; etc…
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==Bibliografia==
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Crispolti E., ''Ricerche dopo l’Informale'', Officina, Roma 1968;
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Dorfles G., ''Il divenire delle arti'', Einaudi, Torino, 1967;
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Dorfles G., Vettese A., ''Arti Visive. Il Novecento. Protagonisti e movimenti'', Atlas, Bergamo 2003;
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Dorfles G., Vettese A., ''Arti Visive. Il Novecento. Percorsi tematici'', Atlas, Bergamo, 2003;
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Pansera A., Vitta M., ''Guida all'arte contemporanea'', Marietti, Casale Monferrato, 1986
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Vergine L., ''L’ultima avanguardia. Arte programmata e cinetica 1953/1963 – Catalogo della mostra'', Mazzotta, Milano, 1984
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==Webliografia==
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http://www.heinz-mack.de/ausstellungen-zero1961.html
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http://www.heinz-mack.de/ausstellungen-zero1971.html
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http://www.heinz-mack.de/ausstellungen-zero1981.html
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http://www.heinz-mack.de/ausstellungen-zero1991.html
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http://www.heinz-mack.de/ausstellungen-zero2001.html
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http://www.mam-st-etienne.fr/data/archive_presse/communique-presse-expo-ZERO.pdf.
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http://www.mam-st-etienne.fr/inter.php?rubrique=30&exposition_id=7
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http://www-texte.culture.fr/Groups/musees/article_89_fr
  
Da un altro lato, nel suo essere prima di tutto uno '''spazio di sperimentazione''', questo gruppo sembra aver costituito un reale '''punto di riferimento per molti artisti che operavano proprio in quegli anni''', tanto è vero che, sulla sua scia, sorsero:
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http://www.undo.net/Pressrelease/pdf/focus29.PDF
a '''Padova''' nel '''1959''' il [[Gruppo N]] ([[Biasi Alberto|Alberto Biasi]], [[Chiggio Ennio|Ennio Chiggio]], [[Costa toni|Toni Costa]], [[Landi Edoardo|Edoardo Landi]], [[Massironi Manfredo|Manfredo Massironi]]);
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a '''Milano''' nel '''1960''' il [[Gruppo T]] ([[Anceschi Giovanni|Giovanni Anceschi]], [[Boriani Davide|Davide Boriani]], [[Colombo Gianni|Gianni Colombo]], [[De Vecchi Gabriele|Gabriele De Vecchi]]) e nel '''1964''' il [[Mid]] ([[Barrese Antonio|Antonio Barrese]], [[Grassi Alfonso|Alfonso Grassi]], [[Laminarca Gianfranco|Gianfranco Laminarca]], [[Marangoni Alberto|Alberto Marangoni]]); a '''Roma''', fra il '''1962''' e il '''1967''', il [[Gruppo Uno]] ([[Biggi Gastone|Gastone Biggi]], [[Carrino Nicola|Nicola Carrino]], [[Frascà Nato|Nato Frascà]], [[Uncini Giuseppe|Giuseppe Uncini]]), il [[Gruppo 63]] ([[Di Luciano Lucia|Lucia Di Luciano]], [[Drei Lia|Lia Drei]], [[Guerrieri Francesco|Francesco Guerrieri]], [[Pizzo Giovanni|Giovanni Pizzo]]), l’[[Operativo R]] e il [[Binomio Sperimentale P]]; a '''Genova''' il [[Tempo 3]]; a '''Madrid''' nel '''1959''' l'[[Équipe 57]] ([[Cuence Juan|Juan Cuence]], [[Duart Angel|Angel Duart]], [[Duarte Josè|Josè Duarte]], [[Ibarrola Augustin|Augustin Ibarrola]], [Serrano Juan|Juan Serrano]]); a '''Parigi''' nel '''1960''' il [[Grav]] ([[Demarco Hugo|Hugo Demarco]], [[Le Parc Julio|Julio Le Parc]], [[Molnar|Francois|Francois Molnar]], [[Morellet Francois|Francois Morellet]], [[Moyano]], [[Servanes]], [[Sobrino Francisco|Francisco Sobrino]], [[Stein Joel|Joel Stein]], [[Yvaral]], [[Miranda Garcia|Garcia Miranda]], [[Rossi Garcia Horacio|Horacio Garcia Rossi]];
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in '''Olanda''' il [[Grupp Null]] (); negli '''Stati Uniti''' l’[[Anonima Group]] (Ernst Benkert, Francis Hewitt, Edwin Meisz Koviskij); in '''Unione Sovietica''' il [[Gruppo Dvijzenije]] (A. Beniaminova, Galina Bitt, V. Buturlin, Wladimir Grabenko, Francisco Infante, Sergej Icko, Klave Nedelko, Lev Nusberg, Natalia Prokuratova); in '''Giappone''' il [[Gutai]].
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Da un altro lato ancora, infine, inseguendo come '''obiettivo estetico e poetico''' proprio la '''ricerca di una nuova tecnologia legata al movimento e la dimensione ludica della sperimentazione''', il '''Gruppo Zero''' è stato il primo movimento artistico che '''ha anticipato''' l’[[Espressionismo astratto]], la [[Pop art]], l’[[Op art]], il [[Minimalismo]], il [[Neoespressionismo]], etc, '''perché è arrivato ad assemblare''', per la prima volta nella storia dell’arte, '''delle installazioni ''en plein air'', centrate sul dinamismo circolare, sulla purezza del colore bianco''' (il ''Manifesto Bianco'', del resto, fu scritto proprio da [[Fontana Lucio|Fontana]] nel    ) '''e sulle infinite variazioni della luce e del silenzio, accolti come elementi espressivi universali, in grado di creare il mito artistico del “vuoto pieno”'''.
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http://www.zoom42.fr/actu/ACT_detail.asp?strId=6074#

Versione attuale delle 15:55, 12 Nov 2012

Genere o movimento artistico

Arte cinetica o Arte programmata
Heinz Mack - Galerie Schmela, Düsseldorf, 1961


Personaggi o gruppi

Gruppo Zero: Otto Piene, Hienz Mack, Günther Uecker, Yves Klein, Piero Manzoni, Lucio Fontana, Jean Tinguely, Joseph Beuys, Piero Dorazio...


Luogo

Düsseldorf (Germania)


Storia

ZERO 0.jpg

Il panorama internazionale. Parola d'ordine: ricominciare da Zero!

Alla fine degli Anni Cinquanta il mondo dell’arte era ancora diviso tra Realismo e Astrattismo: da un lato le tendenze emozionali ed esistenzialiste dell’Arte informale (una corrente dalle matrici incerte ma implicitamente legata all’eredità del Surrealismo e dell’Impressionismo); dall’altro lato, invece, in posizione nettamente antitetica, il linguaggio mimetico-concretista d’ispirazione sovietica.

Entrambe le soluzioni, pur lasciando molte aspettative insoddisfatte, impedivano il formarsi di nuove correnti antagoniste, perché occupavano saldamente il centro della scena artistica mondiale (o, per lo meno, europea).

In una situazione così, un giovane artista desideroso di tentare nuove strade avrebbe avuto serie difficoltà ad emergere: l’unica possibilità era quella di unirsi in gruppo con altri artisti e cercare l’appoggio di ulteriori gruppi.

È esattamente quanto accadde in Italia, Francia, Spagna, Germania, Olanda, Belgio, Stati Uniti, Unione Sovietica e Giappone, dove, nell’arco di pochi anni, sorsero un gran numero di movimenti (Gruppo N; Gruppo T; Mid; Gruppo Uno; Gruppo 63; Operativo R; Binomio Sperimentale P; Tempo 3; Équipe 57; Grav; Gruppo Zero; Grupp Null; Anonima Group; Gruppo Dvijzenije; Gutai; etc…), tutti contrassegnati da una medesima volontà programmatica: dare vita ad una nuova forma d’arte, capace sia di rendere giustizia alla modernità e alla sua complessa struttura sociale sia di dare nuova visualità agli oggetti e ai fatti del mondo, permettendone una rappresentazione meno concreta e/o informale.

