Intervista a Maria Grazia Mattei: differenze tra le versioni
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“All’estero Roy Ascott e tutti questi personaggi, hanno continuato a lavorare, il loro lavoro oltre ad essere una ricerca anche di tipo teorico era in realtà anche molto laboratoriale e informatica, infatti nel frattempo hanno sviluppato dei software, e cercato altre situazioni. | “All’estero Roy Ascott e tutti questi personaggi, hanno continuato a lavorare, il loro lavoro oltre ad essere una ricerca anche di tipo teorico era in realtà anche molto laboratoriale e informatica, infatti nel frattempo hanno sviluppato dei software, e cercato altre situazioni. | ||
Sono andata a Los Angeles a trovare all’Internet Caffè di S. Francisco Sherrie Rabinovitz, che stava continuando a fare un lavoro di comunicazione culturale e di sviluppo, incentivato ad un rapporto culturale all’uso di questi strumenti, sempre sottolineando l’aspetto sociale. | Sono andata a Los Angeles a trovare all’Internet Caffè di S. Francisco Sherrie Rabinovitz, che stava continuando a fare un lavoro di comunicazione culturale e di sviluppo, incentivato ad un rapporto culturale all’uso di questi strumenti, sempre sottolineando l’aspetto sociale. | ||
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In che modo hanno influito gli happening nell’Arte Digitale? | In che modo hanno influito gli happening nell’Arte Digitale? |
Revisione 19:31, 19 Apr 2005
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Autore: Mattei Maria Grazia
Tratto da: Bassi Bruno, Bassi Dora, Biagini Giselda, D'Antongiovanni Silvia, "Arte telematica negli anni Ottanta", video, Accademia di Belle Arti di Carrara, Corso di Teoria e Metodo dei Mass Media, prof. Tommaso Tozzi, Anno Accademico 2004-2005
Titolo Originale: Intervista a Maria Grazia Mattei
Intervista di: Bassi Bruno, Bassi Dora, Biagini Giselda, D'Antongiovanni Silvia
Anno: 2005
Testo dell'articolo
Cosa s’intende per arte telematica?
Esperienza del Planetary Network (Biennale di Venezia 1986)
“Nel 1986 la Biennale di Venezia è stata centrata sul rapporto Arte/Scienza in maniera inusuale, visto che il nostro paese sembra molto distratto verso tutti quelli che sono i fenomeni di sperimentazione culturale legate alla tecnologia che non siano Arte con l’A maiuscola, quell’anno invece si sono aperte le porte ad una serie di incontri, di dibattiti sull’uso delle nuove tecnologie in campo artistico. Uno dei progetti alle corderie si chiamava Network Planetario, abbiamo utilizzato quel grande spazio per creare una sorta di grande laboratorio. Abbiamo messo in scena artisti con tecnologie, analogiche di allora, per dare vita ad una sorta di grande workshop sperimentale che connetteva artisti di tutto il mondo.
Quindi diciamo che c’erano quattro angoli del mondo che tentavano di strutturare questo progetto ragionando sull’arte della comunicazione, arte telematica, per per di più utilizzando anche in fase laboratoriale, progettuale, anche la posta elettronica di allora. Avevamo un server messo a disposizione alla Sharp in Canada. Era interessante perché in questo progetto Network Planetario, si diceva che la comunicazione avveniva attraverso tecnologie che non erano più solo il telefono (in Italia era appena arrivato il Fax) e quindi anche la metodologia di processo produttivo di questa mostra si è rilevata molto importante, perché era in sintonia con gli argomenti di cui si parlava, per cui abbiamo utilizzato la posta elettronica. Il server della posta elettronica di allora in Canada, si intasava di messaggi vari che dovevamo scaricare con degli stampati pazzeschi, lunghi, era una elaborazione complessa, nella gestione di questa conduzione di questi quattro curatori sparsi nel mondo in questa maniera, era tutto un protocollo di accesso complicatissimo. Erano gli albori di ciò che poi sarebbe diventato internet.
