Lo sceicco bianco: differenze tra le versioni

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Revisione 21:58, 10 Mar 2007

Titolo

Lo sceicco bianco

Anno

1952 d.C.

Luogo

Roma

Autore

Fellini Federico

Descrizione

Due sposini di provincia, Ivan Cavalli e la moglie Wanda, vanno a Roma in viaggio di nozze. Lui con la sua aria da impiegatuccio efficiente e timoroso è costantemente preoccupato di mantenere un contegno dignitoso, ha un programma di visita organizzato nei minimi dettagli e spera di ottenere qualche favore da uno zio ammanicato con il Vaticano; lei, minuscola e sognatrice, desidera conoscere di persona lo “sceicco bianco” ovvero il protagonista del suo fotoromanzo preferito. E così fuggirà dalla camera d’albergo per andare ad incontrarlo. Ma quella che deve essere una breve scappatella finisce per durare molto di più: la sposina non è più padrona di sé stessa quando vede spuntare gli attori dei fumetti e li segue fin sulla spiaggia di Fregene dove la troupe sta lavorando ad una nuova puntata. Sembra per una attimo riprendere coscienza, ma quando appare lo sceicco bianco in persona, nella memorabile scena di lui, su un’altalena la quale sembra issata al cielo, che canticchia “Ti porterò a New York”, lei si rituffa nel suo mondo fantastico. Wanda, come il tipico modello di donna cara al primo Fellini, è infantile e pura, ed immersa nel suo romanticismo non ha idea di quanto di ingannevole ci sia dietro le quinte di questo mondo volgare. Lo sceicco infatti cercherà di sedurre l’ammiratrice portandosela a fare un giro in barca, ma alla fine ci sarà una feroce moglie ad attenderlo e lui rivelerà tutta la propria meschinità: non è un principe azzurro ma soltanto uno squallido borgataro. Intanto Ivan ha cercato per tutto il giorno la sposa smarrita e soprattutto ha cercato di tenere nascosta la scomparsa allo zio, compiendo prodigi di astuzia perché i parenti non sospettino nulla. Quando arriva la sera lui, affranto, non può far altro che rivolgersi alla polizia, nonostante la sua immensa vergogna nel dire che è proprio la moglie la persona scappata. Disperato inizia poi a vagare da solo per le vie deserte e si incontra con due prostitute che si inteneriscono e lo ospitano. Wanda torna a Roma di notte, in abiti da odalisca. Ma non osa rientrare in albergo e vergognosa della malazione compiuta quanto delusa per aver scoperto cosa in realtà ci sia dietro il suo mondo fantastico, tenta goffamente di buttarsi nel fiume. Viene però salvata e riconsegnata al marito il mattino dopo. Ad Ivan preme più di tutto salvare il proprio onore, le spiegazioni a dopo, e quindi la cosa imminente da fare è prepararsi per unirsi alla famiglia di lui in Piazza San Pietro dove li attende un’udienza papale. Una curiosità: è possibile notare che la sequenza della gita in barca di Wanda e dello sceicco è girata sul bagnasciuga: certamente più per cause di forza maggiore, dal momento che il mare è troppo agitato, ma è anche vero che ne deriva un curioso ed irreale effetto di straniamento che anticipa i felliniani mari di cartapesta di Amarcord, Il Casanova, E la nave va). In quest’opera l’ironia si accanisce nei confronti della mentalità piccolo-borghese, che per compensare la sua piattezza desolante lascia spazio al diffondersi di sogni balordi: la sposina in viaggio di nozze manda a scatafascio il meticoloso programma del marito per andare a conoscere di persona l’idolo del suo cuore, personaggio di un mondo fantastico nel quale lei vorrebbe vivere. Anche Ivan è però sbeffeggiato nella sua stupidità. Prima di tutto l’onore, e di conseguenza l’incapacità di dire la verità o di affrontare veramente la moglie, perché non c’è tempo. L’esperienza trascorsa nella capitale non ha portato Ivan e Wanda ad alcuna crescita interiore e la normalità dell’ordine borghese in cui si accingono a rientrare appare correlata al disordine attraverso il quale sono passati. Questo primo film tutto felliniano nasce da due paginette scritte nel 1949 da Michelangelo Antonioni, che ha appena realizzato un documentario, L’amorosa menzogna, sul mondo dei fotoromanzi: l’Italia postbellica impazzisce per questa forma d’arte dei poveri e degli ignoranti. Lo stesso Antonioni dovrebbe dirigere il film, ma si ammala; lo dovrebbe allora sostituire Alberto Lattuada, il quale però ha altro per la testa, ovvero il solito film su Miss Italia. E così il produttore Luigi Rovere passa l’incarico al quasi esordiente Federico: il soggetto si adatta molto bene alle sue corde tant’è che Fellini trasforma gli sposini protagonisti in