Desktop theatre: differenze tra le versioni
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+ | Nel palinsesto del Digital Storytelling Festival del 1997 era pesente una novità nel campo del teatro e della comunicazione: il Desktop Theatre di Adriene Jenik e Lisa Brenneis,. Lo spettacolo che andò in “scena�? fu “Waiting for Godot�?(Aspettando Godot).Il testo era quello originale di Beckett. Il palcoscenico invece era un Palace, una chat-room visibile in due dimensioni occupata da "avatar" (icone grafiche), a rappresentare ogni partecipante, dove i due protagonisti Didi e Gogo potevano prendere vita non soltanto sotto forma di linee di dialogo scritte, ma anche come sorridenti icone rotonde, contrassegno indistinto per gli "ospiti" della chat. Dal momento che il Palace permetteva anche l'uso di una voce digitale sintetica, i due personaggi potevano, in questa sorta di teatro a fantocci virtuali, comunicare con la medesima voce robotica, completando in questo modo la propria caratterizzazione virtuale di perfetti “chiunque�?. Il pubblico era costituito non soltanto da tutti coloro che occupavano il Palace virtuale, ma anche da spettatori del festival sopra nominato, riuniti davanti ad uno schermo di proiezione. Il teatro, nella sua più essenziale definizione, è un’arte immediata ed esclusiva, senza filtri tra attore che si esibisce e spettatore che guarda. È fatta di persone in carne e ossa, di scambio emozionale, di qui e ora. Com’è possibile, allora, che oggi sembri cedere anch’essa alle lusinghe delle tecnologie globali del computer e di Internet, aprendosi all’ibridazione con i nuovi media, accogliendo avatar virtuali e modalità di rappresentazione in pixel? Eppure il fatto che questo insolito incontro sia in corso e stia dando i suoi pur originali e discontinui frutti non può essere messo in discussione. Del resto, “i teatri e le macchine�? costituiscono un tema antico della storia delle arti della rappresentazione, una sorta di filo rosso che la attraversa tutta; dall’antico stratagemma del deus ex machina alle tecnoarti dal teatro nella sua più elementare forma, all’esplosione che ci fu tra Ottocento e Novecento. L'interazione sviluppata in questo esperimento fra il livello teatrale e le modalità del media coinvolto è molto curiosa. Nell’ l'articolo di Scott Rosenberg, "Clicking for Godot", sipone l'accento su come il testo di Beckett possa essere oggi letto come un perfetto commento al mondo delle chat: in “Aspettando Godot�?, nulla accade per due volte, in ciascuno degli atti; nelle chat rooms, nulla accade la maggior parte delle volte; le persone si ritrovano ogni sera e aspettano che qualcosa succeda, che qualcuno dica qualcosa di interessante, che un diversivo li aiuti a passare il tempo | ||
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Versione attuale delle 15:46, 1 Feb 2010
Genere o movimento artistico:
desktop theatre
Personaggi o Gruppi:
Adriene Jenik e Lisa Brenneis,
Luogo:
Storia:
Nel palinsesto del Digital Storytelling Festival del 1997 era pesente una novità nel campo del teatro e della comunicazione: il Desktop Theatre di Adriene Jenik e Lisa Brenneis,. Lo spettacolo che andò in “scena�? fu “Waiting for Godot�?(Aspettando Godot).Il testo era quello originale di Beckett. Il palcoscenico invece era un Palace, una chat-room visibile in due dimensioni occupata da "avatar" (icone grafiche), a rappresentare ogni partecipante, dove i due protagonisti Didi e Gogo potevano prendere vita non soltanto sotto forma di linee di dialogo scritte, ma anche come sorridenti icone rotonde, contrassegno indistinto per gli "ospiti" della chat. Dal momento che il Palace permetteva anche l'uso di una voce digitale sintetica, i due personaggi potevano, in questa sorta di teatro a fantocci virtuali, comunicare con la medesima voce robotica, completando in questo modo la propria caratterizzazione virtuale di perfetti “chiunque�?. Il pubblico era costituito non soltanto da tutti coloro che occupavano il Palace virtuale, ma anche da spettatori del festival sopra nominato, riuniti davanti ad uno schermo di proiezione. Il teatro, nella sua più essenziale definizione, è un’arte immediata ed esclusiva, senza filtri tra attore che si esibisce e spettatore che guarda. È fatta di persone in carne e ossa, di scambio emozionale, di qui e ora. Com’è possibile, allora, che oggi sembri cedere anch’essa alle lusinghe delle tecnologie globali del computer e di Internet, aprendosi all’ibridazione con i nuovi media, accogliendo avatar virtuali e modalità di rappresentazione in pixel? Eppure il fatto che questo insolito incontro sia in corso e stia dando i suoi pur originali e discontinui frutti non può essere messo in discussione. Del resto, “i teatri e le macchine�? costituiscono un tema antico della storia delle arti della rappresentazione, una sorta di filo rosso che la attraversa tutta; dall’antico stratagemma del deus ex machina alle tecnoarti dal teatro nella sua più elementare forma, all’esplosione che ci fu tra Ottocento e Novecento. L'interazione sviluppata in questo esperimento fra il livello teatrale e le modalità del media coinvolto è molto curiosa. Nell’ l'articolo di Scott Rosenberg, "Clicking for Godot", sipone l'accento su come il testo di Beckett possa essere oggi letto come un perfetto commento al mondo delle chat: in “Aspettando Godot�?, nulla accade per due volte, in ciascuno degli atti; nelle chat rooms, nulla accade la maggior parte delle volte; le persone si ritrovano ogni sera e aspettano che qualcosa succeda, che qualcuno dica qualcosa di interessante, che un diversivo li aiuti a passare il tempo l’interazione fra attore e pubblico, invece è costituita dalla possibilità di avere interferenze quali aspetto più interessante dello spettacolo.
Opere: Clicking for Godot
Bibliografia: Pier Luigi Capucci, Realtà del virtuale, Bologna, Clueb, 1993 Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1990 Andrea Menicacci, Emanuele Quinz, La scena digitale. Nuovi media per la danza, Marsilio, Venezia, 2001 Fabio Paracchini, Cybershow, Ubulibri, Milano, 1996
Webliografia: http://www.desktoptheater.org/
http://www.noemalab.org/sections/ideas/ideas_articles/stefanini_teatrodigitale.html