L’intento comune era quello di trovare uno ‘spazio’ comunicativo libero, che permettesse agli artisti di “ricominciare da zero”, di sperimentare nuovi materiali e nuove procedure espressive e di farlo attraverso l’applicazione della scienza e della tecnica, creando veri e propri quadri-oggetto dalle caratteristiche ora vibranti, ora luminescenti, ora riflettenti, ora dinamiche.

Forte era, quindi, la commistione con il Futurismo e il Dadaismo, ma anche con altre e diverse tendenze artistiche, nascenti proprio in quegli anni: il Nouveau Realisme, la Nova Tendencija, l’Arte cinetica o Arte programmata, l’Arte visuale, l’Arte gestaltica, l’Arte immersiva, il Neocostruttivismo, l’Op art, Fluxus, etc…

Si sentiva il bisogno di esplorare nuove possibilità e di ridefinire il ruolo dell’arte (intesa non più come espressività soggettiva dell’Io, ma come scientificità tecnologica e rigorosa), dell’artista (visto, pertanto, come un tecnico di laboratorio destinato a lavorare in équipe) e dello spettatore (che, da mero recettore passivo, diventava finalmente un fondamentale collaboratore attivo e creativo).

In questa prospettiva si tentò di riproporre la lezione delle avanguardie storiche (dalla didattica del Bauhaus alle opere in movimento di Duchamp; dai i progetti di architettura mobile di Tatlin alle sculture animate da luci artificiali di Moholy-Nagy; dal rigore geometrico dotato di sorprendenti effetti volumetrici delle superfici bianche di De Stijl alle piatte campiture in bianco e nero del Mac), rinnovandola attraverso la consapevolezza tutta moderna dell’intrinseco dinamismo spazio-temporale dell’esistenza umana (un tema assai dibattuto in quegli anni).

Da tale fruttuosa ibridazione di passato e presente, derivarono opere sperimentali di grande impatto sociale e preveggentemente orientate al futuro, attraverso le quali si cercava di raggiungere l’obiettivo comune di una riconciliazione fra ragione e natura, fra necessità e casualità, fra artificio e verità. Anzi: quello ancor più ambizioso di arrivare a fondare un’arte universale, a forte valenza didattica, che potesse diffondersi in tutte le classi sociali, promuovendo l'avvento della democrazia (una necessità avvertita con urgenza dopo gli orrori dei totalitarismi europei della prima metà del Novecento).

Tuttavia, proprio a causa della natura essenzialmente utopica di un simile impegno politico e sociale, molti gruppi dovettero presto sciogliersi, soverchiati sia dalla rapida diffusione dell’arte statunitense (soprattutto Espressionismo astratto e Pop art, a cui i vari artisti finirono per cedere, anche se, grazie a questa scelta, riuscirono a trovare nuova vitalità, contribuendo alla nascita delle austere geometrie minimaliste) sia, soprattutto, dall’emergere di personalità sempre più forti ed indipendenti, che mal tolleravano le regole comuni.

In effetti, l’ideale di una collaborazione collettiva che includesse non soltanto l’obbligo della spartizione del merito e dei proventi delle opere (essendo tutte rigorosamente frutto di un lavoro unanime e collegiale), ma anche un programma unico di ri-definizione del rapporto arte-mercato-società (legato all’idea di produrre composizioni seriali a basso costo in modo da far cessare le speculazioni economiche effettuate nelle aste), si era rivelata pressochè impraticabile.

Per cui, dato che questa scelta aveva creato più problemi che vantaggi, venne immediatamente accantonata e ridotta ad una generica “intesa contro il formalismo e l’immobilismo delle teorie precostituite”, che prevedeva una certa libertà di opinioni e di atteggiamenti.

Tale soluzione, però, portò alla progressiva dissoluzione dell'ideale collaborativo che stava alla base della nascita dei gruppi e questo non tanto perché era diventato possibile confrontarsi apertamente sui temi comuni (fatto di per se stesso costruttivo), ma perché molti membri avevano cominciato a pensare che tanto più questo confronto fosse stato polemico e contraddittorio, tanto più sarebbe apparso produttivo e vitale.


Düsseldorf anno Zero

Gruppo Zero - Manifestazione - Galerie Schmela, Düsseldorf, 1964

In un clima di simile fermento culturale, dove forte era l’esigenza non solo di reagire al predominio artistico dell’Astrattismo e del Realismo, ma anche di “ricominciare da zero”, rompendo con la tradizione pittorica e scultorea del passato e annullando il bagaglio delle esperienze artistiche precedenti, si colloca il Gruppo Zero.

Questo movimento venne fondato a Düsseldorf nel 1957 (esattamente a dieci anni di distanza dall’uscita del film di Roberto Rossellini Germania anno zero e del saggio di Edgar Morin L'an zéro de l'Allemagne), ad opera dello scultore Otto Piene e del pittore Heinz Mack, ai quali si unì successivamente anche l’artista visuale Günther Uecker.

E il nome scelto non fu certo un caso, come ci tenne a sottolineare Piene in un articolo del 1964, pubblicato sulla omonima rivista ufficiale del Gruppo, edita a partire proprio dal 24 aprile 1958: «il nome Zero […] è stato il risultato di una ricerca durata parecchi mesi (la mia prima proposta era stata “Chiaro“). Noi [Mack, Piene ed io] abbiamo, sin dall’inizio, inteso Zero come un nome che stesse ad indicare una zona di silenzio piena di nuove possibilità e non come un’espressione di nichilismo dal vago sapore dadaista […]. Zero è la zona incommensurabile dentro la quale una situazione vecchia e stantia si trasforma in una situazione nuova e fresca».

All’origine dell’istituzione del Gruppo, il cui scopo era appunto quello di ricominciare a fare arte "partendo da zero", stava l’idea, figlia delle teorie scientifiche di quegli anni, che l'esperienza sensibile non è né assoluta né immutabile, ma relativa e mutevole (cioè diversa a secondo del punto di vista preso in considerazione) e che, quindi, la percezione è un fenomeno fluido che si svolge nel continuum spazio-temporale della realtà, alla quale veniva pertanto attribuito un significato virtuale di perpetuo mutamento (cfr. Fluxus).

Il Gruppo, quindi, si presentava come un movimento d’avanguardia ispirato al Nouveau Realisme e intenzionato a guidare l’arte mondiale verso una nuova era (cosa che realmente fece per quasi un decennio, ossia fino al 1966, anno del suo definitivo scioglimento), creando sia una nuova concezione artistica che un nuovo linguaggio delle immagini e della forma.

Per le sue caratteristiche esso può essere fatto rientrare nell’ambito dell’arte ottico-cinetica e, di conseguenza, in quello della pura sperimentazione ludica (d'altro canto, il gioco, dopo la tragedia delle due guerre mondiali, era diventato quasi una necessità culturale).

L’Arte visuale e quella Cinetica si proponevano, infatti, come un tentativo giocoso, ma al tempo stesso provvisorio ed incompiuto, di saggiare tutte le possibilità di rappresentazione artistica del movimento, sia reale (ossia prodotto meccanicamente dall’opera d’arte stessa, attraverso dispositivi interni - quali ingranaggi, pistoni, leve - o esterni - quali fonti d’aria e di calore - oppure provocato volontariamente dallo spettatore, azionando specifici comandi) sia illusorio e virtuale (ossia dovuto alle qualità intrinseche dell’opera d’arte - quali volumi, rilievi, grafismi, etc… - o alle qualità estrinseche dell’ambiente circostante - quali giochi di luci, ombre e riflessi - oppure legato alle differenti risposte percettive dello spettatore che variavano al variare della sua posizione nel tempo e nello spazio).