Il Network Planetario in cosa si è intrinsecato? Di fatto possiamo usare questa metafora di un grande laboratorio, avevamo messo a disposizione gruppi di artisti italiani in connessione con questi paesi: Inghilterra, Australia, Canada, altri gruppi di sperimentatori, utilizzavamo le tecnologie di comunicazione allora disponibili, per cui il fax e quindi questo discorso della Fax Art, del lavorare insieme sui contenuti che erano immagini, sogni, parole ecc. Lo Slow Scan TV che era la trasmissione video lenta di questi dati video che ci mettevano molto anche solo per disegnare una piccola immagine, che veniva dall’altra parte del mondo rielaborata e restituita, quindi era tutto un passaggio di contenuti, di manipolazione, e di ritrasmissione di contenuti visivi, testuali, scritti, condivisi e implementati dai contributi di tutti, poi avevamo questo discorso di posta elettronica primordiale e un’altra area interessante era incentrata su "protostrumenti" di comunicazione interattiva in locale e non in trasmissione (Laser disk); dopo di chè abbiamo creato anche tutto un appuntamento con Valerio Eletti sull’immagine di sintesi, quindi quello che stava accadendo nel mondo anche sul versante del’immagine grafica elaborata. L’idea era quella di creare un laboratorio, mettere in connessione sperimentatori artistici informatici, e in qualche modo dare l’idea al pubblico di un fenomeno che già allora, se pur con strumenti analogici lenti, anticipava quello che sarebbe accaduto successivamente agli anizi degli anni ’90 con la posta elettronica di Internet, attraverso il Web. Quindi il nostro obbiettivo era quello di mettere a fuoco alcuni aspetti, perché già con l’uso di queste tecnologie arcaiche rispetto a quelle di cui disponiamo oggi, arrivavano quelli che erano i presupposti dell’arte della comunicazione, dell’arte telematica, cioè il discorso di barriere spazio-temporali che si annullavano, che la comunicazione fosse diffusa, che permettesse un interazione, che ci fosse un rapporto individuale nella comunicazione, ma allo stesso tempo il lavoro collettivo, quindi tutti questi lavori che loro creavano, per esempio, di trasmissione di testi, di rielaborazione a più mani, anche se in dimensione non fisiche ma virtuali, dove tutti potevano contribuire, non c’era più un autore singolo ma un autore collettivo. Questi sperimentatori in realtà non sperimentavano tanto le tecnologie, ma andavano a saldare tutta una serie di spunti, di riflessioni, di domande, che già si intuivano, collegati all’evoluzione sociale con l’uso delle tecnologie.
Com’erano vissute tali esperienze nel mondo dell’Arte?
Erano conosciute da un grande numero di persone?
Con le tecnologie digitali tutto hanno cominciato a farci i conti, in Italia questa apertura più diffusa d'interesse di un pubblico di non specializzati, come invece era prima.
Possiamo dire che in Italia tutto questo risale agli anni ’90, con l’avvento della realtà virtuale, per esempio si scoprì che con il computer non si facevano solo calcoli o disegni ingegneristici, ma si poteva tracciare un immaginario, spostare la riflessione su un mondo reale che era in contrasto con un mondo artificiale che avanzava sulla relazione uomo-macchina, quindi il dibattito ha preso un pubblico molto più generalizzato e meno specializzato.
L’altro aspetto che ha determinato la svolta culturale anche per un paese come il nostro è stato ovviamente l’avvento del web della rete.
Quali altre esperienze personali ha avuto nel settore dei rapporti tra arte e reti telematiche o comunque comunicazioni a distanza?
“Mi sono avvicinata a questo discorso arte-rete, arte e telecomunicazione, agli inizi degli anni ’80 dopo aver visto una mostra a Berlino sull’arte e nuovi media, che della Mail art suggeriva solo l’uso del fax e l’uso di altri strumenti per la comunicazione. Io ho approfondito questa cosa ed ho visto che c’era una ricerca partita negli anni ’70 con Sherry Robinowiz e Kit Kalloway, erano già stati fatti degli esperimenti con i satelliti negli anni ‘60 in trasmissioni di telepresenza tra le città di New York e Los Angeles. Nelle piazze di queste città erano state posizionate delle vetrine dove il pubblico di New York poteva incontrare quello di Los Angeles. Questo ha sorpreso molto perché nessuno vi era preparato, semplicemente passava davanti a questa vetrina-schermo e la gente dell’altra città li chiamava.
Così ho scoperto tutta una serie di esperienze che andavano in questa direzione di arte sociale della comunicazione.
C’era una dimensione comunicativa con i mezzi che potevamo permetterci allora, che ci ha fatto veramente sperimentare questo dialogo a distanza di azione in tempo reale e azione-reazione che non era solo la voce. Mandare un messaggio visivo, vedere tornare l’rielaborato, percepire così la presenza dell’altro, sai e senti che stai lavorando con altri, lo vivi in tempo reale. E' stata un esperienza straordinaria! Dopo l’esperienza della Biennale dell’’86, ho avuto un po’ l’impressione che non fosse un discorso esaurito ma che si stava preparando qualcos’altro e che tale discorso già nell’’86 andava a chiudersi, perché non più di nicchia ma diffuso a livello sociale, poi è arrivato Internet e il dibattito all’estero sulla realtà virtuale, quindi lo scenario tecnologico si stava complicando.
All’estero?
“All’estero Roy Ascott e tutti questi personaggi, hanno continuato a lavorare, il loro lavoro oltre ad essere una ricerca anche di tipo teorico era in realtà anche molto laboratoriale e informatica, infatti nel frattempo hanno sviluppato dei software, e cercato altre situazioni. Sono andata a Los Angeles a trovare all’Internet Caffè di S. Francisco Sherrie Rabinovitz, che stava continuando a fare un lavoro di comunicazione culturale e di sviluppo, incentivato ad un rapporto culturale all’uso di questi strumenti, sempre sottolineando l’aspetto sociale.
In che modo hanno influito gli happening nell’Arte Digitale?
