Cronenberg David: differenze tra le versioni
Riga 1: | Riga 1: | ||
− | + | Tentare la comprensione delle opere di un autore come David Cronenberg significa affrontare una figura poliedrica e complessa pervasa da una continua mole di influssi che hanno origini eterogenee e disparate, spesso talmente lontane dal mondo cinematografico comunemente inteso da mettere in dubbio la sua reale professione di cineasta. Il suo è un background culturale denso di fermenti e di stimoli, è veramente un panorama ricco di sfaccettature, uno scambio ininterrotto e convulso di paradigmi, di modelli, di teorie, di competenze tutte rigorosamente multidisciplinari; uno straripare di suggestioni concettuali da un campo ad un altro, senza soluzione di continuità. | |
+ | Contrariamente alla maggior parte dei registi che hanno operato negli anni Settanta e Ottanta, egli non ha mai fatto professione di cinofilo, né ha mai rivendicato ascendenze propriamente filmiche. | ||
+ | Il suo percorso artistico è un continuo work in progress che evidenzia studi e teorie estetico-epistemologiche in grado di guardare alla macchina cinema con occhi nuovi. | ||
+ | David Cronenberg è ormai diventato sinonimo di un modo di fare ed intendere la settima arte assolutamente originale, un innovatore instancabile del linguaggio cinematografico, un carismatico ed influente guru massmediale, un attento indagatore della nuova realtà tecnologica che ingloba l’arte nei suoi irriducibili meccanismi riproduttivi. In lui emergono le caratteristiche di un lucido ed acuto teorico delle metamorfosi in atto nella cinematografia contemporanea e di uno sperimentalistico esploratore delle labirintiche possibilità dello sguardo negli attuali processi della visione. | ||
+ | |||
+ | La natura metalinguistica della sua arte trova consonanze illuminanti con gli studi pionieristici sulla comunicazione massmediale e sulla globalizzazione e l’imprevedibilità dei nuovi media di Marshall McLuhan. Le sue ossessioni sulle mutazioni corporee e le fusioni tra l’uomo e la macchina, l’idea del corpo come luogo di sperimentazione radicale, di ri-definizione della propria identità e potenziamento delle proprie capacità attraverso l’innesto tecnologico, lo accomunano a Ballard e alla cultura cyberpunk. | ||
+ | Nelle atmosfere allucinogene cronenberghiane si ritrova inoltre l’essenza della letteratura beat, di cui il regista si innamora già da adolescente, in particolar modo delle opere William Burroughs con il quale condivide la passione per l’entomologia. | ||
+ | Tutte le pellicole di Cronenberg fotografano, scrutano, sezionano, i significanti autonomi che, come mutazioni genetiche, abitano l’uomo da quando esiste il cinema. Neoplasie che si moltiplicano e si espandono fino a dare nuova forma alla realtà intera, mutandone così l’aspetto a partire dall’incrinarsi del confine che separa la realtà dalla rappresentazione. | ||
+ | Nella sua poetica non esiste niente di razionalmente certo e spiegabile; ogni riferimento tangibile che potrebbe garantirci un solido legame con la realtà materiale viene messo in crisi, dimostrando così l'indiscutibile fragilità della nostra esistenza. Non c'è differenza tra la dimensione che noi giudichiamo "vera" e ciò che viene creato dal pensiero: al contrario, balza agli occhi il profondo distacco tra il vivere quotidiano e quello del nostro inconscio. Così Cronenberg col suo continuo alternare, mescolare e ibridare reale e virtuale si trova in perfetta sintonia con le teorie di Jean | ||
+ | Baudrillard relative ai simulacri 1. Eccellente rappresentante del concetto di meticciato e di contaminazione, Cronenberg si pone sulla stessa linea di pensiero di Mario Perniola, la cui tesi sul sex appeal dell’inorganico e sul plusvalore edonistico dell’immaginario tecnologico trovano riscontro in numerosi film del regista canadese. | ||
+ | Il suo è un cinema che parla di nuove realtà psico-biologiche e nuove dinamiche mutagene, di profani matrimoni tra l’uomo e la macchina, dell’invadente pericolosità dei mezzi di comunicazione determinati dalla società capitalista e di un nuovo mondo che tende a miscelare vorticosamente modelli reali e immagini virtuali. | ||
+ | |||