In particolare, l’Arte cinetica, detta anche Programmata (termine coniato dal suo più valido esponente, Bruno Munari, che, nel maggio 1962, insieme a Giorgio Soavi, presentò a Milano, presso un negozio Olivetti, una mostra denominata, appunto, “Arte Programmata”), considerava la scientificità dello sviluppo creativo come l’elemento basilare dell’arte.

Di conseguenza, essa aveva come obiettivo quello di diffondere una forma di espressività che fosse anche e soprattutto un “luogo di ricerca” e uno “spazio di sperimentazione”, all’interno del quale fosse possibile legare insieme soggetto (spettatore) e oggetto (opera d’arte) in un’unica visione-del-mondo, diversamente da quanto accadeva nell’Arte informale, che invece separava nettamente questi due elementi.

L’idea stessa di movimento, del resto, inteso sia in senso reale che illusorio/virtuale, evidenziava il forte protagonismo conscio/inconscio dello spettatore, il quale, per la prima volta nella storia dell’arte, veniva finalmente considerato parte integrante del processo di creazione artistica, sulla scia dell'intuizione fenomenologico-husserliana, in base alla quale non è solo il soggetto a modificare l’oggetto, ma è anche l’oggetto a modificare il soggetto.

Insomma, alla base dell’Arte cinetica e, quindi, del programma del Gruppo Zero, c’era l’idea fondamentale che lo spettatore non subisse passivamente l’opera d’arte, ma ne modificasse attivamente la rappresentazione: non è un caso, del resto, se, a tal proposito, nella sua presentazione alla mostra organizzata nel ‘62 a Milano da Munari, Umberto Eco parlò proprio di “opera aperta”, dicendo che «la forma [è] costituita da una ‘costellazione’ di elementi in modo che l’osservatore possa individuarvi, con una ‘scelta’ interpretativa, vari collegamenti possibili, e quindi varie possibilità di configurazioni diverse; al limite intervenendo di fatto per modificare la posizione reciproca degli elementi».

Ora, se da un lato la rivalutazione dello spettatore come protagonista attivo dell’opera d’arte decretò il successo dell’Arte cinetica in generale e del Gruppo Zero in particolare, dall’altro lato, invece, l’aspetto di sperimentazione giocosa, in quanto legato alla contingenza del momento e alla casualità delle situazioni, finì per penalizzare le aspettative di questi due movimenti, perché, dopo un iniziale consenso, dovuto più alla curiosità che ad un reale apprezzamento delle opere, l’attenzione del pubblico svanì rapidamente.


Arte di sera bel tempo si spera...

Piene, Mack e Uecker - "Zero-Karneval", Düsseldorf, 1964

La genesi storica del Gruppo risale a quando, nel 1957, Piene e Mack, entrambi formatisi alla Staatliche Kunstakademie (Accademia statale delle Belle Arti) di Düsseldorf, dettero vita, con la successiva collaborazione di Uecker, a quelle che essi stessi chiamarono Abendausstellungen (esposizioni di una sera).

Si trattava di mostre collettive autogestite, che, in realtà, erano più che altro delle occasioni di incontro tra artisti, critici e studenti d’arte, le quali duravano per l'appunto il tempo di una sera e si svolgevano in un clima festoso da salotto aristocratico illuminato.

All’interno delle Abendausstellungen, che di solito si tenevano presso l’atelier privato di Piene, non solo venivano esposte opere sia dei tre capiscuola del Gruppo che di altri artisti ad essi programmaticamente vicini, ma si intavolavano anche interessanti riflessioni estetiche sulle “nuove tendenze espressive delle avanguardie”.

Paradigmatica dello spirito delle Abendausstellungen è senza alcun dubbio la settima mostra, intitolata "Das rote Bild" (letteralmente: "Il quadro rosso") e tenutasi nell’atelier di Piene, il 24 aprile del 1958.

Durante questa mostra, che vide la partecipazione di circa quarantacinque artisti (tra i quali, oltre agli stessi Mack, Piene e Uecker, comparivano anche Bartels, Klein, Graubner e Mavignier), il leitmotiv unificatore era, da un lato, la “pulizia del colore” – i quadri esposti dovevano essere tutti rigorosamente monocromi (nel caso specifico rossi) e purgati da ogni riferimento informale, gestuale o neo-espressionista – e, dall'altro, la necessità di creare un’arte risolutamente proiettata verso il futuro e avulsa da qualsiasi forma di pathos e/o di espressività individuale.

Per l’occasione venne pubblicato il primo numero della rivista “Zero”: in esso si invocava la necessità di abbellire il mondo partendo appunto da zero e lavorando in una sorta di “Zero-Zone”, ossia di spazio mentale vuoto ed incontaminato, grazie al quale l’artista poteva sentirsi libero di dare sfogo alla propria creatività.

Da un punto di vista plastico, durante queste esposizioni serali le discussioni vertevano quasi sempre attorno ad un’unica questione: come poter usare la tela, che è uno strumento eminentemente concreto e particolare, per rappresentare fenomeni che invece sono astratti e universali, come il movimento e lo scorrere del tempo.

A ben guardare, la soluzione del problema era insita nella domanda stessa o, meglio, nel diverso significato dato alla parola tela da questi artisti. Per loro la tela non era più la tabula rasa sulla quale l’artista, inteso come individualità soggettiva, imprime se stesso e la propria Weltanschauung, ma il luogo artistico della sperimentazione.

Attraverso le Abendausstellungen, dunque, il Gruppo entrò in contatto, fin dagli esordi, con molte delle personalità emergenti in quel periodo sulla scena artistica europea, soprattutto di cittadinanza milanese e parigina, grazie alle quali riuscì a maturare nuove idee e a trovare nuove ispirazioni.

Gli stimoli più interessanti provennero soprattutto da Lucio Fontana (per la formulazione del suo concetto di spazio che urtava contro la tradizionale bidimensionalità del quadro e che lo aveva portato all'uso di buchi, tagli, pietre e crateri nelle sue opere); Piero Manzoni (per l’intelligenza critica, l’impiego spregiudicato dei materiali e la capacità di ricavarne proprietà ottiche); Jean Tinguely (per il suo vivace sperimentalismo cinetico-visuale, grazie al quale, usando un sofisticato equipaggiamento tecnico, riuscì a fissare la rappresentazione artistica del movimento); Yves Klein (per la sua nozione di “percezione pura del colore” e per la perfetta immaterialità delle sue architetture d’aria e delle sue tele monocromatiche).

Inoltre, sempre grazie a queste mostre, il Gruppo ottenne pure l’appoggio di altri artisti di fama internazionale, i quali, pur non essendo mai appartenuti de facto al gruppo stesso, tuttavia vi gravitarono intorno, condividendone a pieno l’impostazione di base.

È questo il caso di Bruno Munari, Alexander Calder, Pol Bury, Jean Le Parc, Sol LeWitt, Joseph Kosuth e, più in generale, degli esponenti del Grav di Parigi, quelli del Gruppo T di Milano, quelli del Gruppo N di Padova e così via.

In questo senso, possiamo dire che il Gruppo Zero, per tutta la sua durata, fu una vera e propria rete internazionale di artisti, all’interno della quale, più che le idee di Piene, Mack e Uecker, che pure avevano fondato il movimento, furono quelle di Manzoni e di Klein, fautori di un nuovo idealismo e convinti sostenitori della capacità dell’uomo di produrre verità spirituali, a giocare un ruolo sostanziale.

Fu così che, spronato da più parti, il Gruppo, a partire già dai primi Anni Sessanta, cominciò a configurarsi come una comunità di azione e ad imporsi in maniera sempre più marcata all’interno e all’esterno della Germania, portando avanti l’idea che l’arte, quella vera, quella che “ricomincia da zero”, non ha né limiti espressivi (essendo volta alla sperimentazione continua) né confini geografici (essendo apolide e cosmopolita).