“Intanto definire cos’è l’arte digitale è un problema, non è una definizione molto chiara. Se diciamo, c’è l’arte digitale perché la distinguiamo dalla pittura, perché si usano tecnologie, allora possiamo dire che ci sono esperienze di vario tipo: sulle immagini, immagini- suono, solo sul suono, sulla trasmissione di immagini, testi, suoni, di multimedialità, cioè molto eclettica come scena.
Oggi si parla molto di società dell’informazione, questi l’avevano già intuito lavorando con gli strumenti di allora, perciò dico che secondo me l’arte telematica non ha influito ma ha aggiunto, l’uso della tecnologia ha sottolineato questa forte potenzialità dell’informazione come bene da condividere e non da sottrarre. Qui si apre tutta una parentesi sul diritto d'autore.....
Che mutazioni ha subito il panorama artistico confrontandosi con la rete?
“Il confronto con la rete, sottolinea una serie di aspetti comunicativi importanti, non dell’unicità della persona e dell’oggetto. Rispetto al mondo dell’arte più classica la rete si è impattata ma tutto sommato è stata vissuta come una possibile vetrina di comunicazione e di amplificazione della propria esistenza. È più interessante l’impatto dell'Arte nella Rete, la quale ha tentato di trovare dentro questo ambito virtuale telematico, degli spazzi di creatività che non fossero semplicemente portare in rete la pagina grafica stampata. Siamo passati da una fase dove Internet sembrava poco più e anche poco meno di una presunta grafica, che qualsiasi grafico poteva fare, a una concezione piena del tempo e della rete come ambiente d’intervento, d’azione, di creatività specifica di questo ambiente. Si è ritagliato dentro la rete uno spazio laboratoriale di proposte, di creazione di opere virtuali che possono vivere solo dentro la rete, di scambio di artisti. Questa cosa del network si è potenziata, però non credo che la rete abbia avuto una grossa influenza sull’arte classica, cioè mi sembra che tutto sommato nel mondo dell’arte classica venga considerato come uno strumento da integrare nella comunicazione o nello sviluppo del mercato ma non tanto come un esposizione dell’opera d’arte.
Quali trasformazioni ha subito la figura dell’artista o del fruitore dell’opera d’arte?
“Se usciamo dall’arte telematica, il discorso si fa più vasto, visto l'impatto con questi strumenti telematici: il computer, l’elaborazione di immagini, i software per creare interazione ecc.… si sono messi in evidenza i presupposti del dibattito artistico anche non legato alle nuove tecnologie, che sono i presupposti dell’artista collettivo, ovvero dell’opera d’arte non come oggetto ma come processo. Nel processo della definizione dell’oggetto artistico, dei messaggi artistici, entra in scena anche il fruitore, il pubblico è parte integrante dell’opera d’arte e così via. La cosa interessante è che questo dibattito, che viene oggi attribuito all’uso delle nuove tecnologie, in realtà è un dibattito che è stato aperto con le avanguardie nei primi dell’900 se non prima ancora. Sul discorso dell’interazione e del coinvolgimento dei sensi, se ti affacci sulla scena artistica dei primi dell’900, questi erano i loro sogni ad occhi aperti, l’utopia verso cui viaggiano, non avevano gli strumenti che potevano permettergli di realizzare una vera e propria sinestesia come abbiamo noi oggi. Nel cammino dell’arte questo tracciato era già stato anticipato dalle tecnologie inadeguate e già sentito come spazio possibile di ulteriore avanzamento della ricerca artistica. Se riprendiamo lo studio dell’arte programmata che è stato un episodio importante dell’arte contemporanea, questi signori che non lavorano certamente con il computer, parlo del gruppo N, Gruppo T, gruppo Grav ecc… loro si firmavano come gruppo e non con i loro nomi. L’artista come singolo, l’artista romantico che ama e che soffre non c’è più, c’è il gruppo, l’attività progettuale. Il processo che c’era attraverso i lavori, opere come quadri o lavori grafici e il tentativo di coinvolgere interattivamente lo spettatore, il pubblico, in un processo che andava a concludersi con la sua lettura, era un momento che aveva tutti i presupposti teorici che oggi sono così manifesti grazie all’uso delle nuove tecnologie che hanno rimesso in gioco la diffusione non l’unicità, l’immaterializzazione dell’opera, il processo, la partecipazione, l’interazione, le sinestesie e così via.
L’agire creativo attraverso le nuove tecnologie digitali può portare a delle trasformazioni sociali e culturali?
Quali erano i rapporti tra artisti come Adrian, Ascott, ecc… degli anni ’80 con le realta’ di mvimento?
“Non c’erano grandi rapporti, in qualche modo questi artisti, Adrian, Don Foresta, Roy Ascott erano un po’ più laboratoriali assestanti, anche se rapporti con hacker sicuramente li avevano, non erano inseriti in un contesto di dibattito politico di movimento. C’era un dibattito diffuso di cui loro erano al corrente ma non era una vera e propria connessione. “