qualcosa di molto simile alle sue predilette creature radiofoniche Cico e Pallina. Ovviamente c’è da parte di Federico un po’ di paura: è il primo film che deve portare avanti da solo. Quando ce lo racconta Federico, ci fa una radiocronaca dei sentimenti contraddittori che lo agitano nel momento di compiere il passo decisivo. E se i primi ordini vengono impartiti con fatica, dato l’imbarazzo nel dare istruzioni, lo sgomento per l’impegno assunto, l’incapacità di concentrarsi, man mano diventano più sicuri e incalzano un crescendo liberatorio che riesce persino a trasformarsi in gioco. Il primo a visionare in privato Lo Sceicco bianco è Roberto Rossellini che ne rimane sfarovevolmente impressionato; lo confida a Fellini senza troppi giri di parole e qui praticamente finisce la loro amicizia. Proiettato alla Mostra di Venezia del 1952 il film non va tanto male, suscitando risate e persino applausi a scena aperta. Fellini ricorda un’atmosfera da partita di calcio. Le note dolenti arrivano all’uscita dei giornali con recensioni tiepide o sfavorevoli. L’autorevole rivista Bianco e Nero scrive: “…un film talmente scadente per grossolanità di gusto, per deficienze narrative e per convenzionalità di costruzione, da rendere legittimo il dubbio se tale prova di Fellini regista debba considerarsi senza appello”. All’uscita in pubblico il film incassò una miseria. Tra le cause dell’insuccesso qualcuno mise il titolo, che deluse il pubblico convinto di andare a vedere un film d’avventure. Ma a distanza di anni non mancheranno inattesi estimatori, come Woody Allen che in una sua esagerazione, considererà Lo Sceicco bianco uno dei suoi film preferiti, nonché la migliore commedia dell’era del sonoro. Un po’ sconnesso nella grammatica cinematografica, il film presenta alcune ingenuità e luoghi comuni del cinema romanesco degli anni ’50, ma anche le prime esplosioni di fellinismo puro: anzitutto inizia qui la collaborazione con il musicista Nino Rota, che segnerà i film di Fellini più di qualsiasi altro collaboratore, dettandone quasi i ritmi e le atmosfere. L’incontro fra i due avviene nell’immediato dopoguerra. Uscendo dalla Lux, Federico vede il maestro Rota alla fermata dei mezzi pubblici e gli chiede quale autobus stia aspettando. Rota nomina un numero che in realtà non passa di là, ma mentre Fellini si affanna a spiegarglielo, l’autobus incredibilmente arriva. L’intesa fra i due è subito perfetta e la collaborazione non necessiterà mai di troppe parole né ci saranno discussioni o litigi, soprattutto, a detta di Carlo Savina, il quale come arrangiatore e concertista collabora a lungo con gli altri due, per merito di Rota, un personaggio angelico ed illuminato dall’ispirazione. Certo è che il musicista intuisce subito la doppia valenza dell’atmosfera felliniana, assieme festosa e malinconica, e già nei titoli de Lo sceicco bianco alterna una saltellante fanfara circense con un tema sentimentale: una formula che diventerà tanto caratteristica da incorporarsi nell’immagine archetipa dei film di Fellini, come se Rota riuscisse a leggere nell’anima del regista e a tradurre in note musicali la capricciosa altalena dei suoi umori. Fedele all’insegnamento di Rossellini, Federico mette su il cast con il criterio di arruolatore della legione straniera: non gli importa cosa gli interpreti abbiano fatto fino a quel momento e non si fa certo influenzare dalle valutazioni di mercato. Per il ruolo dello sposino si progettano varie candidature. Scartato Sordi per colpa di Lattuada che giudica il provino negativo, ed esclusi Peppino de Filippo, impegnato altrove, e Totò perché troppo costoso, la scelta si dirotta su un non professionista, l’allora commediografo di belle speranze Leopoldo Trieste, che diventerà uno dei più cari amici del registra nonché uno dei migliori caratteristi del cinema italiano. Per quanto riguarda Sordi, Federico si impone per averlo nel film, e così andrà ad impersonare lo sceicco bianco, personaggio che finisce per diventare più importante di quello principale. In casa Fellini aleggia una sorta di nervosismo: Giulietta è sicura di ottenere dal marito la parte della protagonista Wanda ed invece si vede proporre il personaggio marginale di una prostituta che si chiama Cabiria. Delusa come attrice ed offesa come consorte, è addirittura tentata di rifiutare. Ma Federico le spiega che per Wanda ci vuole un candore un po’ tonto, un’ingenuità provinciale del tutto estranea al temperamento della moglie. Perciò convoca la ragazzina appena uscita dal film Miracolo a Milano, Brunella Bovo.