A consolidare l’anima internazionale del movimento, tuttavia, oltre alle Abendausstellungen, fu anche il fatto che, sin dai primi anni, gli esponenti del Gruppo parteciparono a svariate mostre collettive, la prima delle quali fu quella intitolata “Motion in Vision – Vision in Motion” e che si tenne ad Anversa nel 1959.

Seguirono poi l'esposizione al Documenta di Kassel del 1959; l’esposizione “Monochrome Malerei” di Leverkusen del 1960; l’esposizione “Bewogen-Beweging” di Amsterdam del 1961 e la storica mostra di Nova Tendencija, organizzata a Zagabria, sempre nel 1961, da Matko Mestroviæ, presso il Museo d’Arte Contemporanea; l'esposizione al Documenta 3 del 1964; etc...

Ma è senz'altro alla Galerie Diogenes di Berlino, nel 1963, che si celebrò il momento culminante della vita del movimento: da quell'esposizione in poi, infatti, il Gruppo Zero divenne un punto di riferimento artistico internazionale.

Dopo la morte di Yves Klein (1962) e di Piero Manzoni (1963), la guida del Gruppo tornò nelle mani di Piene, Mack e Uecker, i quali iniziarono ad associarsi anche con artisti e gruppi dalla fisionomia programmatica non sempre omogenea e in linea con la poetica di Zero: è il caso di Enrico Castellani, Gotthard Graubner, Daniel Spoerri, François Morellet, Almir Mavignier, Jesus Rafael Soto, Paul Bury, Arnulf Rainer, etc…

Spostandosi di mostra in mostra, come una sorta di circo ambulante con palloncini e donne vestite di nero, il Gruppo si sciolse definitivamnete nel 1966, dopo un'ultima imortante mostra al Kunstmuseum di Bonn.


Poetica

Zero come zen. L'apoteosi del silenzio, della luce e del movimento

Rivista ufficiale del Gruppo Zero fondata nel 1958 - In copertina: Günther Uecker Dancer, 1964

Fra i diversi movimenti artistici che sono sorti in Europa all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, il Gruppo Zero, nonostante non abbia mai redatto un vero e proprio manifesto, è quello che presenta la fisionomia teorica meglio delineata, ancorché enigmatica: infatti, più che da una metodologia collettiva, gli artisti del Gruppo sembravano animati da una tensione filosofica zen, in quanto avevano fatto del silenzio, della luce e del movimento il proprio focus tematico.

Essi avevano una visione-del-mondo di dimensione utopica: consideravano l’immaginazione il luogo dove le antinomie si sciolgono e guardavano ai fenomeni della realtà sensibile come a delle rappresentazioni artistiche naturali.

In tale contesto i concetti dominanti erano la luminosità, la dinamicità ed il silenzio, cosicché le opere d’arte altro non erano che rappresentazioni della luce e del movimento (reale o illusorio/virtuale che fosse), talvolta ritmicamente accompagnate da apposite melodie sonore, aventi lo scopo non certo di rompere il silenzio, ma di sottolinearlo.

La volontà artistica del Gruppo di realizzare concretamente, attraverso le varie opere, l'ideale espressivo del "vuoto pieno”, era facilmente intuibile già a partire dal nome: lo zero, infatti, essendo quella cifra neutra e neutrale che divide i numeri positivi da quelli negativi, rappresenta l’equilibrio, l’armonia, la simmetria, il silenzio, la sintesi degli opposti. Esso traccia quella zona d’esistenza intermedia che, pur essendo vivente e vitale, non è comunque soggetta ai vincoli di concretezza e materialità dell’esistenza stessa.

Ecco allora che la parola "zero", riferita a questo gruppo, deve essere inteso nella più larga espressione “ripartire da zero”, “fare tabula rasa”, cancellare qualcosa che non serve, per costruire qualcosa che invece serve.

In questo senso, se, da una parte, "zero" può equivalere alla parola "nulla", dall'altra può anche essere sinonimo di libertà. Dalle convenzioni. Dai vincoli. Dalla tradizione.

Ma può voler anche dire molte altre cose, come ci suggerisce lo stesso Piene in uno scritto del '63: «Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Il sole è Zero. Zero è bianco. Il deserto è Zero. Il cielo sotto lo Zero: la notte. Zero è il fiume che scorre. Zero è l’occhio. L’ombelico. La bocca. Il buco del culo. Il latte. Il fiore. L’uccello. Silenzioso. Plananate. Io mangio Zero, io bevo Zero, io veglio Zero, io amo Zero. Zero è bello. Movimento, movimento, movimento. Gli alberi in primavera, la neve, il fuoco, l’acqua, il mare. Rosso, arancione, giallo, verde, indaco, blu, viola, Zero. Arcobaleno. 4 3 2 1 Zero. Oro e argento, rumore e vapore. Circo nomade. Zero. Zero è silenzio. Zero è inizio. Zero è rotondo. Zero è Zero» (Otto Piene, Der Neue Idealismus, 1963).

Tale carica mistica, così come l'aspirazione a voler rifondare le teorie e le pratiche artistiche partendo dal nulla, è ben evidente anche in quello che possiamo considerare l' 'atto di fondazione' del Gruppo, rilasciato da Otto Piene e Heinz Mack sul primo numero della rivista "Zero": «un quadro è una specie di zuffa in cui l’uomo immediatamente si immischia. Pratichiamo i quadri come gli amici o i vicini, li amiamo come compagni dell'intimità e confidiamo loro le esperienze felici e dolorose. Pure il quadro più grande, più ampio, più esteso, ci costringe 'al gomito a gomito', ci riporta alla breve distanza. Il quadro corrisponde al tipo d'uomo che ha un luogo, una dimora, e non al tipo del viandante che percorre grandi spazi sconosciuti. Che resta dell'arte, della capacità figurativa dell'uomo, se guardiamo il mondo da sopra? Le piramidi e il duomo di Colonia e tutti i grattacieli d'America sono innocue alghe nel mare della caducità, se ci allontaniamo ancora un po'. I loro secoli si riducono ad un battere di ciglia se appena pensiamo che devono durare in eterno. Non è il batter d'occhio il momento più grande, in cui l'uomo è la vastità stessa, crea da solo il proprio spazio, il batter d'occhio con cui si intuisce l'eternità? L'uomo, che utilizza il proprio spirito e adegua lo spirito per conservare il proprio corpo, l'uomo, che fa esperienza di un batter d'occhio senza tempo, di una realtà paradisiaca, di misurare cioè completamente lo spazio libero, quest'uomo ha il paradiso in sé. Segue con lo sguardo i raggi di luce che da se stesso produce. I raggi abbracciano l'uomo e l'universo, la luce lo attraversa ed egli cammina nella luce».

Da un punto di vista artistico, la volontà di azzerare le esperienze artistiche del passato si tradusse concretamente in un allontanamento sempre più marcato dal "quadro" e dalla "scultura" tradizionali e in una tenace tendenza alla pittura monocroma, cioè una pittura predominata da un unico colore (di solito il bianco).

Questa tendenza alla monocromia fu incarnata soprattutto da Heinz Mack e Yves Klein: Mack, infatti, oltre che un neoconcretista, era anche un pittore monocromo e lo stesso poteva dirsi per Klein, il quale, addirittura, a partire dal 1957, anno in cui inventò il famoso "pigmento IKB" (Internationla Klein Blue), venne ri-battezzato "Yves le Monochrome".

Secondo l'impostazione teorica del Gruppo, insomma, al posto dei classici colori a olio di matrice astratto-informale, l’artista-Zero doveva usare un unico colore, cercando di renderlo il più ricco e variopinto possibile, facendo ricorso ai nuovi mezzi espressivi offerti dal progresso scientifico e tecnologico, ovverosia la plastica, la luce elettrica, i motori, gli specchi, il ghiaccio, il vapore, etc., perché solo con questi strumenti era possibile colorare lo spazio e creare assemblaggi dalle variegate proprietà modulanti.