+ | |||
+ | sporcato, unto e vischioso, in un certo senso contaminato dall’uomo. | ||
+ | Le sue pellicole sono spesso criptiche, dense di significati e simbologie nascoste e allo spettatore viene affidato il compito di decodificarle. Egli lavora sul linguaggio cinematografico ma anche sul linguaggio tout court con particolare attenzione al nuovo rapporto instauratosi fra l’opera, concepita come esperienza di fruizione passiva, e il nuovo ruolo attivo dello spettatore ormai divenuto partecipe dello spettacolo; nasce così un rapporto circolare d'intervento creativo fra autore, opera e spettatore. | ||
+ | L’ermetismo che lo caratterizza lascia la possibilità di molte interpretazioni, è figlio di un'affascinante mente contorta; l'autore è uno scienziato pazzo con l'ottica algida del chirurgo senza ribrezzo: viviseziona gli animi, i corpi umani e la psiche. I propri esperimenti sono volti a far sì che il fruitore si confronti con se stesso, con ciò che di perverso alberga in lui, con i limiti che la sua (e quindi la nostra) mente crea attorno al piacere, ai suoi tabù e alle sue potenzialità nascoste. | ||
+ | Oltre alla tecnologia anche la scienza e la medicina sono onnipresenti nelle opere del regista, così la figura dello scienziato e del medico sono al | ||
+ | centro degli sviluppi narrativi, i virus che si propagano e infettano dapprima si diffondono tra gli esseri umani come in Rabid-Sete di sangue (Rabid, 1976) e in Il Demone sotto la pelle (The Parasite Murders/Shivers, 1975), poi passano dalla macchina all’uomo come in Videodrome (Videodrome, 1983) e in eXistenZ (eXistenZ, 1998) divengono fertile metafora per un invito alla riflessione sulla condizione umana, sulla società e sulle corruzioni di essa. | ||
+ | Tuttavia i suoi non sono film di denuncia, il regista non si mette mai nella posizione di giudice supremo, l’occhio cinematografico scruta e penetra i luoghi, i corpi, le menti mantenendo comunque il distacco dell’oggettività. L’autore fa del sesso uno dei temi principali attorno al quale ruota tutta la filmografia: lo depura da ogni aura romantica, lo osserva nudo e spoglio nella propria essenza e chimica di base. Talvolta è visto come un crogiuolo di pulsioni irrefrenabili, altre come una contagiosa malattia, altre ancora esso è l’elemento che si congiunge all’artificio al tecnologico al feticistico. | ||
+ | |||
+ | 1. J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli, Bologna 1980 | ||
+ | |||
+ | 2. G. Canova, David Croneneberg, Il Castoro, Milano 2000, p. 11 |
Revisione 14:05, 19 Feb 2006
Tentare la comprensione delle opere di un autore come David Cronenberg significa affrontare una figura poliedrica e complessa pervasa da una continua mole di influssi che hanno origini eterogenee e disparate, spesso talmente lontane dal mondo cinematografico comunemente inteso da mettere in dubbio la sua reale professione di cineasta. Il suo è un background culturale denso di fermenti e di stimoli, è veramente un panorama ricco di sfaccettature, uno scambio ininterrotto e convulso di paradigmi, di modelli, di teorie, di competenze tutte rigorosamente multidisciplinari; uno straripare di suggestioni concettuali da un campo ad un altro, senza soluzione di continuità. Contrariamente alla maggior parte dei registi che hanno operato negli anni Settanta e Ottanta, egli non ha mai fatto professione di cinofilo, né ha mai rivendicato ascendenze propriamente filmiche. Il suo percorso artistico è un continuo work in progress che evidenzia studi e teorie estetico-epistemologiche in grado di guardare alla macchina cinema con occhi nuovi. David Cronenberg è ormai diventato sinonimo di un modo di fare ed intendere la settima arte assolutamente originale, un innovatore instancabile del linguaggio cinematografico, un carismatico ed influente guru massmediale, un attento indagatore della nuova realtà tecnologica che ingloba l’arte nei suoi irriducibili meccanismi riproduttivi. In lui emergono le caratteristiche di un lucido ed acuto teorico delle metamorfosi in atto nella cinematografia contemporanea e di uno sperimentalistico esploratore delle labirintiche possibilità dello sguardo negli attuali processi della visione.