In effetti, per ottenere tali risultati di vivacità e dinamicità, gli artisti di Zero adoperarono diverse soluzioni: si servirono di elementi strutturali organizzati in modo sequenziale (è il caso delle ripetizioni sequenziali di Otto Piene o delle superfici ritmicamente cosparse di chiodi di Günther Uecker ); si servirono dell'elemento motorio, con il risultato di ottenere effetti di luce legati al movimento degli oggetti (è il caso delle coreografie luminose di Otto Piene e dei giochi di luce dinamici di Heinz Mack ); si servirono di sorgenti luminose e di effetti luminosi di riflessione (è il caso delle superfici in alluminio di Heinz Mack, dei dischi di luce di Günther Uecker e delle strutture riflettenti di Adolf Luther ).

Il Gruppo, tuttavia, più che ai fenomeni ottici, s’interessò in modo particolare alla variabilità/mutabilità/dinamicità dell’oggetto e alle conseguenze della partecipazione dello spettatore all’opera d’arte, arrivando così a coniare la nozione di “arte allargata”.

"Arte allargata" significava che l’artista, nella sua produzione, doveva riconsiderare completamente lo spazio artistico, facendovi intervenire, da un lato, lo spettatore, in quanto attore protagonista, e, dall’altro, il senso del moto, come elemento artistico innovativo, dotato di infinite potenzialità espressive e tutto da scoprire e sperimentare.

Dopotutto, l’idea-progetto di Uecker, Mack e Piene era proprio quella di una sperimentazione artistica su base dinamico-gestaltica: gli artisti del Gruppo, infatti, attraverso espliciti agganci al post-costruttivismo geometrico di Max Bill, attraverso l’interesse di Piene per la sky art , attraverso la tendenza alla pittura monocroma di Mack e Klein, attraverso le ricerche dinamiche di Uecker, attraverso il Neoconcretismo di Mack e attraverso gli spunti tratti dal manifesto “Nulla contro nulla” di Manzoni e Castellani, si erano dati come obiettivo quello di realizzare un’arte che si sviluppasse attorno ai due concetti-base di scienza e di tecnologia.

Un’arte, insomma, che non avesse paura di sperimentare nuovi materiali e nuovi metodi di creazione delle immagini, ma che, invece, riuscisse a rompere con il passato e la tradizione, canacellando l'idea classica di quadro e introducendo una forma d'arte innovativa, fondata non più sui colori classici della pittura nè solo sugli elementi del mondo naturale, ma anche sui prodotti industriali, usati in concomitanza con la tecnologia.

Insomma, puntando sui valori essenziali della percezione, il Gruppo, nel suo essere sia uno spazio di sperimentazione che un modello ispiratore per molte tendenze artistiche di quegli anni (come ad esempio il Grav in Francia o il Gruppo T ed il Gruppo N in Italia), si orientò verso gli aspetti strutturali più propriamente psicologici e gestalistici dell’arte: “quegli elementi della formatività che costituiscono il dipinto come struttura dinamica” e in grado di coinvolgere lo spettatore in una collaborazione attiva. Per esempio ottenendo effetti visivi diversi con lo spostamento del punto di osservazione, oppure impiegando quella che Gillo Dorfles ha definito per l'appunto un’“ambiguità gestaltica”, cioè una deformazione apparente dell’immagine ottenuta sfruttando alcune illusioni ottiche (un po' come fa Piene in alcuni suoi lavori su metallo, dove applica l’effetto di rifrazione della luce).

In questo senso, allora, il Gruppo Zero rappresenta il filo rosso in grado di legare insieme passato, presente e futuro, perché, ancor più marcatamente di altri gruppi, può essere a buon diritto considerato sia come il prosecutore dello spirito artistico delle avanguardie storiche, sia come il modello ispiratore di molti movimenti artistici internazionali di quello stesso periodo, sia, infine, come il lungimirante precursore dell’arte oggi contemporanea.

Infatti, da un lato, sembra raccogliere a piene mani l’eredità del Dadaismo e del Futurismo, perché, al suo interno, la composizione tradizionale sparisce per far spazio ad avveniristiche installazioni dallo straordinario impatto visivo, fatte di tubi di plexiglas, alluminio o acciaio, collegati insieme con motori meccanici, dischi rotanti e lampade al neon.

Da un altro lato, nel suo essere prima di tutto uno spazio di sperimentazione, questo gruppo sembra costituire un reale punto di riferimento per molti artisti che operavano proprio in quegli anni, tanto è vero che, sulla sua scia, sorsero: a Padova nel 1959 il Gruppo N (Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi); a Milano nel 1960 il Gruppo T (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi) e nel 1964 il Mid (Antonio Barrese, Alfonso Grassi, Gianfranco Laminarca, Alberto Marangoni); a Roma, fra il 1962 e il 1967, il Gruppo Uno Uno (Gastone Biggi, Nicola Carrino, Nato Frascà, Giuseppe Uncini), il Gruppo 63 (Lucia Di Luciano, Lia Drei, Francesco Guerrieri, Giovanni Pizzo), l’Operativo R e il Binomio Sperimentale P; a Genova il Tempo 3; a Parigi nel 1959 l'Équipe 57 (Juan Cuence, Angel Duart, Josè Duarte, Augustin Ibarrola, Juan Serrano) e, nel 1960, il Grav (Hugo Demarco, Garcia Miranda, Horacio Garcia Rossi, Julio Le Parc, Francois Molnar, Francois Morellet, Moyano, Servanes, Francisco Sobrino, Joel Stein, Yvaral); in Olanda il Grupp Null (Armando, Jan Henderikse, Henk Peeters, Jan Schoonhoven); negli Stati Uniti l’Anonima Group (Ernst Benkert, Francis Hewitt, Edwin Meisz Koviskij); in Unione Sovietica il Gruppo Dvijzenije (A. Beniaminova, Galina Bitt, V. Buturlin, Wladimir Grabenko, Francisco Infante, Sergej Icko, Klave Nedelko, Lev Nusberg, Natalia Prokuratova); in Giappone il Gutai(Yoshihara, Murakami, Yamazaki, Tanaka, Shiraga, Motonaga...).

Da un altro lato ancora, infine, inseguendo come obiettivo estetico e poetico proprio la ricerca di una nuova tecnologia legata al movimento, alla luce e alla dimensione ludica della sperimentazione, il Gruppo Zero è stato il primo nucleo artistico che ha anticipato l’Espressionismo astratto, la Pop art, l’Op art, il Minimalismo, il Neoespressionismo, etc, perché per primo ha dato vita a delle installazioni en plein air, cioè delle installazioni mobili e volanti, centrate sul dinamismo circolare, sulla purezza del colore bianco e sulle infinite variazioni della luce e del silenzio, accolti come elementi espressivi universali, in grado di realizzare l'ideale artistico del “vuoto pieno”.


Intervista a Heinz Mach

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Intervista di Stephan von Wiese tenutasi a Mönchengladbach nel 2004 e tratta dall'opuscolo della mostra "Zero 1958-1968. Tra Germania e Italia" (Palazzo delle Papesse, Siena, 29 maggio-19 settembre 2004)

Quali erano alla fine degli anni Cinquanta i punti di contatto essenziali tra la tua arte e la scena sperimentale italiana, soprattutto milanese? Era un dare e avere? Come lo hai recepito? Un dare e avere. Anche se mi rifiuto di pensare che esistano parametri in grado di misurarli. Lucio Fontana aveva certamente una posizione di spicco come artista della generazione precedente.

È così? Si, era così! Si dice continuamente che noi vedevamo in Fontana la figura di un padre, ma non è vero. Per come ho inteso io Fontana, per lui era evidente che noi stessimo facendo qualcosa di prossimo al suo tipo di lavoro, con effetti straordinariamente stimolanti e di conferma: si sentiva isolato quando lo conobbi a Milano, alla fine degli anni Cinquanta. Aveva la superiorità di un gentiluomo, non voleva ammettere di trovarsi isolato, ma di fatto era così. Questo valeva anche per Manzoni e Castellani, e ancor di più per Lo Savio. Lo Savio era un uomo completamente isolato e mi ha abbracciato, nel senso: finalmente qualcuno che mi crede! Fontana invece mi ha dato una spinta straordinaria: mi ha procurato una tale carica di adrenalina il fatto che un uomo come Fontana, che io avevo sempre ammirato, mi degnasse di attenzione. Un rapido esempio: entrando per la prima volta nell’atelier di Fontana scoprivo alla parete una piccola opera, un rilievo in metallo, di Heinz Mack. L’avevo esposta da Iris Clert a Parigi nel 1958 e fu l’unico esemplare a esser venduto in quell’occasione. Dunque l’aveva comprato Fontana. Quindi significava qualcosa per lui, e anche per me ha significato tanto che lui apprezzasse il mio lavoro.

Chi organizzò allora il tuo primo incontro con Fontana? Fu Nanda Vigo, che a quel tempo era la fidanzata di Manzoni, a portarmi per la prima volta nell’atelier di Fontana. Prima Manzoni gli telefonò. Fontana tenne poi il discorso di presentazione quando feci la mostra da Azimut a Milano. Successivamente rievocò per me quei pensieri basilari in un testo. Evidentemente si trattava di un discorso molto impegnativo - e questo davanti ad una telecamera poiché la televisione era presente. Allora trovavamo che fosse sensazionale [...].

Che cosa ti interessava in particolare delle nuove posizioni in campo artistico che si trovavano sotto lo stesso tetto di Azimut, una galleria d’arte? Talvolta mi sono difeso da Manzoni, più per una sensazione, perché molte cose nella rappresentazione di sé mi sembravano troppo dadaiste. Voleva regalarmi una lattina con i suoi escrementi, per cui gli dissi: grazie tante. E questo lo irritò molto. Castellani era invece molto tranquillo: apprezzai fin dall’inizio il suo lavoro. I rilievi bianchi hanno la funzione di riflettere la luce. Vidi subito anche la vicinanza diretta con Fontana: cosa si può fare con una tela bianca se non dipingerci sopra? Questo Castellani lo ha fatto, a modo suo chiaramente: lo ha dimostrato anche Manzoni, tagliando la tela a pezzi e poi rincollandoli insieme e altre cose simili. Se si parlava di Yves Klein, Manzoni replicava: “Io non sono affatto per la monocromia, sono per l’a-cromia”. L’aspetto di Castellani era scarno, ascetico, Manzoni era corpulento, vivace. Entrambi da Azimut collaboravano in modo molto stretto, ma erano programmaticamente in contrasto, come Don Chiscotte e Sancho Panza. Nanda Vigo era invece una bella donna, molto sensuale, dell’alta aristocrazia italiana. Si è assai interessata ai miei esperimenti artistici con onde di vetro, più precisamente Edelitglass, portandoli avanti a modo suo, ma facendo tutto in maniera molto più coerente, essendo di formazione architetto. E c’era Dadamaino, che fece della produzione seriale la sua bandiera. In Italia feci quindi l’esperienza - che avevo già fatto in Francia, in Belgio, in Olanda - di come in luoghi diversi d’Europa accadessero contemporaneamente cose spiritualmente affini, come un pozzo artesiano in un luogo inatteso: qualcosa viene improvvisamente alla luce e si manifesta, qualcosa che è già avvenuto nella mia cerchia più stretta, e viceversa. Questo fenomeno era molto incoraggiante per tutti gli artisti che partecipavano.


Intervista a Günther Uecker

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Intervista di Stephan von Wiese e Sylvia Martin, tenutasi a Düsseldorf nel 2004 e tratta dall'opuscolo della mostra "Zero 1958-1968. Tra Germania e Italia" (Palazzo delle Papesse, Siena, 29 maggio-19 settembre 2004)

Il tuo primo incontro con l’Italia si può considerare un’esperienza formativa? Quando ero un giovane studente d’arte ho fatto un viaggio in bicicletta con un amico da Düsseldorf a Genova. Passando per Parigi e Lione siamo andati prima a Marsiglia per visitare l’Unité d’Habitation di Le Corbusier, l’edificio sociale su piedi d’elefante, come allora veniva chiamato. Andammo poi la sera sui monti che Cézanne aveva dipinto, con quelle pareti calcaree, e quella luce meravigliosamente risplendente che brillava anche di notte. Là abbiamo deciso di proseguire per l’Italia. Temevo l’Italia per paura di ricevere l’impronta dell’esempio latino. Avevo un’educazione semplice, ma tra i miei compagni notavo che era ancora molto forte la suggestione di stampo borghese modellata sul romanticismo tedesco. Così, col cuore che batteva e la paura di essere condizionato, ho guardato dalla bicicletta tra Milano e Genova le straordinarie espressioni dell’architettura e della pittura italiane. Questo succedeva nel 1955, durante il primo periodo all’Accademia di Düsseldorf. Io venivo dalla DDR e volevo vedere le palme, perciò mi sono diretto subito verso il Mediterraneo.

La classicità dell’Italia non veniva trasmessa nella DDR? Sì, certamente, per merito di Guttuso. Guttuso era un grande esempio. Soprattutto i suoi cani famelici mi hanno molto impressionato. Allora li trovavo ancora molto stimolanti in confronto alle opere di Picasso, che ci servivano anche per le dimostrazioni pacifiste come ‘piani di lavoro’ per dipingere grandi manifesti, per esempio quello della colomba.

Non rimanesti però all’esempio di Guttuso Più tardi a Nizza, tramite Arman, ho conosciuto Yves Klein. In seguito alla mostra di Klein da Schmela,a Düsseldorf, sono stato affascinato dal fatto che dopo Matisse qualcuno potesse raggiungere ancora una simile coerenza. Queste erano nuove visioni. A Nizza, nel sud della Francia, mi sembrò allora che dominasse un clima del tutto diverso rispetto a quello italiano, anche per la presenza di molti combattenti della Resistenza che vi abitavano e che durante l’occupazione hitleriana si erano potuti nascondere nelle caverne. Ho conosciuto la situazione in Italia più tardi, attraverso gli artisti che andavo a trovare o che mi facevano visita. Manzoni venne a Düsseldorf nel mio atelier, ho conosciuto Fontana in occasione di varie mostre e leggevo i suoi manifesti. Questo nel 1959-1960, quando sono stato invitato anche da Castellani e Manzoni a esporre a Milano. Tramite Jef Verheyen ad Anversa ho finalmente aperto gli occhi sulle relazioni tra la cultura fiamminga e quella italiana, tra la pittura a olio e l’affresco. Rapporti, comunque, controversi che mi permettevano di scoprire - al di fuori della rappresentazione romantica tedesca - l’Italia a modo mio, attraverso ambasciatori come Manzoni, Castellani e Fontana (anche Capogrossi naturalmente) e, soprattutto, tramite amicizie successive con Calderara, Dorazio, Vigo, Dadamaino.

Hai letto Marinetti? Sì, ho letto tutto: già ai tempi della DDR si esaminavano le tappe che avevano preparato il fascismo e Marinetti veniva interpretato (partendo dalle nostre radicali posizioni di sinistra) in questo senso. Il fascismo aveva un significato orientato italianamente, senza il razzismo del nazionalsocialismo tedesco.

E come percepivi le posizioni artistiche di Fontana e Manzoni sullo sfondo della storia recente, particolarmente pesante in Germania? Così: noi siamo, noi viviamo e ci costruiamo le basi della nostra esistenza. Semplicemente, ground zero, anche nella sua accezione negativa di spazio aperto, negato. In un’azione davanti alla Galleria Schmela ho cercato una volta di rappresentare il ground zero come base per una nuova generazione che non aveva niente in comune con gli assassini e le idee di pulizia di un nuovo ordine mondiale del nazionalsocialismo. Quella era una preoccupazione incoraggiata soprattutto da Fontana e Yves Klein: arrivare a esprimere i fondamenti per un essere nel presente, nella pratica pittorica.