La natura metalinguistica della sua arte trova consonanze illuminanti con gli studi pionieristici sulla comunicazione massmediale e sulla globalizzazione e l’imprevedibilità dei nuovi media di Marshall McLuhan. Le sue ossessioni sulle mutazioni corporee e le fusioni tra l’uomo e la macchina, l’idea del corpo come luogo di sperimentazione radicale, di ri-definizione della propria identità e potenziamento delle proprie capacità attraverso l’innesto tecnologico, lo accomunano a Ballard e alla cultura cyberpunk. Nelle atmosfere allucinogene cronenberghiane si ritrova inoltre l’essenza della letteratura beat, di cui il regista si innamora già da adolescente, in particolar modo delle opere William Burroughs con il quale condivide la passione per l’entomologia. Tutte le pellicole di Cronenberg fotografano, scrutano, sezionano, i significanti autonomi che, come mutazioni genetiche, abitano l’uomo da quando esiste il cinema. Neoplasie che si moltiplicano e si espandono fino a dare nuova forma alla realtà intera, mutandone così l’aspetto a partire dall’incrinarsi del confine che separa la realtà dalla rappresentazione. Nella sua poetica non esiste niente di razionalmente certo e spiegabile; ogni riferimento tangibile che potrebbe garantirci un solido legame con la realtà materiale viene messo in crisi, dimostrando così l'indiscutibile fragilità della nostra esistenza. Non c'è differenza tra la dimensione che noi giudichiamo "vera" e ciò che viene creato dal pensiero: al contrario, balza agli occhi il profondo distacco tra il vivere quotidiano e quello del nostro inconscio. Così Cronenberg col suo continuo alternare, mescolare e ibridare reale e virtuale si trova in perfetta sintonia con le teorie di Jean Baudrillard relative ai simulacri 1. Eccellente rappresentante del concetto di meticciato e di contaminazione, Cronenberg si pone sulla stessa linea di pensiero di Mario Perniola, la cui tesi sul sex appeal dell’inorganico e sul plusvalore edonistico dell’immaginario tecnologico trovano riscontro in numerosi film del regista canadese. Il suo è un cinema che parla di nuove realtà psico-biologiche e nuove dinamiche mutagene, di profani matrimoni tra l’uomo e la macchina, dell’invadente pericolosità dei mezzi di comunicazione determinati dalla società capitalista e di un nuovo mondo che tende a miscelare vorticosamente modelli reali e immagini virtuali.
sporcato, unto e vischioso, in un certo senso contaminato dall’uomo.
Le sue pellicole sono spesso criptiche, dense di significati e simbologie nascoste e allo spettatore viene affidato il compito di decodificarle. Egli lavora sul linguaggio cinematografico ma anche sul linguaggio tout court con particolare attenzione al nuovo rapporto instauratosi fra l’opera, concepita come esperienza di fruizione passiva, e il nuovo ruolo attivo dello spettatore ormai divenuto partecipe dello spettacolo; nasce così un rapporto circolare d'intervento creativo fra autore, opera e spettatore.
L’ermetismo che lo caratterizza lascia la possibilità di molte interpretazioni, è figlio di un'affascinante mente contorta; l'autore è uno scienziato pazzo con l'ottica algida del chirurgo senza ribrezzo: viviseziona gli animi, i corpi umani e la psiche. I propri esperimenti sono volti a far sì che il fruitore si confronti con se stesso, con ciò che di perverso alberga in lui, con i limiti che la sua (e quindi la nostra) mente crea attorno al piacere, ai suoi tabù e alle sue potenzialità nascoste.
Oltre alla tecnologia anche la scienza e la medicina sono onnipresenti nelle opere del regista, così la figura dello scienziato e del medico sono al
centro degli sviluppi narrativi, i virus che si propagano e infettano dapprima si diffondono tra gli esseri umani come in Rabid-Sete di sangue (Rabid, 1976) e in Il Demone sotto la pelle (The Parasite Murders/Shivers, 1975), poi passano dalla macchina all’uomo come in Videodrome (Videodrome, 1983) e in eXistenZ (eXistenZ, 1998) divengono fertile metafora per un invito alla riflessione sulla condizione umana, sulla società e sulle corruzioni di essa.
Tuttavia i suoi non sono film di denuncia, il regista non si mette mai nella posizione di giudice supremo, l’occhio cinematografico scruta e penetra i luoghi, i corpi, le menti mantenendo comunque il distacco dell’oggettività. L’autore fa del sesso uno dei temi principali attorno al quale ruota tutta la filmografia: lo depura da ogni aura romantica, lo osserva nudo e spoglio nella propria essenza e chimica di base. Talvolta è visto come un crogiuolo di pulsioni irrefrenabili, altre come una contagiosa malattia, altre ancora esso è l’elemento che si congiunge all’artificio al tecnologico al feticistico.
1. J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Cappelli, Bologna 1980
2. G. Canova, David Croneneberg, Il Castoro, Milano 2000, p. 11