Opere

I Raster Bilder ( Trame seriali ) e i Lichtballette ( Balletti di luce ) di Piene, i Lichtdynamo ( Luci dinamiche ) di Mack, le sculture-mobili e i Lichtscheiben ( Dischi di luce ) di Uecker, i Lichtraum ( Spazi di luce ) dei tre artisti insieme, accanto ai Concetti Spaziali di Fontana, alle Anthropométrie ( Antropometrie ) e ai Monochromes ( Monocromi ) di Klein, agli Achromes di Manzoni e alle Methamatiques ( Metamatiche ) di Tinguely, rappresentano le opere-chiave attraverso le quali è possibile comprendere l’immaterialità e l’espansione del movimento nello spazio proprie del Gruppo Zero.


Otto Piene

Otto Piene: Frequenz, 1957 - Olio su placca di alluminio punteggiata (40,5 x 30,5 cm) - Kunstmuseen, Krefeld

I primi lavori di Piene all'interno del Gruppo Zero furono i Raster Bilder, le così dette Trame seriali , cioè delle opere elaborate a partire da dei rilievi monocromatici, di solito di colore chiaro, che, catturando la luce naturale e giocando sui diversi effetti di riflessione o rifrazione luminosa, sono in grado di dare dinamicità all’intera superficie dell’opera.

Con il trascorrere del tempo, Piene, sempre più attratto dalla sky art , iniziò progressivamente a ridurre la presenza dei materiali concreti (come i colori ad olio, il vetro, l’alluminio, etc…), per dare maggior spazio, nelle proprie opere, alla luce e alla sua dinamicità (naturale o indotta che fosse), dando vita a delle installazioni mobili ed evanescenti, create giocando su proiezioni e movimenti di punti luminosi, ralizzati attraverso speciali apparecchi, a cui venivano di solito abbinate anche sensazioni acustiche e tattili, oltre che visive.

È il caso per esempio dei Lichtballette o Balletti di luce e dei Lichtraum o Spazi di luce (il cui nome ricorda molto da vicino i Concetti spaziali di Lucio Fontana): installazioni in cui una sala intera, immersa nell’oscurità, viene animata da una luce in movimento, accompagnata, come nel caso dei Lichtballet, da un leggero sottofondo musicale, ritmicamente sincronizzato con la coreografia luminosa.

Otto Piene: Lichtraum (Spazi di luce), 1962 - Ambiente composto da più elementi variabili - Palazzo delle Papesse, Siena, 2004
Piene, in realtà, nel periodo tra il 1959 ed il 1966, sviluppò ben tre diverse forme di Balletti di luce .

1 - Una forma “ Arcaica ” (1959), basata su fari elettrici schermati da scatole di cartone perforato e capaci di proiettare, sul muro prospiciente, ombre e figure luminose dal differente disegno.

2 - Una forma “ Meccanica ” (1960), basata sulla cooperazione dello spettatore, il quale doveva mettere in moto il gioco di luci attivando una serie di manovelle e meccanismi, attraverso i quali poteva anche regolare e direzionare il flusso luminoso (Piene creò queste installazioni proprio per manifestare l'intento del Gruppo Zero di coinvolgere gli spettatori nell'atto creativo: «per me gli elementi da usare nella composizione artistica non sono solo quelli greci classici, come il fuoco, l’acqua, l’aria e la terra, ma gli elementi umani di azione, reazione e partecipazione […]. Per quanto riguarda la più diretta partecipazione dell’individuo-spettatore, ho anche un altro progetto in mente, che tende a portare chi è normalmente pubblico ad un ruolo vero e proprio di protagonista […]. Lo spettatore entrerà in una specie di labirinto, composto da una sessantina di celle di grandezza diversa e controllate da un cervello elettronico. Il «soggetto» sarà lo spettatore stesso, anzi, la sua struttura psichica»).

3 - Ed infine una forma “ Automatica ” (1962), basata su dinamo elettriche autoalimentate.

Otto Piene: Archaisch Lichtballette, 1959 - Riflettori coperti con mascherine di cartone traforato che proiettano immagini di luce sulla parete - Galerie Schmela, Düsseldorf, 1959
Otto Piene: Mechanisch Lichtballette, 1961 - Proiettore di luce con doppio oblò, munito di motore regolabile, per creare disegni luminosi sulla perete - Zeppelin Museum, Friedrichshafen, 2004
Otto Piene: Elektrisch Rose (Rosa elettrica), 1965 - Sfera di alluminio traforata e contenente una lampadina alimentata elettricamente - Wise Gallery, New York

Piene, inoltre, pose l’accento sulla relatività del concetto spazio-temporale e sulla dinamicità dell'esistente, non solo giocando con la luce e con le ombre, ma anche realizzando sculture aeree in plastica gonfiata, collocate in spazi aperti e ispirate ai ricordi della giovinezza: ai tempi della guerra, quando il cielo della Germania (e del mondo intero) era attraversato soltanto da aerei militari e bombe...

A tal proposito, nel 1960, Piene cercò la collaborazione di Piero Manzoni, anch'egi attratto dai lavori artistici en-plein-air (basti pensare, per esempio, al famoso Corpo d'aria ) per riuscire a realizzare il Placentarium : architetture d'aria per i suoi balletti luminosi.

Il Placentarium consisteva, in pratica, in un pallone aereostatico di circa 18 metri di diametro, bianco internamente e ricoperto, esteriormente, di plastica argentata, cosicchè i raggi solari fossero al tempo stesso riflessi (per creare strani effetti-luce abbaglianti) e schermati (per proteggere l'opera d'arte da eventuali usure o sbiadimenti).

Otto Piene: Palloni ad aria calda, 1969 - Museo d'Arte Moderna e Contemporanea, Tokyo, 2000


Heinz Mack

Heinz Mack: Lichtdynamo, 1960 - Piattaforma di vetro colorata e incorniciata, mossa da motore elettrico e supportata su struttura metallica - Kaiser-Wilhelm-Museum und Kunstmuseum Krefeld, Bonn, 2006

Influenzato dal lavoro di Yves Klein, nelle sue opere prodotte durante il periodo di Zero, Mack tentò di coniugare l’espressività dinamica della materia in movimento con quella intangibile della luce riflessa, realizzando delle opere lumino-cinetiche dal forte impatto visivo.

Se in un primo tempo, per le sue creazioni, usò soprattutto strumenti tradizionali, come la tela ed i colori ad olio (scelta che però realizzò in modo innovativo, ossia seguendo il modello pittorico della monocromia, creando in tal modo quadri o tutti in bianco o tutti in nero), nel corso del suo cammino artistico si diresse sempre più verso supporti di altro tipo, come l’alluminio ondulato e le superfici translucide.

Identificative del lavoro di Mack all’interno del Gruppo Zero, infatti, sono proprio quelle che possiamo considerare delle installazioni mobili a base tecnologica: le Lichtdynamo, ovverosia le Luci dinamiche (altrimenti dette Strutture dinamiche ).

Heinz Mack: Flügelstele (Stelo ruotante), 1964 - Stelo di plexiglas con cerchi in alluminio (300 x 40 x 10 cm) mossi da dinamo elettrica, il tutto su supporto in plastica (2 x 41,5 x 50 cm) - Collezione Heinz Mack, Mönchengladbach, 1997

Queste opere sono in realtà degli assemblaggi costituiti da cerchi di alluminio battuto mossi da motori elettrici e immersi dentro ambienti di vetro o plexiglas trasparente uniformemente modulato.

In esse,i vari materiali, riflettendosi reciprocamente, aumentano nello spettatore il senso generale del movimento.

Per meglio capire il modus operandi artistico adottato da questo artista, può essere interessante leggere quanto scrive Carl Jung a proposito dell’”energia circolare”: «Movimento è solo un altro nome per governo". Dal punto di vista psicologico questa circolazione consisterebbe in un ‘girare in cerchio attorno a se stessi’, così da coinvolgere tutti i lati della propria personalità. I poli della luce e dell’oscurità si pongono in movimento circolare’, nasce cioè l’alternanza di giorno e notte. ‘Luminosità paradisiaca si alterna a orrida notte profonda’. Il movimento circolare ha quindi anche il significato morale di animazione di tutte le forze chiare e oscure dell’umana natura, e di conseguenza di tutti gli opposti psicologici, di qualsiasi natura possano essere. Questo non significa altro che, autoconoscenza mediante un’incubazione di sé stessi» (C.G Jung, Commento europeo, in Il segreto del fiore d’oro. Un libro di vita cinese, 1929).


Günther Uecker

Günther Uecker a lavoro con i suoi famigerati chiodi
Le sculture-mobili di Uecker rappresentano una tappa fondamentale dell’Arte-Zero, in quanto assai vicine al modello poetico dell’Arte cinetica e dell’Op art, essendo essenzialmente giocate sugli effetti di riflessione e rifrazione dinamica della luce naturale.

Uecker, nel realizzarle, utilizzò per lo più materiali grezzi, semplici e concreti, come ad esempio i chiodi, di solito dipinti di bianco e fissati su placche iridescenti di metallo, in modo da formare successioni sequenziali di disegni e coreografie ondulatorie.

In effetti, possiamo dire che l’uso dei chiodi è stato ciò che ha maggiormente contraddistinto Günther Uecker come artista e come scultore, non solo all’interno del Gruppo Zero, ma anche al di fuori di esso, con riferimento soprattutto alla sua produzione artistica attuale.

Questo processo di alternanza seriale di superfici lisce e superfici chiodate (processo che in qualche può essere accostato all’esperienza delle Trame seriali di Piene) viene infatti ripetuto da Uecker in infinite variazioni.

Günther Uecker: TV auf Tisch (TV su tavolo), 1963 - Chiodi confitti su televisore incollato su tavolino di legno (120 x dia 100 cm) - Skulpturenmuseum, Glaskasten Marl
Il Pfeilbild ( Dardi nel quadro ) del 1960, per esempio, che rappresenta il momento-chiave della sua produzione artistica, consiste in una serie di frecce ritmicamente conficcate su un pannello ricoperto da una tela bianca: in quest’opera, gli effetti di luce e ombra provocano in chi li guarda l’illusione di un movimento reale, tanto che spesso lo spettatore ne rimane spiazzato.

Lo stesso può dirsi per l’altra scultura-mobile di Uecker intitolata TV auf Tisch ( Tv su tavolo ) e realizzata nel 1963: in essa torna inossidabile il motivo dei chiodi, piantati su metà lato del televisore, tanto che tutta la dinamicità gestaltica dell’opera pare centrata proprio sulla loro presenza.

Emblematici della potenza cinetico-visuale di questo artista sono però anche i Funf Lichtscheiben ( Cinque dischi di luce ): attraverso questi cerchi di alluminio di grandezza crescente, contenuti in rettangoli di plestiglas posti l’uno a fianco dell’altro, Uecker punta a creare nello spettatore un luminescente effetto di riflessioni ottiche contarstanti.


Correlazioni

Arte cinetica o Programmata, Arte visuale, Arte gestaltica, Neocostruttivismo, Nouveau Realisme, Nova Tendencija, Op art, Fluxus.

Queste espressioni, che si possono riferire a fenomeni per molti aspetti sovrapponibili, trovano senso e giustificazione, all’interno del Gruppo Zero, in quanto mettono in luce aspetti diversi di una medesima tendenza artistica: l’importanza della sperimentazione tecnologica in campo ottico e dinamico.

Come giustamente hanno fatto notare Pansera e Vitta: «con il termine Arte cinetica si intese sottolineare, fin dall'inizio, il tema del movimento dell'opera, così come con quello Arte programmata, secondo una definizione che Dorfles attribuisce a Bruno Munari e che venne usata per la prima volta nel 1962 come titolo di una mostra patrocinata dalla Olivetti di Milano. Con Arte visuale si pose invece l'accento sulla visualità strutturata in una dimensione sperimentale. Con Arte gestaltica - un termine usato verso il 1963 sopratutto da Argan - ci si riferì alle modalità della fruizione dell'oggetto artistico da parte dell'osservatore, basandosi sopratutto sugli studi di Rudolph Arnheim (Arte e percezione visiva, 1954) e di Wolfgang Koehler (La psicologia della Gestalt, 1947). Si coniò anche l'etichetta di Neocostruttivismo, per esaltare l'aspetto progettuale dell'opera, al fine di superare i tradizionali confini della figurazione e riproporre l'unità delle arti; e nel 1961, nell'ambito delle manifestazioni organizzate dal Museo d'Arte Contemporanea di Zagabria dal critico serbo Mestrovic (con varie ripetizioni anche in altre città fino al 1973), si diffuse il nome di Nouvelle Tendence [ Nova Tendencija ]».

[...]

«Il termine Optical Art (Arte ottica) [contratto più sbrigativamente in Op art] si riferisce invece ad un’articolata tendenza artistica interessata ai fenomeni percettivo-cinetici e presentata in contrapposizione alla Pop art. Fu la rassegna "The Responsive Eye", organizzata presso il Museum of Modern art di New York da William Seitz, a portarla alla ribalta, grazie agli artisti provenienti da ogni parte del mondo, dai francesi Vasarely e Morellet all'inglese Riley, dagli italiani del Gruppo N ai tedeschi Gersterner e Mack, all'israeliano Agam agli americani Louis, Stella, Noland e, naturalmente, Albers. La Op art si proponeva di far confluire, assieme al fattore ottico-percettivo, le esperienze cinetiche e visuali sulla base di una razionalità programmata ma allo stesso tempo connesse a quegli elementi di casualità e di imprevidibilità che le correnti irrazionali del dopoguerra pongono al centro delle loro ricerche».

Col termine Fluxus, infine, si indicava un movimento artistico riconducibile alla corrente neodadaista e affermatosi negli Stati Uniti e in Europa a partire dai primi Anni Sessanta, in base al quale l’arte doveva essere intesa come un insieme di processi di trasformazione del reale. Coerentemente con questo assunto, il movimento propose molteplici forme di espressione artistica, dalla musica alle arti figurative, dall’installazione alla Video Art, dalla performance alla letteratura, spesso operando contaminazioni e incroci. Non è un caso, del resto, che esso nasca proprio all’interno dei corsi di composizione musicale sperimentale tenuti da John Cage al Black Mountain College (North Carolina) nel 1957: furono suoi allievi, infatti, gli artisti della prima generazione, tra cui George Maciunas, George Brecht, Al Hansen, Nam June Paik, Charlotte Moorman. Mentre la prima manifestazione ufficiale si tenne soltanto nel 1962, presso il Museo civico di Wiesbaden in Germania.


Ma correlati al Gruppo Zero ci sono anche tutti gli altri movimenti che sorsero nel mondo a cavallo tra il Cinquanta e il Sessanta: Gruppo N; Gruppo T; Mid; Gruppo Uno; Gruppo 63; Operativo R; Binomio Sperimentale P; Tempo 3; Équipe 57; Grav; Grupp Null; Anonima Group; Gruppo Dvijzenije; Gutai; etc…


Bibliografia

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Dorfles G., Il divenire delle arti, Einaudi, Torino, 1967;

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Dorfles G., Vettese A., Arti Visive. Il Novecento. Percorsi tematici, Atlas, Bergamo, 2003;

Dragone P. (a cura di), L’arte Programmata, in AA. VV., Ricerche visuali dopo il 1945, Unicopli, Milano 1978

Pansera A., Vitta M., Guida all'arte contemporanea, Marietti, Casale Monferrato, 1986

Vergine L., L’ultima avanguardia. Arte programmata e cinetica 1953/1963 – Catalogo della mostra, Mazzotta, Milano, 1984


Webliografia

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